Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 622 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 622 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI ANCONA PESARESI NOME nato a ANCONA il 07/02/1956 COGNOME NOME nato a ANCONA il 27/02/1948
NOME nato a CIVITANOVA MARCHE il 08/06/1959
avverso la sentenza del 12/03/2024 della CORTE APPELLO di ANCONA
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME COGNOME
che ha concluso chiedendo
Il Procuratore Generale conclude per l’inammissibilita’ di entrambi i ricorsi.
udito il difensore
L’avvocato COGNOME richiamandosi ai propri scritti, chiede l’accoglimento sia del ricorso proposto per la Parte Civile che quello proposto dalla Procura.
L’avvocato COGNOME chiede dichiararsi inammissibili i ricorsi di cui è causa o, iry-
subordine, che vengano rigettati.
L’avvocato COGNOME come il Difensore che lo ha preceduto e richiamandosi agli scritti dell’avv. COGNOME chiede che i ricorsi vengano rigettati.
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Ancona dichiarava, ai sensi dell’art. 24, c.p.p., la nullità della sentenza pronunciata dal tribunale di Ancona in data 29.4.2021, con cui COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME erano stati condannati, ciascuno, alle pene, principali e accessorie, ritenute di giustizia, in ordine ai reati fallimentari relativi alla messa in liquidazione della cooperativa “RAGIONE_SOCIALE” e ai reati di truffa aggravata loro in rubrica ascritti, per difetto di competenza funzionale, disponendo la trasmissione degli atti alla procura della Repubblica presso il tribunale di L’Aquila, in quanto tale tribunale doveva ritenersi competente a procedere ex art. 11, c.p.p., sui reati riguardanti magistrati che esercitano le funzioni nel distretto di Ancona, posto che tra i soci della cooperativa messa in liquidazione risultava ricompreso un magistrato in servizio presso il circondario di Ancona, il quale assumeva, per tale ragione, la qualità di potenziale danneggiato.
Sul punto la corte territoriale aveva accolto il primo motivo di impugnazione degli imputati, ritenendo tempestiva la proposizione dell’appello, nonostante l’assunto contrario della costituita parte civile COGNOME, applicando il principio secondo cui ai fini del decorso del termine per proporre l’impugnazione non va ricompreso il giorno di scadenza per il deposito della sentenza oggetto di impugnazione, in ossequio alla regola generale alla luce della quale dies a quo non computatur in termino”.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiedono l’annullamento, hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione il procuratore generale presso la corte di appello di Ancona e la costituita parte civile.
2.1. Il pubblico ministero, in particolare, lamenta violazione di legge, in quanto la sentenza del tribunale di Ancona è stata pronunciata il 29.4.2021 con espresso termine di giorni novanta per il deposito della motivazione, per cui ai sensi del combinato disposto degli artt. 544, co. 3, 585, co. 1, lett. c) e co. 2, lett. c), c.p.p., il termine di quarantacinque
olgt per proporre appello decorreva dalla scadenza del termine di novanta giorni per il deposito della motivazione, vale a dire dal 28.7.2021, risultando perento alla data dell’11.10.2021, laddove tutti gli appelli erano stati depositati il 12.10.2021, dunque fuori termine.
Dalla inammissibilità degli appelli per tardività, il ricorrente fa discendere l’irrevocabilità della sentenza di primo grado, rilevando l’erroneità del ragionamento seguito dalla corte territoriale secondo cui nel caso in esame troverebbe applicazione la regola generale fissata dall’art. 172, co. 4, c.p.p., che deve considerarsi disattesa dallo specifico dictum dell’art. 585, co. 2, lett. c), c.p.p., rientrante nella clausola di salvezza “salvo che la legge disponga altrimenti” prevista dallo stesso art. 172, c.p.p.
2.2. La parte civile costituita lamenta, con i primi due motivi di ricorso, violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto la corte di appello, non fornendo risposta ai motivi dedotti con due memorie depositate nel corso del giudizio, ha errato nell’interpretazione della previsione di cui all’art. 585, co. 1 e 2, c.p.p., ritenendo che il termine per proporre impugnazione decorra dal giorno successivo alla scadenza del termine indicato dal giudice per il deposito della motivazione, laddove la menzionata disposizione normativa va interpretata come eccezione alla regola generale fissata dall’art. 172, co. 4, c.p.p., per cui, nel caso in esame, dies a quo computatur in termino, con la conseguenza che i proposti appelli devono ritenersi inammissibili, ai sensi dell’art. 591, co. 1, lett. c), c.p.p., perché proposti fuori termine; con il terzo motivo di ricorso la parte civile denunzia l’abnormità della sentenza oggetto di ricorso, sia per il suo profilo strutturale o genetico, trattandosi di una decisione solo apparentemente inserita in maniera organica nel sistema processuale, ma in realtà totalmente avulsa dallo schema prefissato dal legislatore, sia per il profilo funzionale di essa, comportando una indebita regressione del procedimento ad una fase processuale ormai esaurita, con il rinvio a giudizio degli imputati e la celebrazione del giudizio di primo grado, regressione che si pone in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo; con il quarto motivo di
ricorso la parte civile lamenta violazione di legge per manifesta erroneità e abnormità funzionale, nonché per inosservanza dell’art. 21, c.p.p., espressamente richiamato dall’art. 24, co. 1, ultimo periodo, c.p.p., e vizio di motivazione, in ordine all’ordinanza con cui la corte di appello ha disposto non luogo a provvedere, sulla base dell’art. 24, co. 1, c.p.p., come interpretato dalla sentenza n. 214 del 5.5.1993 della Corte Costituzionale, in ordine alla richiesta di correzione materiale avanzata dalla suddetta parte civile, nel senso di disporre la trasmissione degli atti non al pubblico ministero ma, ai sensi dell’art. 11, c.p.p., al giudice di merito innanzi al quale era pendente la res iudicanda, al momento della ravvisata incompetenza.
3. Con memoria pervenuta a mezzo di posta elettronica certificata il difensore di fiducia degli imputati chiede che i proposti ricorsi siano dichiarati inammissibili o rigettati, in quanto: 1) i provvedimenti negativi di competenza non sono ricorribili in cassazione, nemmeno per abnormità, attesa l’espressa previsione dell’art. 568, co. 2, c.p.p., e lo specifico procedimento per risolvere i conflitti di competenza stabilito dagli artt. 28 e ss., c.p.p.; 2) manifestamente infondati appaiono i rilievi svolti dai ricorrenti a proposito della questione relativa al decorso del termine per proporre impugnazione, dovendo trovare applicazione, nel caso in esame, come affermato dall’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, la regola fissata dall’art. 172, co. 4, c.p.p., sicché il termine per la presentazione del gravame inizia a decorrere dal primo giorno successivo alla scadenza di quello previsto per il deposito della motivazione, dovendosi ritenere per tale ragione gli appelli proposti dagli imputati ammissibili; 3) la parte civile non è legittimata a proporre ricorso per cassazione avverso una sentenza di natura meramente processuale, priva di ogni statuizione civile; 4) la corte territoriale ha reso una motivazione esauriente della sua decisione, senza essere tenuta a svolgere un’analisi approfondita delle deduzioni difensive; 5) nel caso in esame non è ravvisabile alcuna abnormità del provvedimento, perché la sentenza dichiarativa dell’incompetenza funzionale non si pone al di fuori del sistema, né determina la stasi del
procedimento, potendo il giudice dichiarato competente sollevare conflitto negativo di competenza; 6) legittima appare la trasmissione degli atti alla procura della Repubblica presso il tribunale di L’Aquila, e non direttamente al giudice di fase funzionalmente competente, ai sensi dell’art. 24, c.p.p., come inciso dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 214 del 1993, in presenza dì una difetto di competenza funzionale ai sensi dell’art. 11, c.p.p., rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, essendo i creditori legittimati in proprio a costituirsi parti civili nel procedimento penale per il delitto di bancarotta fraudolenta, nella qualità di persone danneggiate dal reato, atteso il mancato esercizio dell’azione civile da parte del curatore.
I ricorsi vanno dichiarati inammissibili per le seguenti ragioni.
4 Decisivo appare il tema processuale della impugnabilità del provvedimento oggetto di ricorso, che rappresenta una pre-condizione affinché vengano prese in esame le censure articolate dal pubblico ministero e dalla parte civile contro la sentenza pronunciata dalla corte di appello di Ancona.
Orbene i ricorsi sono inammissibili perché proposti avverso una sentenza di incompetenza, provvedimento non impugnabile ai sensi dell’art. 568, co. 2, c.p.p., secondo cui sono sempre soggette a ricorso per cassazione le sentenze “salvo quelle sulla competenza che possono dare luogo a un conflitto di giurisdizione o di competenza a norma dell’art. 28”.
Conflitto nel caso in esame potenzialmente configurabile perché il giudice individuato dalla corte di appello di Ancona come funzionalmente competente potrebbe ritenere la propria incompetenza non riconoscendo al magistrato in servizio nel distretto di Ancona la qualità di persona offesa dai reati fallimentari.
Sul punto la dottrina ha osservato che la regola della inoppugnabilità delle sentenze di incompetenza trova la sua ragione d’essere “nell’opportunità di devolvere le pronunce sulla competenza al controllo dello stesso organo di legittimità, ma in via preferenziale mediante il rilievo di ufficio o la denuncia del conflitto, cioè attraverso quel ricorso alla normativa conflittuale che fa della Cassazione l’unica autorità
deputata alla verifica e all’esattezza dei provvedimenti del giudice sulla propria competenza e che, dunque, determina la sottrazione del regime così disciplinato al rispetto di tutte quelle formalità, che, previste in sede di prescrizione dei termini e delle modalità dell’impugnazione, avrebbero potuto comportare, a causa della loro inosservanza la sanzione dell’inammissibilità, col risultato di pregiudicare le garanzie fondamentali che la disciplina conflittuale si preoccupa, invece di consolidare”.
Su questa linea interpretativa si è attestata la giurisprudenza di legittimità da tempo risalente, affermando che non sono impugnabili tutti i provvedimenti negativi di competenza, abbiano essi la forma di sentenza o quella di ordinanza, in quanto, a norma dell’art. 28 del nuovo codice di rito, tali provvedimenti, anche in sede di esecuzione, importano esclusivamente la elevazione del conflitto di competenza (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 1746 del 15/06/1990, Rv. 184954).
Proprio in applicazione dei richiamati principi la Corte di Cassazione ebbe modo di rilevare che diretta conseguenza della previsione dell’art. 568, co. 2, c.p.p., è l’inammissibilità del ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale, ai sensi dell’art. 24, comma primo, c.p.p., il giudice di appello, riconosciuta l’incompetenza per materia del primo giudice per qualsiasi causa (violazione delle norme sulla competenza o diversa definizione giuridica del fatto contestato), annulla la sentenza di primo grado ed ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 2037 del 21/12/1992, Rv. 193283)
Tale orientamento si è mantenuto saldo nel corso degli anni, avendo la giurisprudenza di legittimità reiteratamente ribadito il principio secondo cui i provvedimenti negativi di competenza non possono essere impugnati per cassazione ai sensi dell’art. 568, comma secondo, c.p.p., ovvero per abnormità, in quanto, non essendo attributivi di competenza, comportano – qualora anche il secondo giudice si dichiari incompetente l’elevazione del conflitto ai sensi dell’art. 28, c.p.p. (cfr., ex plurimis, Sez. 4, Sentenza n. 36764 del 08/06/2004, Rv. 229689; Sez. 6, Sentenza n. 9729 del 14/11/2013, Rv. 259251; Sez. 5, Sentenza n. 54016 del 30/10/2017, Rv. 271887; Sez. 2, Sentenza n. 14094 del
01/02/2019, Rv. 275773; Sez. 5, Ordinanza n. 7401 del 14/12/2023, Rv. 285981).
Né va taciuto, come sottolineato dal difensore degli imputati, che la disciplina prevista dall’art. 568, co. 2, c.p.p., si sottrae a possibili censure di legittimità costituzionale in relazione all’art. 111, comma settimo, Cost. nella parte in cui esclude la impugnabilità per cassazione della sentenza con la quale il giudice di pace, ritenuta la competenza del Tribunale, dichiara la propria incompetenza per materia e dispone la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica, posto che, come osservato in un condivisibile arresto di questa Corte, l’art. 111, comma settimo, presuppone, quanto alla ricorribilità in Cassazione, un provvedimento giurisdizionale caratterizzato da decisorietà e definitività, mentre, invece, la decisione sulla competenza ha un contenuto processuale non definitivo, sindacabile attraverso il conflitto di competenza che il giudice successivamente investito del processo può sollevare, ove si ritenga a propria volta incompetente, ovvero dalla stessa Corte di cassazione, quale giudice dell’impugnazione, nel caso in cui, al contrario, il secondo giudice si ritenga competente (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 33545 del 11/05/2015, Rv. 26425).
Per mera completezza espositiva va evidenziato che la dedotta abnormità, comunque inidonea, come si è già detto, ad aggirare l’ostacolo della non impugnabilità attraverso il ricorso per cassazione dei provvedimenti negativi di competenza, va comunque esclusa, posto che, come affermato in un condivisibile arresto della giurisprudenza di questa Corte, non è abnorme la sentenza che, rilevata la potenziale qualità di danneggiato dal reato di un magistrato del medesimo ufficio giudiziario di appartenenza del giudice procedente, dichiari l’incompetenza funzionale ai sensi dell’art. 11, c.p.p., in quanto la decisione assunta non si pone fuori dal sistema né determina la stasi del procedimento, potendo il giudice dichiarato competente sollevare conflitto negativo di competenza (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 4368 del 18/01/2012, Rv. 251918).
Alle ragioni della inammissibilità dei ricorsi valide per entrambi i ricorrenti esposte nelle pagine precedenti, se ne aggiunge una specifica, riguardante la parte civile, derivante, sia pure sotto diversa prospettiva, dalla natura dell’atto oggetto di ricorso.
Non sussiste, infatti, la legittimazione della parte civile a proporre impugnazione avverso la sentenza con cui il giudice di appello dichiari la nullità della sentenza di primo grado, in quanto tale decisione non rientra nel novero delle sentenze per le quali è tassativamente consentita l’impugnazione della parte civile dall’art. 576, c.p.p., vale a dire i capi della sentenza di condanna concernenti l’azione civile e la sentenza di proscioglimento pronunciata in giudizio ai soli effetti della responsabilità civile (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 45911 del 04/10/2005, Rv. 233040).
5. Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna della parte civile ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso del procuratore generale. Dichiara inammissibile, altresì, il ricorso di COGNOME Cristiano e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 25.9.2024.
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