Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 36926 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 36926 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/09/2024
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 1492/2024
ALDO ACETO
UP – 12/09/2024
NOME COGNOME
Relatore –
R.G.N. 9866/2024
NOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da: COGNOME nato a Altamura il 04/01/1986
avverso la sentenza del 30/01/2024 del TRIBUNALE di Bari Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi lÕinammissibilitˆ o lÕinfondatezza del ricorso, trattato ai sensi ex art.23, comma 8, d.l. n.137/20, e successive modifiche ed integrazioni;
lette le conclusioni scritte del difensore, Avv. NOME COGNOME nellÕinteresse del ricorrente, con cui ha insistito nellÕaccoglimento del ricorso.
Con sentenza del 30 gennaio 2024, il Tribunale di Bari dichiarava NOME COGNOME colpevole del reato di cui allÕart. 137, d. lgs. n. 152 del 2006, perchŽ, quale legale rappresentante dellÕazienda agricola omonima, effettuava scarichi di reflui zootecnici senza la prescritta autorizzazione, fatto contestato come accertato nel dicembre 2018.
Avverso tale sentenza, il predetto ha proposto ricorso per cassazione tramite il difensore di fiducia, deducendo un unico motivo, di seguito sommariamente indicato.
2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 137 e 318, d. lgs. n. 152 del 2006.
In sintesi, premette il ricorrente che lo scarico di effluenti da allevamento, a seguito delle modifiche normative, è sanzionato esclusivamente in via amministrativa, residuando quale unica condotta penalmente rilevante, l’utilizzazione agronomica non autorizzata di tali effluenti. AffinchŽ l’utilizzo degli scarti zootecnici possa intendersi penalmente rilevante è per˜ necessario che siano predisposte specifiche modalitˆ di stoccaggio e di spandimento dei materiali tali da rendere possibile il loro effettivo utilizzo irriguo, ipotesi che nel caso di specie non si sarebbe verificata. Dagli atti di indagine emerge, infatti, che il letame prodotto dall’azienda zootecnica veniva ammassato su una platea destinata allo stoccaggio dello stesso, priva di cordolo e di un sistema di convogliamento per la raccolta e lo stoccaggio dei reflui, con l’ovvia conseguenza che, in via del tutto accidentale e disomogenea, i liquidi provenienti dal letame stoccato riversavano sul terreno seminativo adiacente alla platea di stoccaggio. Quanto sopra emergerebbe chiaramente dal verbale di accertamento del 23 novembre 2018, risultando infatti che i liquidi di sgrondo, provenienti accidentalmente dal materiale palabile ed accatastato, non erano evidentemente utilizzati per fertilizzare o irrigare il terreno. Vi sarebbe dunque un’evidente erronea applicazione della legge penale avendo il giudice ritenuto configurabile l’ipotesi contravvenzionale contestata ma riferita al semplice scarico non autorizzato degli influenti da allevamento, sanzionato esclusivamente in via amministrativa.
Conclude, peraltro, la difesa osservando come, anche se si volesse ritenere penalmente rilevante l’iniziale condotta del ricorrente, dovrebbe comunque evidenziarsi come, in occasione della verifica dell’adempimento di cui all’articolo 318del testo unico ambientale, lo sversamento nel terreno era stato definitivamente interrotto, atteso che l’unico inadempimento rilevato riguardava la mancata creazione di idonea concimaia per lo stoccaggio di materiale palabile, che peraltro era stata quasi ultimata. Dunque, l’azione penale non avrebbe dovuto essere promossa in ragione dell’effetto estintivo di cui agli articoli 318e seguenti del testo unico ambientale.
Con requisitoria scritta del 15 luglio 2024, il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto dichiararsi lÕinammissibilitˆ o lÕinfondatezza del ricorso.
In sintesi, secondo il PG, la decisione impugnata risulta conforme al principio per il quale ÇIn tema di tutela delle acque dall’inquinamento, anche a seguito della depenalizzazione della condotta di scarico senza autorizzazione di reflui provenienti da attivitˆ d’allevamento del bestiame per effetto delle modifiche introdotte dal d. lgs. 16
gennaio 2008, n. 4 all’art. 101, comma settimo, lett. b) del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, l’utilizzazione agronomica dei reflui medesimi, al di fuori dei casi o dei limiti consentiti, continua ad integrare il reato previsto dall’art. 137, comma quattordicesimo, del D.lgs. n. 152 del 2006È (Sez. 3, n. 26532 del 2008, Rv. 240553-01). é manifestamente infondata poi per il PG la deduzione intesa alla declaratoria di estinzione del reato per effetto della procedura di cui alla Parte VI bis del d. lgs. cit., posto che lo stesso ricorrente, confermando quanto indicato nella sentenza impugnata, ammette di non aver completamente ottemperato ad una parte qualificante delle prescrizioni impartite dalla Polizia giudiziaria: quella che atteneva alla creazione di idonea concimaia per lo stoccaggio del letame e alla realizzazione di idonei sistemi di raccolta e stoccaggio dei liquidi di sgrondo.
In data 9 agosto 2024, lÕAvv. NOME COGNOME nellÕinteresse del ricorrente, ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte con cui ha insistito nellÕaccoglimento del ricorso.
1. Il ricorso è complessivamente infondato.
Nel caso di specie, premette il Collegio, coglie nel segno lÕobiezione difensiva laddove evidenzia come i fatti accertati abbiano escluso che ci si trovi in presenza della violazione per cui è intervenuta condanna, ossia lÕutilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento al di fuori dei casi o limiti consentiti, unica per la quale, come correttamente afferma il giudice, residua rilevanza penale (Sez. 3, n. 26532 del 21/05/2008, Rv. 240553 Ð 01).
2.1. La regola generale è contenuta nell’articolo 74, lettera g), del d. lgs. 152/2006, secondo cui sono acque reflue ÇdomesticheÈ le Çacque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attivitˆ domesticheÈ, mentre per la successiva lettera h), sono Çacque reflue industrialiÈ qualsiasi tipo di Çacque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attivitˆ commerciali o di produzione di beniÈ, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento. Tuttavia, l’art. 101 del Dlgs 152/06, dettato in tema di Çcriteri generali della disciplina degli scarichiÈ stabilisce la assimilazione ÇseccaÈ delle acque reflue Çprovenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiameÈ alle acque reflue domestiche.
2.2. La disposizione in esame è stata modificata dall’articolo 2, comma 8, d. lgs. 16/01/2008, n. 16, che ha eliminato le successive parole Çche, per quanto riguarda gli effluenti di allevamento, praticano l’utilizzazione agronomica in conformitˆ alla disciplina
regionale stabilita sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di cui all’articolo 112, comma 2, e che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo per ognuna delle quantitˆ indicate nella Tabella 6 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decretoÈ. Quindi, innovando sensibilmente la precedente disciplina, l’attuale normativa ha parificato, senza limitazioni, alle acque reflue domestiche le acque reflue provenienti dall’attivitˆ di allevamento del bestiame (cos’ Sez. 3, n. 38866 del 30/05/2017, COGNOME, Rv. 271801 – 01). L’ultima sentenza citata sottolinea come la modifica normativa operata, comportando il venire meno della Çconnessione funzionale dell’allevamento con la coltivazione della terraÈ e dei criteri di individuazione di tale connessione, capovolge sostanzialmente i termini della questione rispetto alla disciplina regolata dal d.lgs. n. 152/2006: mentre, infatti, con la normativa pregressa le acque reflue provenienti da una attivitˆ di allevamento del bestiame andavano considerate, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, come acque reflue industriali, e solo eccezionalmente potevano essere assimilate, ai detti fini, alle acque reflue domestiche qualora fosse dimostrata la presenza delle condizioni indicate dal D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 28, comma 7, lett. b), e poi d.lgs. n. 152 del 2006, art. 101, comma 7, ossia quando vi era la prova della connessione del terreno agricolo con le attivitˆ di allevamento (Sez. 3, n.4500 del 17/11/2005, Rv. 233283); nell’attuale assetto normativo, per effetto della caducazione suindicata, l’assimilazione prevista dell’art. 101, comma 7, delle acque reflue domestiche a quelle provenienti da imprese dedite all’allevamento di bestiame, diviene la regola (Sez.3, n.26532 del 21/05/2008, Rv.240552).
2.3. Per effetto di tali modifiche si è ritenuto, pertanto, sanzionato solo in via amministrativa, ai sensi del d.lgs. 152 del 2006, art. 133, comma 2, lo scarico senza autorizzazione degli effluenti di allevamento. L’unica eccezione rimane quella – richiamata
dell’art. 101, comma 7 – del d.lgs. n. 152 del 2006 – dell’art. 112 che regola l’utilizzazione agronomica: per effetto del combinato delle disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, art. 101 comma 7, art. 112 e art. 137, comma 14, nel caso di gestione degli effluenti di allevamento, infatti, continua a mantenere rilevanza penale la sola utilizzazione agronomica – cos’ come definita dall’art. 74, comma 1 lett. p) del d.lgs. n. 152/2006 – nelle ipotesi in cui la stessa avvenga al di fuori dei casi o dei limiti consentiti. Secondo la normativa attualmente vigente, quindi, le acque reflue provenienti da imprese dedite all’allevamento di bestiame sono assimilate alle acque reflue domestiche ai fini della disciplina degli scarichi e lo scarico senza autorizzazione degli effluenti d’allevamento non è più previsto dalla legge come reato, ma integra l’illecito amministrativo previsto dall’art. 133, comma secondo, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. (Sez.3, n.26532 del 21/05/2008, Rv.240552; Sez.3, n.9488 del 29/01/2009, Rv.243112).
Ove quello in esame dovesse essere classificato come uno scarico di acque reflue, pertanto, come del resto emerge dalla imputazione, la sentenza andrebbe annullata senza rinvio perchŽ il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Tuttavia, non è cos’, ritenendo il Collegio che il giudice (e prima ancora il PM) abbiano erroneamente qualificato giuridicamente il fatto.
4.1. La Corte ha infatti evidenziato come i liquami prodotti dall’esercizio di azienda zootecnica costituiscono acque di scarico solo se il collegamento fra ciclo di produzione e recapito finale sia diretto ed attuato, senza soluzione di continuitˆ, mediante una condotta o altro sistema stabile di collettamento (Sez. 3, n. 16623 del 08/04/2015, COGNOME, Rv. 26335401), costituito da un sistema di deflusso, oggettivo e duraturo, che comunque canalizza, senza soluzione di continuitˆ, in modo artificiale o meno, i reflui fino al corpo ricettore, mentre in tutti gli altri casi nei quali manchi il nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo recettore si verte invece nell’ambito della disciplina sui rifiuti. Sez. 3, n. 50629 del 04/10/2017, COGNOME, n.m., ha poi precisato che la disciplina delle acque sarˆ applicabile in tutti quei casi nei quali si è in presenza di uno scarico, anche se soltanto periodico, discontinuo o occasionale, di acque reflue in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuato tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile. In tutti gli altri casi nei quali manchi il nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo recettore si applicherˆ, invece, la disciplina sui rifiuti (cfr., tra le tante: Sez. 3, n. 45340 del 19/10/2011, COGNOME, Rv. 251335; Sez. 3, n. 22036 del 13/04/2010, Chianura, Rv. 247627; Sez. 3, n. 35138 del 18/6/2009, COGNOME, Rv. 244783) e che ad identiche conclusioni si è pervenuti anche con riferimento alla raccolta di liquami zootecnici (Sez. 3, n. 15652 del 161:3/2011, COGNOME, Rv. 250005; Sez. 3, n. 27071 del 20/5/2008, COGNOME e altro, Rv. 240264).
4.2. Pertanto, in assenza di uno ÇscaricoÈ in senso tecnico-giuridico, i liquami zootecnici costituiscono rifiuto ai sensi dell’art. 185, comma 1, lett. a), D.lgs. n. 152/32006, con applicazione della disciplina della parte quarta del Decreto anche in termini sanzionatori, ai sensi dell’art. 256 del Testo Unico. Secondo la costante giurisprudenza della Corte, il nesso funzionale e diretto delle acque con il corpo recettore pu˜ essere attuato mediante Çqualunque sistema stabile di collettamentoÈ che ne consenta la canalizzazione senza soluzione di continuitˆ, e non necessariamente attraverso una ÇcondottaÈ: quindi, per ÇscaricoÈ, si deve intendere l’immissione nel corpo recettore tramite condotta o comunque tramite un sistema di canalizzazione anche se non necessariamente costituito da tubazioni (Sez. 3, n. 40191 del 11/10/2007, Schembri, Rv. 238057 – 01).
4.3. Tuttavia – e questo è il fulcro della tematica – va escluso un ritorno al concetto di Çscarico indirettoÈ che era previsto dalla Çlegge COGNOME (art. 1, lettera a) e che non è stato riproposto nel d. lgs. n. 152 del 2006 (v. Sez. 3, n. 50432 del 15/10/2019, COGNOME,
Rv. 277400 Ñ 01, secondo cui lo Çscarico indirettoÈ, come quello legato all’esistenza di un pozzo nero, e che si concretizza in pratica ogni qual volta si verifica un’interconnessione tra il condotto d’adduzione e il corpo ricettore, va semplicemente ad essere ricompreso nel comune concetto di Çrifiuto liquidoÈ e resta dunque sotto l’impianto di regolamentazione della parte quarta del d. lgs. n. 152/2006).
4.4. In tal senso, la Corte ha ritenuto che sono da considerarsi rifiuti allo stato liquido, e non acque di scarico:
gli effluenti di allevamento di bestiame che, in luogo di defluire direttamente nelle condotte di scarico, siano raccolti in apposite vasche a tempo indeterminato (Sez. 3, n. 15652 del 16/3/2011, COGNOME, cit.);
i reflui, ove siano raccolti prima in una vasca e poi sparsi sul terreno (Sez. 3, n. 27071 del 20/05/2008, Cornalba, cit.);
i reflui stoccati in modo incontrollato e a tempo indeterminato all’interno di vasche che, tracimando dai bordi, finiscano nel terreno circostante (Sez. 3, n. 21785 del 28/04/2011, COGNOME, Rv. 250479 – 01).
é quindi del tutto evidente che il concetto di Çstabile collettamentoÈ deve essere inteso non in senso assoluto, ma relativo, ossia riferito alla presenza di un Çcollegamento funzionale direttoÈ tra il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore.
Nel caso di specie, il processo ha restituito una situazione di fatto per cui il letame prodotto dall’azienda zootecnica veniva ammassato su una platea destinata allo stoccaggio dello stesso, priva di cordolo e di un sistema di convogliamento per la raccolta e lo stoccaggio dei reflui, con l’ovvia conseguenza che, in via del tutto accidentale e disomogenea, i liquidi provenienti dal letame stoccato riversavano sul terreno seminativo adiacente alla platea di stoccaggio. Quanto sopra emerge chiaramente dal verbale di accertamento del 23 novembre 2018, risultando infatti che i liquidi di sgrondo, provenienti accidentalmente dal materiale palabile ed accatastato, non erano evidentemente utilizzati per fertilizzare o irrigare il terreno.
5.1. é quindi evidente come, nel caso di specie, non si versasse in unÕipotesi di effettuazione di ÒscarichiÓ di reflui zootecnici senza la prescritta autorizzazione (condotta che, come è noto, non costituisce più reato), ma di sversamento accidentale e incontrollato di rifiuti allo stato liquido che riversavano sul terreno seminativo adiacente alla platea di stoccaggio, rendendo configurabile il diverso reato di cui allÕart. 256, comma 2, d. lgs. n. 152 del 2006.
5.2. Il Collegio ritiene dunque che, nel caso di specie, manchi il requisito dello Çstabile collettamentoÈ, come dianzi specificato, necessario affinchŽ sia applicabile la disciplina degli scarichi.
NŽ, si noti, nel caso di specie è configurabile il fatto qualificato giuridicamente dal giudice, ossia la violazione dellÕart. 137, comma 14, D.lgs. n. 152 del 2006.
6.1. Essa è definita dall’articolo 74, lettera p), del testo unico come Çla gestione di effluenti di allevamento, acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive, acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari, dalla loro produzione fino all’applicazione al terreno ovvero al loro utilizzo irriguo o fertirriguo, finalizzati all’utilizzo delle sostanze nutritive e ammendanti nei medesimi contenuteÈ.
Questa Corte (Sez. 3, n. 9717 del 10/01/2020, Battipaglia, n.m.) ha chiarito che detta pratica prescinde dalla modalitˆ di gestione delle acque reflue di allevamento, sia che esse siano o no soggette alla normativa sui rifiuti o a quella sulle acque, ed in questo ultimo caso indipendentemente dalla classificazione dello scarico come industriale o domestico.
6.2. Deve tuttavia escludersi l’applicabilitˆ dell’articolo 137, comma 14, d. lgs. 152/2006, al caso in esame. La norma infatti sanziona con la pena dell’ammenda Çchiunque effettui l’utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento, di acque di vegetazione dei frantoi oleari, nonchŽ di acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari di cui all’articolo 112, al di fuori dei casi e delle procedure ivi previsteÈ. é quindi di tutta evidenza che ci˜ che la norma sanziona è l’attivitˆ di fertirrigazione svolta in casi non consentiti dalla legge o con modalitˆ difformi da quelle consentite, non anche il mero scarico dei reflui in corpo recettore, per il quale si applica la disciplina delle acque di scarico ovvero, come nel caso di specie, quella sui rifiuti, non essendosi in presenza di uno ÒscaricoÓ tecnicamente qualificabile come tale.
Deve, quindi, procedersi alla riqualificazione giuridica del fatto contestato nei termini di cui sopra, non essendovi alcun obbligo di disporre il rinvio in applicazione dell’articolo 611 cod. proc. pen., che, al comma 1, introdotto dal d. lgs. n. 150/2022, stabilisce che Çse ritiene di dare al fatto una definizione giuridica diversa, la Corte dispone con ordinanza il rinvio per la trattazione del ricorso in udienza pubblica o in camera di consiglio con la partecipazione delle parti, indicando la ragione del rinvio e dandone comunicazione alle parti con l’avviso di fissazione della nuova udienzaÈ.
7.1. Si tratta, infatti, di disposizione inapplicabile, , al presente processo.
Ed infatti, l’articolo 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, prevedeva, quale regime transitorio, che, per le impugnazioni proposte sino al 31 dicembre 2023 continuassero ad applicarsi le disposizioni di cui agli articoli 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e 9, e 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176. Tale termine è stato poi differito al 30 giugno 2024 dall’articolo 11, comma 7, del d.l. n. 215/2023, convertito con legge 23 febbraio 2024, n. 18.
7.2. Vero è che la disciplina transitoria non menzionava esplicitamente il comma in parola. Tuttavia, si deve ritenere che la disciplina delle impugnazioni, come modificata dalla c.d. “riforma Cartabia”, debba essere considerata come un “sistema chiuso”, in cui i commi da 1a 1dell’articolo 611 del codice di rito si pongono in termini antitetici rispetto al procedimento delineato dagli articoli 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e 9, e 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137. Non a caso, Sez. 3, n. 37046 del 27/06/2023, COGNOME, n.m., ha evidenziato come l’art. 35 comma 1, lett. a), n. 2) del d.lvo n. 150 del 2022, nel contesto della riforma del rito nel giudizio di legittimitˆ, sia intervenuta sull’art. 611 cod. proc. pen. ed ha previsto che la trattazione dei ricorsi davanti alla Corte di cassazione avvenga in camera di consiglio, con contraddittorio scritto senza l’intervento delle parti, previsione della trattazione dei ricorsi con contraddittorio scritto che diviene rito ordinario per i giudizi di cassazione, a cui si pu˜ derogare solo in presenza di specifici presupposti e previa richiesta delle parti o decisione della corte stessa. Si tratta di una previsione che, in parte, riprende la disciplina normativa del c.d. rito cartolare introdotta dalle norme emergenziali Covid. Nel giudizio di legittimitˆ il rito cartolare, si rileva ancora nella pronuncia citata, si applica nei casi indicati dal comma 1dell’art. 611 cod. proc. pen. e con le modalitˆ per la richiesta per la trattazione indicate nel comma 1-ter del medesimo articolo. In particolare, e in questo si differenzia dalla previsione dell’art. 23 della legge n. 176 del 2020, la richiesta delle parti deve essere presentata a pena di decadenza entro dieci giorni dalla ricezione dell’avviso di fissazione dell’udienza. Negli stessi casi di cui al comma 1dell’art. 611 cod. proc. pen. la Corte di cassazione pu˜ d’ufficio disporre la trattazione del ricorso con la partecipazione delle parti “per la rilevanza delle questioni sottoposte al suo esame”, dandone comunicazione alle parti (art. 611 comma 1- cod. proc. pen.) e “se ritiene di dare una definizione giuridica diversa” (art. 611 comma 1cod. proc. pen.).
7.3. In definitiva, dunque, la disposizione di cui al richiamato comma 1-sexies, dellÕart. 611, cod. proc. pen. non trova applicazione per i ricorsi proposti sino al 30 giugno 2024, data a partire dalla quale è divenuta efficace la nuova disciplina introdotta dalla riforma ÒCartabiaÓ, che imporrebbe lÕadozione da parte della Corte dellÕordinanza di rinvio.
8. In ogni caso, peraltro, osserva il Collegio, quandÕanche il ricorso fosse stato proposto dopo tale data, nel caso di specie non vi sarebbe stata alcuna necessitˆ di disporre il rinvio del processo ad altra data, non potendo ritenersi che la riqualificazione sia un Òatto a sorpresaÓ, ci˜ che ha giustificato lÕinserimento del comma 1-sexies nellÕart. 611 citato. Ed infatti, tale disposizione è stata introdotta (v. pag. 171 al d. lgs. 150/2022) Ça tutela del contraddittorio nel caso in cui emerga la possibilitˆ di una ridefinizione giuridica del fatto contestato, in aderenza alla giurisprudenza CEDU di
riferimento (a partire dalla nota sentenza RAGIONE_SOCIALE dell’11 dicembre 2007) e del consolidato orientamento della Suprema Corte che, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, esclude la compressione o la limitazione del diritto al contraddittorio quando la diversa qualificazione giuridica del fatto non avvenga a sorpresa e l’imputato e il suo difensore siano stati posti in condizione di interloquire sulla questione (Cfr., fra le più recenti, Sez. 5, n. 27905 del 03/05/2021, Rv. 281817-03)È.
8.1. Orbene, rileva sul punto il Collegio come il fatto riqualificato da questa Corte non pu˜ dirsi contestato Òa sorpresaÓ rispetto a quella che era lÕoriginaria contestazione Ð ossia lÕeffettuazione di scarichi di reflui zootecnici senza la prescritta autorizzazione -, poi riqualificata erroneamente dal giudice, il quale ha ritenuto configurabile la violazione di cui agli artt. 101, comma 7, 112 e 137, comma 14, d.lgs. n. 152 del 2006, del tutto erronea.
8.2. La diversa qualificazione giuridica operata da questa Corte, infatti, appare come uno dei naturali e Çnon sorprendentiÈ epiloghi decisori del giudizio (di merito o di legittimitˆ), stante la riconducibilitˆ del fatto storico, di cui è stata dimostrata la sussistenza all’esito del processo e rispetto al quale è stato consentito all’imputato o al suo difensore l’effettivo esercizio del diritto di difesa, ad una limitatissima gamma di previsioni normative alternative, per cui, ricostruito il fatto in maniera conforme alla contestazione, l’eventuale esclusione dell’una comporta, inevitabilmente, l’applicazione dell’altra, non corrispondendo, in tale ipotesi, alla diversa qualificazione giuridica, una sostanziale immutazione del fatto, che, integro nei suoi elementi essenziali, pu˜ essere diversamente qualificato secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile (Sez. 6, n. 41767 del 20/06/2017, COGNOME, Rv. 271391 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 7984 del 2013, COGNOME], atteso che a fronte dellÕoriginaria contestazione di scarico senza autorizzazione di reflui allo stato liquido, la riqualificazione giuridica in abbandono incontrollato di tali reflui, che ha costituito sostanzialmente lÕoggetto della difesa del ricorrente, come dimostra la stessa difesa sostenuta in ricorso in cui la difesa ha evidenziato come, dagli atti di indagine, emergeva che il letame prodotto dall’azienda zootecnica veniva ammassato su una platea destinata allo stoccaggio dello stesso, priva di cordolo e di un sistema di convogliamento per la raccolta e lo stoccaggio dei reflui, con l’ovvia conseguenza che, in via del tutto accidentale e disomogenea, i liquidi provenienti dal letame stoccato riversavano sul terreno seminativo adiacente alla platea di stoccaggio – posta l’angusta linea di demarcazione tra acque di scarico e rifiuti liquidi (cos’, Sez. 3, n. 29351 del 19/07/2024, Ponticelli, n.m.) -, rappresentava lÕunico sviluppo logicamente e giuridicamente prevedibile: dunque, bene il fatto pu˜ essere riqualificato a norma dellÕart. 256, comma 2, TUA (si v., nella giurisprudenza di questa Corte: Sez. 3, n. 29351 del 5 aprile 2024, non massimata).
Infine, non è accoglibile la residua doglianza secondo cui lÕazione penale non avrebbe potuto essere esercitata essendosi verificato lÕeffetto estintivo art. 318e segg. d. lgs. n. 152 del 2006.
Ed invero, la sentenza dˆ atto dell’inottemperanza alle prescrizioni impartite, mentre il ricorrete si limita a richiamare, senza allegarla come invece avrebbe dovuto in ossequio al principio di autosufficienza, unÕannotazione di PG, in cui l’unico inadempimento rilevato riguarderebbe la mancata creazione di idonea concimaia per lo stoccaggio di materiale palabile, che peraltro era stata quasi ultimata, sostenendo lo sversamento del terreno era stato definitivamente interrotto, con conseguente effetto estintivo.
9.1. In tal modo, tuttavia, il ricorrente chiede al Collegio di svolgere un accertamento di fatto, quello cioè relativo all’adempimento delle prescrizioni, escluso nel giudizio di legittimitˆ.
9.2. Deve, quindi, essere affermato il seguente principio di diritto: Çè inammissibile il ricorso che chiede alla Corte di cassazione di verificare l’ottemperanza alle prescrizioni impartite al trasgressore ai sensi dell’articolo 318-bis e ss. del d. lgs. 152/2006, salvo che tale ottemperanza non risulti ” ” da elementi dedotti e allegati, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, senza che sia necessario alcuno spazio di valutazione in punto di fattoÈ.
9.3. Inoltre, il Collegio aggiunge che, dal tenore inequivoco dell’articolo 318(la norma infatti parla del solo ÇprocedimentoÈ; incardina la verifica solo sul pubblico ministero; non preclude l’archiviazione ovvero l’assunzione di prove non rinviabili) e 318-
, comma 2, d. lgs 152/2006 (il quale prevede che, in caso di ottemperanza alle prescrizioni e pagamento della somma prevista, Çil pubblico ministero richiede l’archiviazione se la contravvenzione è estintaÈ) appare evidente che l’istituto pu˜ essere attivato solo entro la chiusura delle indagini preliminari.
In altre parole, esso trova una Çpreclusione di faseÈ, in cui il limite è costituito dall’avvenuto esercizio dell’azione penale (sul punto, v. Sez. 3, n. 41889 del 03/07/2023, Santeramo, n.m., secondo cui Çle precise scansioni procedimentali previste dal dato normativo sono scansioni che non prevedono mai la partecipazione dell’Autoritˆ giudiziaria, intesa come giudice del dibattimentoÈ).
9.4. Il motivo è, pertanto, manifestamente infondato.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Riqualificata la condotta contestata ai sensi dell’art. 256, comma 2 dlvo 1522006, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Cos’ deciso, il 12/09/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME