Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 4943 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 4943 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE
avverso l’ordinanza del 06/09/2024 del Tribunale di Firenze visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi e, in subordine, l’annullamento della ordinanza impugnata; uditi i difensori, avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che hanno concluso, insistendo affinché il
ricorso venga esaminato nel merito e chiedendo l’annullamento dell’ordinanza.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Firenze confermava, in sede di riesame, il decreto di sequestro preventivo emesso il 25 luglio 2024 dal
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze di beni immobili e quote di capitale sociale.
Da quanto emerge dall’ordinanza del Tribunale, la Procura di Kiev (Ucraina) stava procedendo per reati di corruzione, frode e riciclaggio nei confronti dell’imprenditore NOME COGNOME e di un alto funzionario ucraino COGNOME secondo l’ipotesi accusatoria, i profitti illeciti conseguiti dal primo erano stati impiegati per l’acquisto della totalità del capitale sociale di una società fiorentina, la RAGIONE_SOCIALE; il giudice ucraino il 26 gennaio 2024 aveva disposto il sequestro dei beni in Italia del RAGIONE_SOCIALE (il capitale sociale e taluni immobili); era emerso altresì che nell’ottobre 2018 COGNOME aveva cessato la carica di socio unico della RAGIONE_SOCIALE, che veniva assunta dalla RAGIONE_SOCIALE; che nel maggio 2024 il capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE era aumentato, utilizzando riserve in bilancio; che, secondo quanto dichiarato dalla Penta Trust alla Guardia Finanza, la cessione delle quote alla RAGIONE_SOCIALE era un’operazione neutra, essendo rimasto il COGNOME l’effettivo proprietario e risultando l’unica operazione societaria l’aumento di capitale deliberato nel 2024; l’operazione di intestazione fiduciaria era finalizzata a “schermare” la reale proprietà; il capitale sociale e i beni immobili della RAGIONE_SOCIALE dovevano ritenersi il profitto del reato di corruzione commesso dal COGNOME e oggetto di riciclaggio da parte di soggetti terzi e autoriciclaggio commesso dal COGNOME per mezzo delle predette società.
Avverso la suddetta ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE quali terzi soggetti interessati, a mezzo di difensore e procuratore speciale, avv. NOME COGNOME denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 696 e 723 e ss. cod. proc. pen.; violazione dell’art. 125 cod. proc. pen.
Il sequestro oggetto della richiesta di assistenza giudiziarie delle autorità ucraine è un sequestro probatorio.
Come si evince dalla stessa richiesta del P.M., le autorità ucraine avevano chiesto il sequestro per garantire la conservazione delle prove materiali nel procedimento penale (in tal senso era il sequestro disposto dalle loro autorità) e, solo in modo arbitrario ed ingenerandosi nel merito della richiesta, il P.M. ha ritenuto di qualificare questa richiesta come di sequestro preventivo, per la prevalente valenza strumentale del sequestro a evitare l’aggravamento e protrazione delle conseguenze degli ipotizzati reati e alla fruttuosità di un’eventuale confisca e anche al fine di garantire le statuizioni civili da reato.
In tal modo ha violato le regole della Convenzione di assistenza giudiziaria del 1959 e le norme del codice di rito che impongono allo Stato che riceve la richiesta di assistenza ad attenersi al suo oggetto e di non entrare nel merito delle scelte dello Stato richiedente.
Questi profili erano stati sollevati in sede di Riesame, evidenziando le norme violate e che l’ordinamento ucraino prevede entrambe le forme di sequestro, probatorio e preventivo. A tali questioni il Tribunale si limitava ad affermare che ben poteva il giudice italiano adottare il provvedimento che meglio rispondeva alle esigenze e alle finalità che il sequestro intendeva perseguire.
Si tratta di motivazione apodittica, non ancorando tale potere ad una norma internazionale o nazionale, e che comunque rende incomprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.
2.2. Violazione dell’art. 125 cod. proc. pen.
La difesa aveva eccepito che l’adozione di un sequestro preventivo veniva ad aggirare le norme interne ucraine che vietano un sequestro siffatto finalizzato alla confisca nei confronti di soggetti non indagati. Status, nella specie, non ancora assunto da NOME secondo l’ordinamento ucraino (che richiede la notifica di un atto che contesti le accuse), come emerge dai provvedimenti allegati dalla difesa e dall’art. 170 del codice di rito ucraino.
Pertanto, la richiesta di sequestro poteva soltanto riguardare un sequestro probatorio.
Il Tribunale, a fronte di tali questioni, riteneva il sequestro volto non solo alla confisca ma anche ad evitare che il reato fosse portato a conseguenze ulteriori con la cessione dei beni della Arcetri a terzi e che in Italia il sequestro preventivo poteva essere emesso contro chiunque.
Si tratta di argomentazioni evidentemente inconferenti e che non affrontano il tema sottoposto dalla difesa.
2.3. Violazione di legge in relazione all’art. 696 cod. proc. pen. e all’art. 28 della Convenzione di Varsavia del 200, agli artt. 724 e 737-bis cod. proc. pen.; violazione di legge in relazione all’art. 157 cod. pen.; Violazione dell’art. 125 cod. proc. pen.
La difesa aveva eccepito la prescrizione dei reati e che l’autoriciclaggio neppure costituiva reato in Italia all’epoca dei fatti.
Anche a voler ammettere che si tratti di sequestro preventivo, andava considerato che l’art. 28, par. 4, della Convezione di Varsavia del 2005 prevede tra i motivi di rifiuto della confisca il decorso del tempo e che l’art. 737-bis cod. proc. pen. stabilisce il rifiuto della cooperazione per sequestro a fini di confisca se l’atto non sia consentito per lo stesso fatto nello Stato e se vi siano ragioni per
ritenere che non sussistono le condizioni per la esecuzione di una successiva confisca.
Anche per l’assistenza giudiziaria, l’art. 724 cod. proc. pen. prevede il rifiuto della assistenza se gli atti richiesti sono contrari ai principi giuridi dell’ordinamento dello Stato.
Tali norme pertanto escludevano l’esecuzione del sequestro per reati già prescritti o per fatti non punibili all’epoca dei fatti.
Il Tribunale rigettava la questione con motivazione errata.
Stabiliva infatti come data di consumazione dei reati quella di accertamento.
2.4. Violazione di legge in relazione agli artt. 125 e 321 cod. proc. pen. quanto al fumus commissi delicti, al vincolo di pertinenzialità e al principio di proporzionalità.
La difesa aveva contestato che l’immobile sequestrato (castello di Torre del Gallo) fosse il profitto dei reati contestati al COGNOME, attraverso una puntuale ricostruzione del suo acquisto da parte della Arcetri.
La difesa aveva chiarito che il pagamento di 8.604.000 euro del 12 settembre 2014 non era collegato all’acquisto della Arcetri (avvenuto un anno prima), ma costituiva la restituzione alla società venditrice del finanziamento soci. In ogni caso tale pagamento veniva effettuato dal conto del Fedoricsev e quindi non era per nulla pertinente con la Arcetri e con l’acquisto del Castello.
Si poneva pertanto una questione di pertinenzialità dei beni sequestrati con le ipotesi delittuose contestate al COGNOME e di strumentalità della cosa rispetto ad esse.
In ogni caso neppure era ravvisabile un rapporto di conseguenzialità dei beni rispetto ai fatti-reato.
Difettava pertanto la pacifica insussistenza dei requisiti per qualificare i beni sottoposti a sequestro alla stregua di “profitto” delle condotte ascritte al COGNOME.
A ciò va aggiunto che l’entità del sequestro si presentava sproporzionato e avrebbe imposto al più il sequestro della somma versata da NOME nel periodo contestato.
Tutte queste questioni sono state obliterate dal Tribunale che si limitava a rilevare come il sequestro fosse pertinente e proporzionale stante l’ingente consistenza del presunto profitto, richiamando “quanto espresso in precedenza” e evocando concetti che non rilevano con la fattispecie in esame che riguardava la confisca diretta.
2.5. Violazione di legge in relazione agli artt. 125 e 321 cod. proc. pen. e al peri culum in mora.
Sul punto il Tribunale riteneva che la spregiudicatezza del COGNOME rendesse verosimile la cessione dei beni a terzi, ponendo l’attenzione sul trasferimento fiduciario della Arcetri alla Penta Trust volto a schermare la proprietà.
Si tratta di motivazione fittizia e apparente, in quanto il ricorso a società fiduciarie è lecito e proprio l’atto di cessione dava atto dell’effettiva proprietà, escludendo quindi uno scopo elusivo, e la stessa Trust dava atto che non era mai intervenuto alcun movimento finanziario.
Andava considerato che per 11 anni COGNOME ha mantenuto la proprietà della società.
2.6. Violazione in relazione agli artt. 125, 143, 242 cod. proc. pen. per omesso esame dei documenti prodotti corredati da traduzione; motivazione erronea, apparente e omessa.
Il Tribunale non ha esaminato le produzioni difensive solo perché non corredate da traduzione giurata, non avvedendosi che taluni erano in originale in lingua italiana.
La difesa per quelli in lingua straniera aveva allegato una traduzione anche talvolta giurata in francese e comunque la traduzione in italiano.
Andava considerato il tempo compresso per la difesa per assolvere all’onere imposto dal Riesame.
Tali documenti erano rilevanti per chiarire talune circostanze, come le tipologie dei sequestri ammessi in Ucraina, e buona parte di essi erano sentenze dalla provenienza certa.
2.7. Violazione di legge in relazione all’art. 125 cod. proc. pen. per aver omesso di rispondere alla doglianza sull’abuso del processo dell’autorità ucraina nei confronti del COGNOME e violazione dei principi fondanti la cooperazione giudiziaria e l’ordinamento giuridico italiano.
Il Tribunale ometteva di rispondere su una questione posta dalla difesa in ordine alle patologie che avevano affetto il procedimento ucraino (era stata attestata la falsità della notifica dell’informazione di garanzia nei confronti di COGNOME, così facendo risultare un presupposto per la confiscabilità dei beni; che era radicato presso la Procura ucraina un procedimento parellelo per calunnia in ordine alle accuse di corruzione mosse al COGNOME e per estorsione sempre ai danni di quest’ultimo.
Questo approfondimento chiesto dalla difesa avrebbe portato a verificare che la richiesta di assistenza era emessa in un contesto non conforme ai principi fondamentali dell’ordinamento italiano, quindi ostativo alla sua esecuzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili per le ragioni di seguito illustrate.
E’ dato accertato e non contestato dalla difesa che il provvedimento di sequestro in esame è stato emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze in esecuzione di una richiesta di assistenza giudiziaria proveniente dalle autorità ucraine.
Invero, risulta dagli atti che l’Ucraina ha chiesto all’Italia di dar seguito, sulla base della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 1959, della Convenzione ONU sulla corruzione del 2003 e della Convenzione del Consiglio di Europa sul riciclaggio, ricerca, sequestro e confisca dei proventi di reato del 2005, ad un provvedimento di sequestro emesso dalle autorità giudiziarie di tale Stato avente finalità probatoria e di confisca.
Rispetto a tale circostanza i ricorsi non superano il vaglio di ammissibilità in ordine sia all’ambito del controllo che è demandato all’autorità giudiziaria italiana, in sede di esecuzione di una richiesta di assistenza giudiziaria a scopo di sequestro, sia al mezzo di impugnazione esperibile nei confronti dell’atto di sequestro eseguito in Italia a seguito di una siffatta richiesta.
3.1. Quanto ai motivi di rifiuto della cooperazione, va rammentato che le Convenzioni, richiamate dalla richiesta di assistenza ucraina, stabiliscono in ordine al sequestro soltanto la “facoltà” di rifiuto dello Stato richiesto (art. 5 dell Convenzione del 1959; art. 28 della Convenzione di Varsavia del 2005; la Convenzione del 2003 di Merida si applica per la cooperazione giudiziaria solo in mancanza di norme pattizie tra le Parti), che, nell’ambito della cooperazione di tipo governativo, si intende riferita alle prerogative di detto Stato: pertanto, è rimesso all’ordinamento interno di ciascuno degli Stati contraenti regolare la fattispecie, stabilendo se e a quali condizioni, e per determinazione di quale autorità, la cooperazione possa o debba essere concessa o negata (cfr. in tema di estradizione, Corte cost. n. 58 del 1997; tra tante, Sez. 6, n. 13571 del 30/01/2020; Sez. 6, n. 8674 del 11/10/2005, dep. 2006, Rv. 233688).
Nella specie, le regole interne sono quelle dettate dal codice di rito (Libro XI, artt. 723, 724, 725; 737-bis cod. proc. pen.), la cui applicabilità in concreto va comunque raccordata, in base all’art. 696 cod. proc. pen., ai motivi di rifiuto previsti dalle Convenzioni.
3.1.1. In particolare, la prescrizione del reato, secondo la legge dello StatO richiesto, non costituisce nel codice motivo per rifiutare l’esecuzione di , una
domanda di cooperazione avente ad oggetto il sequestro probatorio (cfr. art. 724, comma 7) o quello a fini di confisca (cfr. art. 373-bis).
3.1.2. Quanto poi al requisito della doppia incriminabilità, va rammentato che per il sequestro probatorio l’Italia non ha effettuato alcuna riserva all’art. 5 della Convenzione europea del 1959 (così escludendo di poter far valere la relativa facoltà di rifiuto prevista), mentre per il sequestro a scopo di confisca il rispetto di tale requisito (rilevante, ai sensi del combinato disposto degli artt. 733 e 737-bis) richiede che la legge dello Stato richiesto contempli (come nella specie) come reato il fatto al momento della decisione, e non anche al momento della sua commissione, come invece previsto allorquando dalla sentenza straniera si facciano discendere effetti penali propri dell’ordinamento italiano (Sez. 6, n. 13571 del 30/01/2020, Rv. 278811).
3.1.3. Deve escludersi inoltre che l’autorità giudiziaria italiana possa sindacare il “merito” (quindi il fondamento probatorio della imputazione e la concreta finalità probatoria o preventiva del provvedimento) del sequestro disposto dallo Stato richiedente, che resta di esclusiva pertinenza delle autorità di tale Stato, davanti alle quali gli interessati possono avanzare i rimedi previsti.
Compete infatti al solo giudice dello Stato richiedente la preliminare imposizione di quel vincolo di indisponibilità che condiziona il successivo provvedimento coercitivo e il conseguente ulteriore vincolo imposto dallo Stato richiesto, che determina la separazione tra giurisdizione sul sequestro e giurisdizione sulla sua esecuzione, con il conseguente riconoscimento della possibilità di una impugnazione anche separata delle due decisioni (Sez. U, n. 21420 del 16/04/2003, Monnier, Rv. 224184).
In questa prospettiva deve escludersi che spetti all’autorità giudiziaria italiana verificare che il sequestro emesso dall’autorità rogante sia valido o meno secondo l’ordinamento dello Stato richiedente: è infatti l’autorità rogante l’unica competente a valutare la sussistenza delle condizioni legittimanti l’adozione e il mantenimento della misura, salvi gli eventuali ulteriori rimedi esperibili secondo le regole stabilite dall’ordinamento dello Stato richiesto dell’assistenza (cfr. Sez. U, n. 21420 del 16/04/2003, COGNOME, Rv. 224184; Sez. 1, n. 16851 del 21/03/2024, Rv. 286354; Sez. 6, n. 33258 del 14/04/2021, Rv. 282032).
3.2. Quanto al mezzo di impugnazione, costituisce principio più volte affermato da questa Corte, e che la difesa non ha contestato in questa sede, che i provvedimenti di sequestro, emessi in forza di richiesta di assistenza giudiziaria proveniente dall’autorità giudiziaria di uno Stato estero, non membro dell’Unione europea, siano soggetti ad incidente di esecuzione e non siano impugnabili cowla procedura di riesame (tra tante, Sez. 3, n. 28063 del 09/02/2011, Rv. 250594;
Sez. 3, n. 1984 del 30/11/2016, dep. 2017; Sez. 1, n. 11818 del 03/12/2008, dep. 2009).
Si è sostenuto in particolare per il sequestro a scopo probatorio che l’art. 725 cod. proc. pen. – che richiama le norme del codice sulle prove per il solo “compimento degli atti richiesti” – riguarda soltanto il compimento degli atti ma non il regime di impugnazione (Sez. 4, n. 1577 del 18/12/1993, dep. 1994, Rv. 197641; Sez. 5, n. 435 del 22/05/1991, Rv. 187706).
E’ appena il caso di rilevare che la riforma del Libro XI del codice di rito, ad opera del d.lvo n. 149 del 2017, nulla ha innovato sul punto.
Con riferimento al sequestro a scopo di confisca, nel caso in cui la misura della confisca sia già stata disposta dallo Stato richiedente, l’art. 737 cod. proc. pen., prevede (comma 2) il solo rimedio del ricorso per cassazione per violazione di legge, e a tale regime rinviava l’art. 737-bis cod. proc. perì, nel caso di sequestro disposto prima della misura ablatoria (commi quarto e quinto).
La riforma del 2017, nel modificare l’art. 737-bis cod. proc. pen., quanto alle modalità di esecuzione delle attività richieste (e quindi anche del sequestro a scopo di confisca), ha espressamente previsto l’applicazione degli artt. 723, 724 e 725 e soppresso i commi quarto e quinto.
Quindi in definitiva i mezzi di impugnazione previsti per entrambi i sequestri (probatorio e a scopo di confisca) sono i medesimi ovvero l’incidente di esecuzione.
Per quanto riguarda invece la cooperazione in ambito U.E. e in funzione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie, la normativa applicabile in tema di sequestro è diversa (il mezzo del riesame è infatti espressamente previsto per il sequestro o blocco a fini di confisca dal d.lgs. n. 36 del 2016; mentre per l’ordine europeo di indagine il d.lgs. 21 giugno 2017, n. 108, che disciplina il sistema delle impugnazioni nell’ambito della procedura passiva, prevede il rimedio dell’opposizione).
3.3. Va aggiunto inoltre che la riforma del 2017 ha eliminato la procedura bifasica prevista dal codice di rito che vedeva prima (art. 724 cod. proc. peri.) la Corte di appello decidere con ordinanza sulla domanda di assistenza quanto alla sua ammissibilità (c.d. exequatur) e poi (art. 725 cod. proc. pen.) l’autorità giudiziaria competente (giudice delegato o Giudice per le indagini preliminari) dare esecuzione agli atti richiesti.
La novella ha infatti semplificato la procedura di esecuzione delle richieste di assistenza, affidandone in linea di principio la competenza al Pubblico ministero, salvo si tratti di atti richiesti da compiersi davanti al giudice o che, —–7 legge italiana, devono essere svolti dal giudice (nel qual caso deve prese9tare il P.M. deve presentare le sue richieste al giudice per le indagini preliminar
Pertanto, nel caso di sequestro, il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari, nel dar corso alla richiesta del P.M., conterrà la preliminare verifica delle condizioni perché sia data esecuzione alla domanda di assistenza giudiziaria.
Ne consegue che non è più attuale l’orientamento di legittimità formatosi nella vigenza della precedente procedura esecutiva, che in tema di sequestro riteneva non impugnabile l’ordinanza di exequatur della rogatoria ed esperibile invece il rimedio dell’incidente di esecuzione avverso il provvedimento di sequestro, limitato tuttavia a far valere le questioni attinenti alla esistenza del titolo esecutivo e non quelle in ordine alla eseguibilità in Italia della rogatoria (Sez. 1, n. 51839 del 14/11/2014, Rv. 261585).
Conclusivamente e per le considerazioni su esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Il Collegio ritiene di non condannare le società ricorrenti al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, stante la particolarità del caso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il GLYPH e 2025.