Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23576 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23576 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a DESENZANO DEL GARDA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/12/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore:
L’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
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Ritenuto in fatto
È oggetto di ricorso la sentenza, indicata in epigrafe, con cui la Corte d’appello ha confermato il provvedimento di primo grado, che ha dichiarato NOME responsabile del delitto di cui all’art. 483 cod. pen., condannandolo alla pena -condizionalmente sospesa- di mesi quattro di reclusione. Secondo i giudici del merito, l’imputato, nel trasmettere dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà alla RAGIONE_SOCIALE ai fini dell’iscrizione della “NOME RAGIONE_SOCIALE” nel Registro delle imprese, falsamente attestava la sede della propria impresa presso un luogo nel quale, di fatto, non era stata rinvenuta alcuna attività commerciale.
Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc pen.
2.1. Con il primo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all’art. 483, rilevando la mancanza, nel caso in esame, del dolo generico in capo all’imputato, invece ravvisato dalla Corte territoriale. La difesa fa notare che il NOME, nell’ambito della propria attività di compravendita di autovetture, ha sempre indicato, in tutti gli atti di compravendita, il proprio indirizzo di residenza, non già quello della ditta e, ciò, in conformità con l’art. 139 cod. proc. civ., che, secondo il ricorrente, implicherebbe che tutte le comunicazioni a una ditta individuale vadano indirizzate presso il luogo di residenza del titolare della ditta stessa. La Corte d’appello avrebbe inoltre ignorato quanto dedotto con atto d’appello a proposito della visura della RAGIONE_SOCIALE di commercio, da cui risultava 1) che l’indirizzo fornito nella dichiarazione sostitutiva coincideva con l’indirizzo di residenza del ricorrente e 2) che l’attività commerciale del NOME non prevedeva alcun deposito di veicoli presso la sede della ditta.
2.2 Col secondo motivo, si eccepisce azione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla mancata derubricazione del reato nella fattispecie prevista dall’art. 484 cod. pen., che avrebbe dovuto trovare applicazione nel caso di specie, posto che la dichiarazione sostitutiva presentata dall’imputato era prodromica all’iscrizione della ditta del RAGIONE_SOCIALE nel Registro delle imprese. Peraltro, secondo l’imputato, l’art. 484 sarebbe norma speciale rispetto a quella prevista dall’art. 483 cod. pen. e andrebbe applicata anche laddove la condotta si perfezioni mediante dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.
2.3 Col terzo motivo, si duole di vizio di motivazione in relazione alla denegata applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., per avere la Corte territoriale fondato tale
esclusione sulla sola base dell’asserita gravità del reato e con fugace e non meglio argomentato riferimento alla “rilevanza pubblica della dichiarazione alterata”.
All’udienza si è svolta trattazione orale del ricorso. Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, NOME COGNOME, ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
Il primo motivo è manifestamente infondato per le ragioni di seguito illustrate.
Innanzitutto, si osserva che il ricorrente propone censure reiterative delle medesime doglianze dedotte nel giudizio di appello, rispetto alle quali non può che ribadirsi quanto già, più volte, chiarito da parte di questa Corte di legittimità, per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce i medesimi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 26060801; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838- 01).
Ciò vale, segnatamente, per quella parte di tesi difensiva che insiste sull’assenza, nella attività commerciale dell’imputato, del deposito di veicoli. A tal proposito, la Corte d’appello ha fornito precipua replica, evidenziando l’inconferenza di un siffatto argomento rispetto al profilo centrale (ai fini della sussistenza sia dell’elemento soggettivo sia di quello oggettivo dell’ascritto reato), vale a dire la mancata ed effettiva corrispondenza dell’indirizzo indicato dal NOME con qualsivoglia attività (di natura commerciale o di qualsiasi altro genere) riferibile allo stesso.
A tale conclusione, la Corte è giunta non senza prima avere indicato le fonti dichiarative sulle quali ha basato il proprio giudizio, ricordando come sia da accertamenti in loco (cioè, presso l’indirizzo dichiarato dall’imputato, nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio, quale sede legale della ditta individuale) sia presso l’anagrafe del Comune fosse emersa la totale estraneità del NOME, e della sua attività commerciale, rispetto al luogo da lui indicato (INDIRIZZO Santo NOME).
In tal modo, i giudici dell’appello hanno operato buon governo dei canoni ermeneutici elaborati da questa Corte in tema di prova dell’elemento soggettivo dolo generico- del reato ascritto, che non può «essere considerato in “re ipsa”, dovendo bensì il giudice rigorosamente provarlo» (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 30862 del 14/05/2015, Di Stasi, Rv. 264328 – 01, dovendo escludere il reato quando risulti, ad esempio, che il falso deriva da una semplice leggerezza ovvero
A
da una negligenza dell’agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo; Sez. 1, n. 27230 del 11/09/2020, Taroni, Rv. 279785 – 01). Del pari inconferente è il tema su cui insiste la difesa, a proposito dell’art. 139 cod. proc. civ.: la Corte ha invero illustrato, con la massima chiarezza possibile, che la violazione del precetto penale è consistita non già nell’indicazione del proprio indirizzo di residenza quale sede legale della propria ditta (ciò che l’imputato poteva ben fare, come ricordato dalla Corte a p. 3 della motivazione), bensì con il rendere una dichiarazione scientemente falsa in merito al luogo indicato, risultato del tutto estraneo al NOME (nel senso che, in quel luogo, non si radicava né la sua residenza anagrafica né la sede legale dell’impresa). Da ciò, è derivato il condivisibile e logicamente argomentato apprezzamento della Corte territoriale circa la sussistenza del dolo generico nel caso di specie (sul punto, ex multis, Sez. 5, n. 12547 del 08/11/2018, dep. 2019, Sirianni, Rv. 276505 – 02).
2. Il secondo motivo è infondato. Anche in tal caso, il ricorrente elude il confronto, critico ed effettivo, con l’argomentazione principale su cui poggia l’iter motivazionale dell’impugnata sentenza, vale a dire la natura di atto pubblico propria della dichiarazione sostitutiva di atto notorio.
Premesso che, agli effetti penali, la nozione di atto pubblico è più ampia di quella desumibile dall’art. 2699 cod. civ., rientrandovi anche gli atti non redatti da pubblici ufficiali, che abbiano però attitudine ad assumere rilevanza giuridica o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione (cfr., ad es., Sez. 5, n. 17089 del 17/02/2022, Stifanelli, Rv. 283007 – 01), la Corte territoriale ha puntualmente evocato, e correttamente al caso di specie, i principi giurisprudenziali di questa Corte, secondo cui integra il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.) la condotta di colui che dichiari il falso in sede di dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa ai sensi dell’art. 47 d.P.R. n.445 del 2000 (Sez. 5, n. 30099 del 15/03/2018, COGNOME, Rv. 273806 – 01; Sez. 5, n. 7857 del 26/10/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272277 – 01).
In particolare, la Corte d’appello ha adeguatamente valorizzato pronunce giurisprudenziali che, con riferimento alla ratio delle norme di cui agli artt. 46 e 47 del testo unico in materia di documentazione amministrativa (e, dunque, all’esigenza, espressa dal legislatore con queste norme, di semplificazione della documentazione amministrativa tra P. A. e privati cittadini), hanno evidenziato la piena equiparazione delle dichiarazioni sostitutive di dichiarazioni, rilasciate dal privato ai sensi dei citati artt. 46 e 47 del d. P. R. del 28 dicembre 2000, n. 445, agli atti pubblici (Sez. 3, n. 17419 del 04/04/2023, Pmt c. Bonfiglio, Rv. 284662 – 02, in motivazione).
Peraltro, il riferimento operato dalla Corte agli artt. 46 e 47 del d. P. R. del 28 dicembre 2000, n. 445 è tanto più opportuno ove si rifletta sulla natura di norma cd. in bianco dell’art. 483 cod. pen., il cui significato va specificato attraverso il ricorso ad altre fonti normative (come, nel caso di specie, i citati artt. 46 e 47 del d. P. R. del 28 dicembre 2000, n. 445). Infatti, come sostenuto dalla prevalente dottrina, soltanto una specifica norma giuridica (anche extra-penale) può predestinare l’atto pubblico alla prova di fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale; di talché, l’efficacia probatoria dell’atto stesso si ricollega al dovere del privato di dichiarare il vero (dovere altrimenti – in mancanza, cioè, di una norma esterna all’art. 483 cod. pen. – insussistente).
Del tutto fuori fuoco, pertanto, è la censura gravitante attorno alla mancata derubricazione dell’ascritto reato nella fattispecie prevista dall’art. 484 cod. pen.. In primo luogo, non ha fondamento il rilievo circa il rapporto di specialità che, a parere del ricorrente, legherebbe gli artt. 483 e 484 cod. pen., trattandosi di norme diverse per bene giuridico protetto, per condotta e per oggetto materiale. L’art. 484 cod. pen. punisce infatti il falso in scrittura privata. Per quanto le registrazioni e le notificazioni previste da tale norma siano soggette a particolare tutela a causa della speciale importanza che rivestono, esse sono considerate, dalla più autorevole dottrina, scritture private. Non ha pertanto fondamento affermare, come fa il ricorrente, che l’art. 484 sarebbe norma speciale rispetto a quella prevista dall’art. 483 cod. pen., posto che il criterio di specialità opera, com’è noto, nel caso in cui due norme abbiano un oggetto (parzialmente) identico; in tal caso, a prevalere è la norma con l’oggetto più specifico. Ma, come sopra accennato, nel caso di specie non si rinviene la parziale identità dell’oggetto delle due norme in questione.
Risulta quindi correttamente applicata al caso di specie la norma di cui all’art. 483 cod. pen.
Il terzo motivo è infondato. Sebbene la denegata applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., sia stata motivata in forma sintetica sulla base della “rilevanza pubblica della dichiarazione alterata”, le più ampie ragioni giustificatrici di tale parte della decisione sono rese nell’intera parte motiva dell’impugnata decisione, il cui punto focale, come già illustrato retro, sub 1., è dedicato a dimostrare la natura di atto pubblico della dichiarazione sostitutiva di atto notorio e, dunque, la sua rilevanza ai fini della tutela della pubblica fede. Deve quindi ritenersi che la deduzione relativa all’art. 131 bis cod. pen., prospettata con atto d’appello, sia stata adeguatamente disattesa non soltanto per il tramite della sintetica valutazione dedicata della Corte territoriale al tema, ma della motivazione della sentenza
complessivamente considerata (cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 27825 del 22/05/2013, Caniello, Rv. 256340 – 01).
Per i motivi fin qui esposti, il Collegio ritiene che il ricorso . vada rigettato. Alla pronuncia di rigetto consegue ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 05/04/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente