Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 9991 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 9991 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Catanzaro
nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME nato il 18/10/1974 a Vibo Valentia
avverso l ‘ordinanza del 28/11/2024 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe indicato, il Tribunale di Catanzaro- adito in funzione di giudice di appello ex art. 310 cod. proc. pen.confermava l’ordinanza emessa il 15 aprile 2024 dal Tribunale di Vibo Valentia che aveva rigettato l’istanza volta al l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti
di NOME COGNOME condannato in esito al giudizio di primo grado alla pena di anni dieci e mesi quattro di reclusione per due episodi di estorsione aggravata ex art. 416 bis 1 cod.pen.
Ha presentato ricorso il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Catanzaro, deducendo:
violazione di legge, in relazione agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen., e vizio di motivazione per omissione e per manifesta illogicità, per avere il Tribunale assertivamente ritenuto non sussistenti le esigenze cautelari del pericolo di reiterazione nel reato e del pericolo di fuga nonostante la sentenza di condanna alla pena di sedici anni di reclusione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, perché manifestamente infondato e perché generico.
Il Pubblico ministero ricorrente deduce la violazione dell’art. 275, comma 1 bis , cod. proc. pen. che – nel far esplicito riferimento alla sentenza di condanna a pena detentiva quale fattore in grado di incidere sulle esigenze cautelari, aggravandole -giustifica l ‘applicazione della custodia custodiale in carcere .
Il devolutum impone, dunque, di affrontare il tema specifico della ‘incidenza’ della sopravvenuta sentenza di condanna sulle esigenze cautelari: occorre stabilire se un tale ‘ elemento ‘ comporti sempre e comunque un aggravamento delle esigenze cautelari, preservabili solo con la misura cautelare di massimo rigore, o se invece il Giudice procedente sia tenuto a valutarlo unitamente ad altri elementi.
3.1. La risposta -ad avviso di questo Collegio- va in primo luogo rinvenuta nella previsione di carattere generale contenuta al comma 4 dell’art. 299 cod. proc. pen.: la norma in oggetto nel rimettere al giudice, investito dell’istanza di sostituzione della misura cautelare con altra più afflittiva, la concreta individuazione dei casi cui deve conseguire l’aggravamento dei pericula libertatis -consente di affermare che la sentenza di condanna ad una pena elevata sia senza dubbio un elemento da valutare nell’apprezzamento della concretezza ed attualità del pericolo di fuga e di reiterazione del reato (cfr. Sez. 4, n. 25008 del 15/01/2007, COGNOME, Rv. 237001, nonché Sez. 6, n. 159 del 23/01/1992, COGNOME, Rv. 189461).
3.2. Sulla stessa linea si pone il testo dell’art. 275, comma 1bis , cod. proc. pen.: a seguito di una sentenza di condanna – per stabilire se risulti taluna delle esigenze indicate nell’art. 274, comma 1, lett. b) e c)- il Giudice dovrà tenere egli tenere conto ‘anche’ dell’esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti.
La precisazione che l’esame delle esigenze cautelari è condotto tenendo conto “anche” dell’esito del procedimento richiede che lo stesso sia ‘combinato’ con altri elementi sintomatici del pericolo di fuga e/o di recidivanza.
3.3. In breve, secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, che si ribadisce, la pronuncia di una sentenza di condanna in primo grado a pena elevata può fondare un provvedimento di aggravamento della misura cautelare già in atto, a norma degli artt. 299, comma 4, e 275, comma 1bis , cod. proc. pen., non in modo automatico, ma all’esito di una valutazione congiunta ad altri e preesistenti elementi specificamente sintomatici del pericolo di fuga o di reiterazione del reato (così in motivazione cfr Sez. 6 n. 34691 del 7 luglio 2016, Rv. 267796).
L’esegesi fornita dai Giudici di merito è stata rispettosa dei menzionati principi di diritto.
E’ stata , infatti, stigmatizzata la insufficienza della sola sentenza di condanna, nonostante la severità della pena inflitta e la gravità del reato ascritto al De Rito.
Si è, a tal uopo, congruamente rappresentato come nell’arco di tempo successivo alla adozione della misura degli arresti domiciliari -alla quale il De Rito era stato sottoposto per un breve periodo, essendo stato poi rimesso in libertànon fossero stati segnalati né risultassero dagli atti atteggiamenti sintomatici di proclività rispetto alla specifica tipologia delittuosa, nonché collegamenti con il contesto ambientale all’interno del quale erano maturati i fatti.
Né il COGNOME, che era a piede libero dal mese di dicembre del 2020, si era reso autore di condotte che potessero far presagire il pericolo di fuga, tanto più che la sentenza di primo grado era stata pronunciata un anno prima (i.e. 20 novembre 2023) rispetto alla richiesta di applicazione della misura custodiale.
Le censure del Pubblico Ministero ricorrente, per un verso, privilegiano una lettura frammentaria del provvedimento, senza tenere conto che la condotta criminis si colloca in un orizzonte temporale risalente e circoscritto, e , per altro verso, – discostandosi dal consolidato orientamento giurisprudenziale -collegano l’ aggravamento delle esigenze cautelari alla sola entità della pena inflitta, senza addurre e segnalare elementi concreti ed attuali che possano ragionevolmente far presumere che l’im putato possa darsi alla fuga e/o reiterare le condotte criminose.
Dichiara inammissibile il ricorso
Così deciso lo 04/03/2025
P. Q. M.