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Scomputo pena: quando si può chiedere? La Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un condannato che lamentava il mancato scomputo pena del periodo trascorso in misura cautelare. La Corte ha stabilito che la richiesta era tardiva, in quanto non presentata nelle fasi precedenti del giudizio di esecuzione, introducendo un tema nuovo ed estraneo all’oggetto della decisione. Rimane salvo il diritto del condannato di presentare un’istanza separata, ma solo per i periodi di custodia cautelare effettiva.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Scomputo pena: una richiesta da presentare al momento giusto

Lo scomputo pena, noto anche come ‘presofferto’, è un diritto fondamentale del condannato, che consente di detrarre dalla pena definitiva il periodo trascorso in custodia cautelare. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 23675/2025) ci ricorda che anche l’esercizio di questo diritto segue precise regole procedurali. Introdurre la richiesta tardivamente può renderla inammissibile, anche se il diritto sostanziale rimane intatto. Analizziamo insieme questo interessante caso.

I fatti del caso: dalla richiesta di pena sostitutiva al ricorso

La vicenda ha origine dalla condanna di un uomo a due anni e quattro mesi di reclusione. Sfruttando le recenti normative (d.lgs. n. 150/2022), l’interessato presentava un’istanza al giudice dell’esecuzione per ottenere la sostituzione della pena detentiva con il lavoro di pubblica utilità. Inizialmente, il giudice accoglieva solo parzialmente la richiesta, disponendo la detenzione domiciliare.

Il condannato proponeva un primo ricorso in Cassazione, contestando unicamente la mancata concessione del lavoro di pubblica utilità. La Suprema Corte accoglieva il ricorso, annullava la decisione e rinviava gli atti al giudice dell’esecuzione per una nuova valutazione. In questa seconda sede, il giudice accoglieva pienamente la richiesta originaria, sostituendo la pena carceraria con 850 giorni di lavoro di pubblica utilità.

Il nuovo ricorso e il tema dello scomputo pena

È a questo punto che la vicenda si complica. Il condannato, tramite il suo difensore, presentava un secondo ricorso in Cassazione. Questa volta, l’oggetto della doglianza non era più la tipologia di pena sostitutiva, ma il mancato scomputo pena relativo ai periodi trascorsi in custodia in carcere, agli arresti domiciliari e persino in regime di obbligo di dimora prima della sentenza definitiva. Secondo la difesa, il giudice avrebbe dovuto detrarre questo tempo dalla durata complessiva dei lavori di pubblica utilità.

Le motivazioni della Cassazione: il principio del ‘thema decidendi’

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando le argomentazioni della difesa. La motivazione è prettamente di natura procedurale e si fonda sul principio del thema decidendi, ovvero l’oggetto del giudizio.

I giudici hanno osservato che la questione dello scomputo pena non era mai stata sollevata in precedenza:
1. Non era stata inclusa nell’istanza originaria presentata al giudice dell’esecuzione.
2. Non era stata oggetto del primo ricorso per cassazione, che si concentrava esclusivamente sulla scelta della pena sostitutiva.

Di conseguenza, il giudice di rinvio aveva il solo compito di decidere se applicare o meno il lavoro di pubblica utilità, poiché quello era l’unico punto devoluto dalla precedente sentenza di annullamento. Introdurre il tema del presofferto in questa fase significava presentare una questione nuova, estranea al perimetro decisionale del giudice.

Conclusioni: un diritto da esercitare con una specifica istanza

La decisione della Cassazione offre due importanti lezioni pratiche.

In primo luogo, le questioni procedurali devono essere sollevate nei tempi e nei modi corretti. Il ricorso è stato respinto non perché il condannato non avesse diritto allo scomputo, ma perché ha sollevato la questione in un momento processualmente inidoneo. La Corte ha infatti precisato che il diritto del condannato a ottenere la detrazione del presofferto rimane ‘fermo’ e può essere esercitato presentando un’apposita e separata istanza al giudice dell’esecuzione, come previsto dall’art. 657, comma 3, del codice di procedura penale.

In secondo luogo, la Corte coglie l’occasione per ricordare quali periodi siano effettivamente scomputabili. Citando il comma 4 dello stesso articolo, viene specificato che lo scomputo riguarda unicamente la ‘custodia cautelare subita’, ovvero i periodi trascorsi in carcere e agli arresti domiciliari. Restano escluse le misure cautelari non custodiali, come l’obbligo di dimora.

È possibile chiedere lo scomputo della pena in qualsiasi momento del procedimento?
No, la richiesta va presentata tempestivamente. In questo caso, la Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso perché la questione dello scomputo non era stata sollevata né in prima istanza né nel primo ricorso, risultando quindi un tema nuovo ed estraneo all’oggetto del giudizio di rinvio (thema decidendi).

Tutti i periodi trascorsi in misura cautelare sono scomputabili dalla pena finale?
No. La Corte ha chiarito che, ai sensi dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., è possibile scomputare soltanto la ‘custodia cautelare subita’, cioè i periodi trascorsi in carcere o agli arresti domiciliari, escludendo le misure non custodiali come l’obbligo di dimora.

Cosa può fare il condannato se il giudice omette di calcolare il presofferto?
Il condannato conserva il diritto di presentare una specifica e separata istanza al giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 657, comma 3, cod. proc. pen., per chiedere e ottenere la detrazione del periodo di custodia cautelare già sofferto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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