Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46290 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46290 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/09/2024
SENTENZA
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI BARI
sul ricorso proposto da: nel procedimento a carico di:
NOME COGNOME nato a POIESTI( ROMANIA) il 29/06/1975
avverso l’ordinanza del 16/04/2024 della CORTE APPELLO di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG, dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnatwer
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 16 aprile 2024, la Corte di appello di Bari, quale giudice dell’esecuzione, ha revocato la sentenza pronunciata dal medesimo ufficio giudiziario il 26 novembre 2020 nella parte in cui ha statuito il riconoscimento per l’esecuzione in Italia della sentenza di condanna di NOME COGNOME responsabile del reato di evasione fiscale, alla pena di cinque anni di reclusione, emessa dalla Corte di appello di Bucarest il 30 dicembre 2019.
Ha, a tal fine, preso le mosse dal duplice intervento della Corte costituzionale romena, cui è conseguito quello del legislatore di quel paese, che ha stabilito che, al cospetto di un atto interruttivo della prescrizione, il relativo effetto si produce solo se il medesimo atto è stato notificato all’indagato o all’imputato.
Ha, quindi, rilevato, da un canto, che il diritto penale romeno è informato, al pari di quello italiano, al principio della retroattività della legge penale più favorevole e, dall’altro, che l’art. 673 cod. proc. pen., nell’interpretazione che ne dà la giurisprudenza di legittimità, consente al giudice dell’esecuzione di revocare la sentenza definitiva anche nel caso in cui la dichiarazione di illegittimità costituzionale sopravvenuta al giudicato incide sul regime della prescrizione, nel senso di determinare l’integrale consumazione del relativo termine in un momento precedente all’irrevocabilità della sentenza di condanna; fatta salva l’eventualità – che nel caso di specie non ricorre, posto che la pena risulta in esecuzione nella forma alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale – di esaurimento dei rapporti giuridici da essa derivati.
Ha, poscia, considerato che il termine prescrizionale massimo previsto, per il reato commesso da Preda, dalla legislazione romena, pari ad otto anni, si sarebbe estinto, non calcolando eventuali interruzioni, non più tardi dell’Il agosto 2017 e, dunque, prima dell’emissione della sentenza di condanna.
Ritenuto, ulteriormente, che «non avrebbe neppure senso, prima di decidere, interpellare lo Stato rumeno (che ha perso qualsiasi possibilità di intervenire a seguito del riconoscimento in Italia della sentenza di condanna), perché sarebbe incompatibile con la Costituzione italiana che una persona continui ad essere soggetta ad una sanzione penale non più eseguibile, esclusivamente in ragione dei tempi occorrenti presso lo Stato di condanna per revocare la sentenza o comunque dichiararne la sopravvenuta ineseguibilità, e ciò soprattutto allorché, come nella specie, la sentenza sia stata riconosciuta dallo Stato italiano e, per tale motivo, deve essere eseguita secondo l’ordinamento italiano», ha, in conclusione, disposto la revoca del provvedimento di riconoscimento della decisione romena.
Tanto, in dichiarata continuità con precedente decisione di altro giudice dell’esecuzione che, chiamato a delibare un caso analogo, è pure pervenuto alla
revoca della sentenza resa ai sensi degli artt. 17 e 18-bis legge 22 aprile 2005, n. 69, e 12 d.lgs. 7 settembre 2010, n. 161.
Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale deduce violazione di legge sul rilievo che il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto previamente investire l’autorità giudiziaria dello Stato di emissione allo scopo di verificare l’applicazione al caso concreto della previsione normativa di quel ?aese che ha, invece,r autonomamente quanto erroneamente interpretato.
Rileva, al riguardo, che l’art. 17, comma 1, della legge 22 aprile 2005, n. 69, si riferisci, con il termine «decisione», al provvedimento dell’autorità giudiziaria dello Stato di emissione, cui è necessariamente demandata l’interpretazione e l’applicazione al caso concreto della legge dello Stato medesimo, nonché delle pronunzie della Corte costituzionale, specie laddove comportino, come in materia di prescrizione, valutazioni giuridiche e calcoli complessi alla stregua della normativa e dei principi di quell’ordinamento.
Segnala che in tale direzione risulta essersi orientato il giudice dell’esecuzione che, nel vagliare la fattispecie evocata dalla Corte di appello di Bari, non ha mancato di coinvolgere, preventivamente, l’autorità giudiziaria romena e, precipuamente, di interpellarla in ordine agli effetti prodotti su di essa dagli interventi della Corte costituzionale e del legislatore di quel paese.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e deve, pertanto, essere accolto.
Il provvedimento impugnato muove, correttamente, dal preliminare rilievo del radicamento in capo all’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione del compito di verificare, se del caso, l’effetto di eventuali sopravvenienze normative sull’eseguibilità della sanzione inflitta in virtù del titolo emesso dal giudice dello Stato di emissione ed oggetto di pregresso riconoscimento.
Tanto, in forza del canone, di portata generale, sancito dall’art. 16, comma 1, d.igs. 7 settembre 2010, n. 161, che stabilisce, in esordio, che «Quando è pronunciata sentenza di riconoscimento, la pena è eseguita secondo la legge italiana».
Parimenti condivisibili sono, d’altro canto, le considerazioni dedicate dalla Corte di appello di Bari alla necessaria applicazione, per effetto dell’intervenuto riconoscimento della sentenza straniera e della sua conseguente esecuzione in Italia, delle regole consacrate nell’art. 673 cod. proc. pen., che nell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Sez. U., n. 42858 del 29/05/2014, Gatto, Rv. 260697 – 01) – impongono al giudice dell’esecuzione di prendere atto delle modifiche normative e delle pronunzie di illegittimità costituzionale che, sopravvenute al giudicato, influiscono, in senso migliorativo per il condannato, sull’applicabilità e la misura della sanzione, nonché al rispetto del principio, comune all’ordinamento italiano ed a quello romeno, di retroattività della legge penale più favorevole.
Ne discende, con specifico riferimento all’ipotesi che viene qui in rilievo, che spetta al giudice del aese di esecuzione, unico legittimato ad intervenire in conseguenza dell’operato riconoscimento, accertare, in costanza del rapporto esecutivo, se e quali conseguenze derivino dall’innovazione della cornice normativa che, nel aese di emissione della sentenza di condanna, regola la prescrizione del reato, sia suscettibile di incidere, in concreto, in termini tali che, qualora la disciplina di nuovo conio fosse stata applicata, nel giudizio di cognizione, in luogo di quella illo tempore vigente, il reato avrebbe dovuto essere dichiarato estinto.
Nel delineato contesto, occorre, come debitamente segnalato dal procuratore generale ricorrente, avere, tuttavia, riguardo alla previsione dell’art. 17, comma 1, d.lgs. 7 settembre 2010, n. 161, secondo cui «Quando lo Stato di emissione adotta una decisione per la quale la pena o la misura di sicurezza applicate cessano, immediatamente o entro un termine, di essere esecutive, l’autorità giudiziaria competente pone fine all’esecuzione della pena o della misura di sicurezza in Italia, non appena informata».
La menzionata statuizione è, con ogni evidenza, volta a contemperare la generale competenza del giudice dello Stato che ha operato il riconoscimento e la conseguente soggezione del rapporto esecutivo alle leggi italiane (attestata anche dall’espressa previsione dell’applicazione delle disposizioni in materia di amnistia, indulto e grazia) con la persistente titolarità, in capo allo Stato di emissione, del poteredovere di vagliare eventuali sopravvenienze fattuali o giuridiche, che ispira anche il dettato del comma 2 dell’art. 17, a tenore del quale «La revisione della sentenza di condanna trasmessa per l’esecuzione spetta esclusivamente all’autorità dello Stato di emissione».
Il sistema disegnato dal legislatore è, quindi, costruito sul postulato che la circostanza sopravvenuta al giudicato e potenzialmente idonea a scardinarne gli
effetti, qualora involgente la sfera di intervento dello Stato di emissione, deve essere oggetto, quantomeno, di previa interlocuzione tra l’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione e quella dello Stato di emissione, cui spetta di fornire le necessarie «informazioni» e, se del caso, di adottare apposita «decisione».
La Corte di appello, nell’emettere l’ordinanza impugnata, non si è attenuta al modus operandi appena descritto – che si palesa conforme alla lettera ed alla ratio della vigente normativa in materia di cooperazione penale – perché ha ritenuto di prendere atto, in piena autonomia e, per quanto consta, sulla scorta delle sole allegazioni dell’istante, della sussistenza delle condizioni per procedere all’invocata revoca della sentenza di riconoscimento.
Per tale via, i giudici pugliesi hanno pretermesso le prerogative di quelli romeni – che non hanno ritenuto di coinvolgere – in ordine all’esercizio di un’attività tipicamente interpretativa del diritto di quello Stato, da svolgere alla luce delle specifiche connotazioni della vicenda processuale che ha coinvolto Preda e dell’interpolazione della disciplina interna in tema di prescrizione.
Hanno, così, trascurato che la libertà di apprezzamento riservata, in executivis, al giudice dello Stato di esecuzione in relazione al diritto dello Stato di emissione della sentenza di condanna trova imprescindibile limite, sul piano sia logico che giuridico, nel potere di interpretazione spettante al giudice dello Stato di emissione.
Coglie nel segno, sotto questo aspetto, il ricorrente laddove sottolinea che nella precedente fattispecie, concernente un caso analogo, allegata dal condannato e valorizzata dalla Corte di appello, il giudice dell’esecuzione ha revocato la sentenza di riconoscimento della sentenza di condanna emessa dall’autorità giudiziaria romena solo dopo avere previamente rivolto al giudice dello Stato di emissione un preciso ed analitico quesito in ordine all’estinzione per prescrizione, da valutarsi «ora per allora», dei reati accertati con sentenza definitiva, ed alla persistente eseguibilità della pena a tale titolo inflitta ed avere ricevuto la risposta, sostanzialmente neutra e, pertanto, non vincolante, alla richiesta formulata.
Le argomentazioni sin qui sviluppate impongono, in conclusione, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Bari per un nuovo giudizio che, libero nell’esito, sia emendato dal vizio riscontrato.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Bari. Così deciso il 18/09/2024.