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Semilibertà: il lavoro retribuito è un requisito?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8461/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto a cui era stata negata la semilibertà. Il ricorrente sosteneva che il suo percorso positivo, dimostrato da permessi premio, e il sostegno economico familiare rendessero idonea un’attività esterna non retribuita. La Suprema Corte ha confermato la decisione del Tribunale di Sorveglianza, stabilendo che un lavoro retribuito è un elemento fondamentale per una concreta risocializzazione, in quanto promuove autonomia e responsabilità. L’appello è stato respinto perché mirava a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Semilibertà: il Lavoro Retribuito è Cruciale per la Risocializzazione?

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un tema centrale nell’esecuzione della pena: i requisiti per la concessione della semilibertà. La decisione sottolinea come, ai fini di un’effettiva risocializzazione, l’attività lavorativa esterna debba preferibilmente essere retribuita, anche quando il detenuto gode del sostegno economico della famiglia. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso

Un detenuto si vedeva rigettare la richiesta di ammissione al regime di semilibertà da parte del Tribunale di Sorveglianza di Roma. Contro questa decisione, proponeva ricorso per Cassazione, lamentando una valutazione a suo dire ingiusta e non conforme ai principi di legge.

Il ricorrente basava le sue doglianze su due punti principali:
1. Valutazione del percorso carcerario: A suo avviso, il giudice non aveva tenuto nel debito conto gli elementi positivi emersi durante l’istruttoria, in particolare i numerosi permessi premio di cui aveva fruito con esito sempre favorevole.
2. Idoneità dell’attività esterna: Contestava il giudizio di inidoneità dell’attività lavorativa esterna proposta, motivato dalla mancanza di una retribuzione. Sosteneva che tale valutazione fosse in contrasto con la giurisprudenza di legittimità e che, in ogni caso, il suo sostentamento economico era garantito dai genitori.

In sostanza, il detenuto riteneva che il suo comportamento corretto e la disponibilità di un supporto familiare dovessero essere sufficienti per ottenere il beneficio, a prescindere dalla natura retribuita del lavoro.

Le Motivazioni della Suprema Corte sulla Semilibertà

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Le motivazioni degli Ermellini sono chiare e tracciano una linea netta sulla valutazione dei presupposti per la semilibertà.

Innanzitutto, la Corte ha ribadito che il giudice di sorveglianza aveva correttamente considerato tutti gli elementi a disposizione, compresa la gravità dei reati commessi dal condannato. La decisione di rigettare l’istanza non è stata arbitraria, ma basata su una coerente valutazione secondo cui il percorso rieducativo, seppur positivo, necessitava ancora di essere consolidato.

Il punto cruciale della decisione riguarda però la questione del lavoro. La Cassazione ha ritenuto del tutto logico e opportuno il ragionamento del Tribunale di Sorveglianza, secondo cui l’attività esterna deve essere retribuita per favorire una reale risocializzazione. Il lavoro, in quest’ottica, non è solo un modo per occupare il tempo, ma uno strumento fondamentale per promuovere l’autonomia, la responsabilità e il reinserimento nel tessuto economico e sociale. Il semplice sostegno economico da parte dei familiari, pur essendo un elemento positivo, non può sostituire il valore rieducativo intrinseco di un’attività lavorativa che produce un reddito.

Infine, la Corte ha sottolineato che le censure del ricorrente miravano, in realtà, a sollecitare una nuova e diversa interpretazione dei fatti, un’operazione che non è permessa in sede di legittimità. Il ricorso per Cassazione, infatti, serve a controllare la corretta applicazione della legge, non a riesaminare nel merito le valutazioni operate dai giudici dei precedenti gradi di giudizio.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione rafforza un principio fondamentale: la concessione della semilibertà è frutto di una valutazione complessiva e discrezionale del giudice, che deve bilanciare i progressi del detenuto con la necessità di un percorso di reinserimento solido e concreto. In questo quadro, un lavoro retribuito assume un’importanza strategica, poiché rappresenta un passo tangibile verso l’indipendenza e la responsabilizzazione individuale, elementi indispensabili per un’efficace risocializzazione. La decisione ha quindi portato alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, confermando la piena legittimità della decisione del Tribunale di Sorveglianza.

Avere un esito positivo dai permessi premio garantisce l’accesso alla semilibertà?
No. Secondo l’ordinanza, sebbene i permessi premio con esito favorevole siano un elemento positivo, il giudice deve valutare tutti gli aspetti, inclusa la gravità dei reati commessi e la necessità di consolidare il percorso di recupero, prima di concedere il beneficio.

Un’attività lavorativa non retribuita è un ostacolo per ottenere la semilibertà?
Può esserlo. La Corte ha ritenuto opportuno che l’attività esterna sia retribuita, poiché ciò favorisce concretamente la risocializzazione del condannato, promuovendo autonomia e responsabilità, anche quando il soggetto è economicamente sostenuto dalla famiglia.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e i fatti del caso?
No. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile proprio perché le critiche mosse erano volte a ottenere una nuova e diversa lettura degli elementi già valutati dal giudice di sorveglianza, operazione non consentita in sede di legittimità, dove si giudica solo la corretta applicazione della legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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