Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21914 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21914 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 08/05/2023 del TRIBUNALE di TRIESTE
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
IN FATTO E IN DIRITTO
1.Con ordinanza resa in data 8 maggio 2023 il Tribunale di Trieste – quale giudice della esecuzione – ha respinto l’istanza introdotta da NOME COGNOME e tesa alla dichiarazione di non esecutività del titolo (sentenza Trib. Trieste del 8.7.2019, pronunziata in assenza), al contempo dichiarando tardiva la domanda, subordinata, di restituzione nel termine per proporre impugnazione.
1.1 Vanno, in sintesi, evidenziati gli elementi di fatto rilevanti:
la sentenza oggetto della domanda difensiva è stata emessa nei confronti di COGNOME dal Tribunale di Trieste in data 8 luglio 2019 ed è (formalmente) passata in giudicato in data 30 settembre 2019 ;
il 23 novembre del 2022 il NOME -cittadino rumeno, cui era stato trasdotto il decreto di rinvio a giudizio nel procedimento relativo alla sentenza del 2019 – a seguito dell’ingresso in Italia per MAE, riceve un ordine di esecuzione che comprende anche questa sentenza, mai impugnata e mai tradotta in lingua rumena;
la difesa del COGNOME riceve copia del fascicolo il 21 dicembre 2002 e il 30 dicembre 2022 fa istanza tesa da un lato a far dichiarare la non esecutività della sentenza perché mai tradotta in lingua rumena (ai sensi dell’art.670 cod.proc.pen.), dall’altro chiede la restituzione nel termine per proporre impugnazione (ai sensi dell’art. 175 cod.proc.pen.).
Ora, nel valutare le due domande difensive il giudice dell’esecuzione si rimette integralmente ai contenuti di un arresto di questa Corte di Cassazione, rappresentato da Sez. II, sent. n.22465 del 2022, rv 283407, riprodotto nel testo della decisione di merito.
2.1 In detta sentenza si è ritenuto che in caso di mancata traduzione della sentenza – nella lingua nota all’imputato alloglotta – non vi è alcun impedimento alla formazione del giudicato. Tuttavia, entro dieci giorni dalla avvenuta scadenza del termine per proporre impugnazione, può essere chiesta la restituzione nel termine per impugnare da parte del condannato, con nuova decorrenza dal momento in cui la sentenza venga messa a disposizione del soggetto richiedente in lingua a lui comprensibile.
La decisione di questa Corte risulta massimata nel modo che segue : nel caso di mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all’imputato alloglotto, questi può richiedere, entro dieci giorni dalla scadenza del termine di impugnazione, la restituzione nel predetto termine correlato alla traduzione del provvedimento, con nuova decorrenza, in ogni caso, dal momento in cui la sentenza venga messa a disposizione dell’imputato nella lingua a lui comprensibile.
2.2 Nel caso concreto oggetto di verifica, il giudice della esecuzione rileva che nessuna richiesta di traduzione e di restituzione nel termine è avvenuta entro i dieci giorni dalla decorrenza del termine per proporre impugnazione, con l’epilogo indicato in premessa.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione – nelle forme di legge – NOME. Il ricorso è affidato a due motivi.
3.1 Al primo motivo si deduce erronea applicazione di legge in riferimento al diniego della declaratoria di non esecutività della sentenza.
Si evidenzia come la motivazione della decisione abbia operato una sorte di rinvio per relationem ai contenuti di una decisione del giudice di legittimità, ignorando da un lato la diversità del caso, dall’altro i rilievi critici contenuti già nella domand introdtttiva.
In particolare nel ricorso si contesta la interpretazione citata nella decisione e si rappresenta che:
nel caso del NOME il decreto di citazione era stato tradotto in lingua rumena, a dimostrazione della mancata conoscenza della lingua italiana;
la sentenza doveva essere tradotta ai sensi dell’art.143 comma 2 cod.proc.pen., a prescindere da una richiesta dell’interessato, che peraltro nel caso di specie non conosceva l’avvenuta emissione della sentenza, essendo stato dichiarato assente. Dunque nel caso in esame come avrebbe potuto il NOME (cui non è mai stato notificato avviso di deposito) fare una richiesta prima di aver conoscenza del provvedimento ?
Si evidenzia la diversità del caso con quello deciso dalla Sez. Il nella decisione 22465 del 2022 e si ritiene che non poteva essere respinta la domanda di declaratoria di non esecutività del titolo, dovendo decorrere il termine per impugnare solo dalla comunicazione, nelle forme di legge, della sentenza tradotta.
3
3.2 Al secondo motivo si deduce erronea applicazione di legge anche in riferimento alla pretesa tardività della domanda di restituzione nel termine.
Si rappresenta che, in ogni caso, la domanda di restituzione nel termine non poteva essere ritenuta tardiva, essendo arbitrario fissare il dies a quo dalla decorrenza del termine per impugnare. In realtà detto termine dovrebbe decorrere da quando è cessata la causa «impeditiva» di forza maggiore, dunque da quando è stata tradotta la sentenza, con avviso di deposito al soggetto interessato.
Il ricorso è fondato, al primo – assorbente – motivo ed in riferimento a quanto previsto dagli articoli 143 e 670 cod.proc.pen. .
4.1 La decisione di merito, come si è esposto in parte narrativa, si affida integralmente a quanto sostenuto, per il caso di imputato alloglotta, da Sez. II, sent. n.22465 del 2022, rv 283407 .
4.2 Ora, il Collegio ritiene che i principi di diritto espressi in detta decisione no siano condivisibili, quanto al punto – di primaria importanza – delle modalità di formazione del giudicato in presenza di sentenza depositata i ma non tradotta in lingua comprensibile all’imputato, lì dove vi sia prova della mancata conoscenza della lingua italiana.
4.2.1 In particolare, nella disamina operata in detto arresto si ribadisce (sulla scia di un copioso precedente indirizzo ermeneutico) che l’omessa traduzione della sentenza in lingua nota all’imputato non è condizione di validità dell’atto; si ritiene tuttavia di adottare una linea ‘innovativa’ in rapporto alla tradizionale affermazione (conseguente) per cui la traduzione della sentenza è, tuttavia, atto indispensabile al fine della decorrenza del termine per impugnare, posto che il potere di critica deve essere esercitato solo dopo una effettiva conoscenza dei contenuti della decisione. Si opta, circa tale aspetto, per l’assenza di ‘ostacoli’ al passaggio in giudicato della decisione non tradotta (anche in ragione di una esigenza generale di certezza e di ragionevole durata del processo), salvo l’esercizio da parte del condannato del rimedio restitutorio di cui all’art.175 cod.proc.pen. . In tale dimensione ermeneutica, la decisione non tradotta (pur in presenza di prova della mancata conoscenza della lingua italiana in capo all’imputato) passerebbe in giudicato, ma entro il termine ordinario di dieci giorni il condannato avrebbe diritto ad ottenere la restituzione nel termine previa traduzione in lingua a lui nota.
4
4.2.2 Il primo aspetto problematico di siffatta impostazione sta – alla luce di quanto deciso dalle Sezioni Unite in data 26 ottobre 2023 nel caso della omessa traduzione della ordinanza cautelare, con disponibilità allo stato della sola informazione provvisoria – nella affermazione per cui in presenza di una «nota» condizione di ‘mancata conoscenza’ della lingua italiana il provvedimento giurisdizionale (sia esso ordinanza cautelare o sentenza) non sia affetto da un vero e proprio vizio, in ragione di quanto previsto dall’art.143 comma 2 cod.proc.pen.. Le Sezioni Unite di questa Corte, nel caso deciso in data 26 ottobre 2023 hanno infatti affermato che lì dove la condizione di alloglotta sia nota alla autorit procedente si determina un vero e proprio vizio di nullità in ipotesi di mancata traduzione. E’ evidente che tale affermazione vale, a maggior ragione, per l’atto/ sentenza, il che esclude che possa formarsi validamente il giudicato in ipotesi di mancata traduzione.
4.2.3 Ma anche a volersi mantenere, in ipotesi, la distinzione tra ‘validità formale’ dell’atto/sentenza non tradotto e sua ‘efficacia’ (su cui di recente v. Sez. VI n. 40556 del 21.9.2022, rv 283965), a parere del Collegio in nessun caso potrebbe validamente formarsi il giudicato sulla base di un deposito della sola sentenza in lingua italiana (sempre ove vi sia prova della condizione di alloglotta).
Ciò perché l’ipotetico giudicato andrebbe a formarsi sulla base della violazione di un obbligo di legge, espressamente sancito dal testo dell’art.143 comma 2 cod.proc.pen. .
Detta disposizione infatti (come modificata in ragione del d.lgs. n.32 del 2014), prevede in caso di ‘imputato che non conosce la lingua italiana’ l’obbligo per l’autorità procedente di «disporre» la traduzione di una serie di atti, tra cui la sentenza (a prescindere da una richiesta di parte). Dunque il semplice deposito della sentenza in lingua italiana non realizza l’intera fattispecie prevista dalla legge ma solo una parte, con necessità di deposito della traduzione (e di sua comunicazione, ove il deposito avvenga oltre il termine di legge, v. Sez. I n. 6361 del 7.11.2023, rv 285791) a fini di regolare formazione del giudicato.
5. Da quanto sinora detto deriva la necessità di annullamento della decisione impugnata, con rinvio per nuovo giudizio in riferimento alla verifica della regolare formazione del titolo esecutivo ai sensi dell’art.670 cod.proc.pen. .
5
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Trieste.
deciso il 27 febbraio 2024
Così
Il Consigliere estensore
Il Presid t