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Scarico reflui zootecnici: Rifiuto o scarico?

Un imprenditore agricolo, condannato per scarico illecito di reflui zootecnici, ha presentato ricorso in Cassazione. La Corte ha riqualificato il fatto: non si trattava di uno ‘scarico’, ormai depenalizzato, ma di un ‘abbandono di rifiuti liquidi’, che costituisce ancora reato. La distinzione cruciale risiede nell’assenza di un sistema stabile di canalizzazione dei liquidi, che perciò vanno considerati rifiuti. La condanna è stata confermata sulla base della nuova qualificazione giuridica.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Scarico Reflui Zootecnici: quando è reato? La Cassazione traccia il confine con i rifiuti

La gestione dei reflui provenienti dagli allevamenti rappresenta una questione delicata, al confine tra pratica agronomica e tutela ambientale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un chiarimento cruciale sulla differenza tra scarico reflui zootecnici, oggi illecito amministrativo, e abbandono di rifiuti liquidi, che conserva invece rilevanza penale. Comprendere questa distinzione è fondamentale per gli operatori del settore agricolo, per evitare di incorrere in gravi conseguenze legali.

I fatti del caso: letame e sversamenti incontrollati

Il caso ha origine dalla condanna del legale rappresentante di un’azienda agricola per il reato di scarico di reflui zootecnici senza autorizzazione, previsto dall’art. 137 del D.Lgs. n. 152/2006 (Testo Unico Ambientale). Durante un accertamento, era stato riscontrato che il letame prodotto dall’azienda veniva ammassato su una platea di stoccaggio priva di un adeguato sistema di contenimento e raccolta dei liquidi.

Di conseguenza, i liquidi di sgrondo, in modo del tutto accidentale e disomogeneo, si riversavano sul terreno agricolo adiacente. L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che, a seguito delle modifiche normative, lo scarico di effluenti da allevamento è sanzionato solo in via amministrativa.

La distinzione della Cassazione sullo scarico reflui zootecnici

Il cuore della questione giuridica affrontata dalla Suprema Corte riguarda la corretta qualificazione della condotta. Si tratta di ‘scarico’ o di ‘abbandono di rifiuti’? La differenza non è meramente terminologica, ma sostanziale, poiché determina se il fatto costituisca un reato o un semplice illecito amministrativo.

La definizione di ‘scarico’

La Corte ha ribadito che per aversi ‘scarico’ in senso tecnico-giuridico, è necessaria la presenza di un ‘sistema stabile di collettamento’. Questo significa che deve esistere un collegamento funzionale e diretto, come una condotta, una tubazione o un canale, che convoglia i reflui dal ciclo di produzione fino al corpo recettore finale (suolo, corso d’acqua, ecc.). Questo sistema deve essere oggettivo, duraturo e finalizzato all’immissione dei reflui.

La qualificazione come ‘rifiuto liquido’

Nel caso esaminato, mancava completamente un sistema di questo tipo. I liquidi non venivano canalizzati intenzionalmente, ma fuoriuscivano in modo incontrollato da un cumulo di letame. Secondo la Cassazione, in assenza di un nesso funzionale e diretto, i liquami zootecnici perdono la qualifica di acque reflue e devono essere considerati a tutti gli effetti ‘rifiuti allo stato liquido’.

Di conseguenza, il loro sversamento accidentale e incontrollato sul terreno non integra l’illecito amministrativo di scarico non autorizzato, bensì il reato di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti, punito dall’art. 256, comma 2, del Testo Unico Ambientale.

La riqualificazione del reato e l’impossibilità dell’estinzione

La Corte ha quindi proceduto alla riqualificazione giuridica del fatto. Sebbene l’accusa originaria fosse errata, i fatti storici alla base della contestazione erano gli stessi. La difesa dell’imputato si era concentrata proprio sulla natura incontrollata dello sversamento, elemento che la Corte ha utilizzato per ricondurre il fatto alla fattispecie di reato di gestione illecita di rifiuti. Secondo i giudici, questa riqualificazione non ha leso il diritto di difesa, in quanto rappresentava uno sviluppo logico e prevedibile del processo.

Inoltre, è stato respinto l’argomento difensivo relativo alla possibile estinzione del reato tramite adempimento delle prescrizioni (la cosiddetta procedura di cui all’art. 318-bis TUA). La Corte ha chiarito che tale istituto può essere attivato solo nella fase delle indagini preliminari, prima dell’esercizio dell’azione penale. Inoltre, nel caso di specie, l’imputato non aveva comunque ottemperato a tutte le prescrizioni impartite, in particolare alla realizzazione di una concimaia a norma.

Le motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano su un consolidato orientamento giurisprudenziale che distingue nettamente la disciplina delle acque da quella dei rifiuti. La discriminante è la presenza di un ‘collegamento funzionale diretto’ tra produzione e recapito finale. I liquidi provenienti da un allevamento sono ‘acque di scarico’ solo se immessi in un corpo recettore tramite un sistema stabile di collettamento. Al di fuori di questa ipotesi, essi sono ‘rifiuti liquidi’. La Corte ha ritenuto che lo sversamento accidentale dal letame accatastato su una platea inadeguata non costituisce uno ‘scarico indiretto’, concetto superato dalla normativa attuale, ma un vero e proprio abbandono di rifiuti. La riqualificazione del fatto da illecito di cui all’art. 137 a quello previsto dall’art. 256, comma 2, TUA è stata quindi una conseguenza diretta della corretta interpretazione dei fatti e della legge.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio di fondamentale importanza pratica per le aziende agricole: la corretta gestione del letame e dei relativi percolati è essenziale per non incorrere in responsabilità penali. L’assenza di idonee strutture di stoccaggio, come concimaie a norma dotate di sistemi di raccolta dei liquidi, può trasformare quello che si ritiene un sottoprodotto gestibile in un rifiuto il cui abbandono è penalmente sanzionato. La decisione chiarisce che la depenalizzazione dello scarico di reflui zootecnici non autorizzato non costituisce una ‘zona franca’, ma si applica solo alle fattispecie che rientrano nella rigorosa definizione tecnica di ‘scarico’.

Quando lo sversamento di liquidi da un allevamento è un reato penale?
Quando non si configura come ‘scarico’ (cioè immissione tramite un sistema stabile di collettamento), ma come un abbandono incontrollato. In questo caso, i liquidi sono considerati ‘rifiuti liquidi’ e il loro abbandono integra il reato di cui all’art. 256, comma 2, del D.Lgs. 152/2006.

Qual è la differenza fondamentale tra ‘scarico’ e ‘rifiuto liquido’?
La differenza risiede nella presenza di un ‘sistema stabile di collettamento’. Se i reflui sono canalizzati direttamente dalla fonte al punto di immissione tramite una condotta o un sistema analogo, si tratta di ‘scarico’. Se manca questo collegamento funzionale e diretto, e i liquidi vengono raccolti o sversati in modo accidentale e incontrollato, sono considerati ‘rifiuti liquidi’.

È possibile estinguere il reato ambientale adempiendo alle prescrizioni dopo l’inizio del processo?
No, secondo la sentenza, la procedura di estinzione del reato prevista dall’art. 318-bis del Testo Unico Ambientale, che richiede l’adempimento a specifiche prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza, può essere attivata solo durante la fase delle indagini preliminari e non dopo che l’azione penale è già stata esercitata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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