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Satira politica: legittimo chiamare un sindaco ‘Cetto’?

Un cittadino, dopo aver subito un controllo domiciliare ritenuto illegittimo da parte del sindaco, gli inviava una mail chiamandolo ‘Cetto La Qualunque’. Condannato per diffamazione in appello, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza. Secondo la Corte, l’uso dell’epiteto rientra nella satira politica, legittima forma di critica all’operato di un personaggio pubblico, e non costituisce reato, data la condotta provocatoria del sindaco stesso.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Satira Politica vs Diffamazione: Il Caso ‘Cetto La Qualunque’

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a tracciare i confini tra il diritto di critica e la diffamazione, analizzando un caso in cui un sindaco è stato appellato con il nome del noto personaggio ‘Cetto La Qualunque’. Questa decisione offre spunti fondamentali per comprendere i limiti della satira politica nel nostro ordinamento, specialmente quando rivolta a figure pubbliche.

I Fatti: La Mail al Sindaco dopo il Controllo Domiciliare

Il caso nasce da un episodio avvenuto durante l’emergenza pandemica da Covid-19. Un sindaco, accompagnato da almeno cinque persone, si era recato presso l’abitazione di un cittadino per ‘verificare il rispetto di misure non ancora vigenti sul territorio’. In risposta a quello che ha percepito come un atto provocatorio e un abuso di potere, il cittadino ha inviato una mail al primo cittadino, indirizzandola ‘all’attenzione del Signor Cetto La Qualunque’. Nel testo, chiedeva sarcasticamente il rilascio di permessi per ‘dar da mangiare a due galline’, evidenziando un presunto trattamento discriminatorio nelle limitazioni alla circolazione.

Il Percorso Giudiziario e la Questione della Satira Politica

Nei primi due gradi di giudizio, il cittadino veniva condannato per diffamazione. La Corte d’Appello, in particolare, aveva ritenuto che l’accostamento al personaggio di ‘Cetto La Qualunque’ – descritto come interprete del ‘malaffare politico-mafioso, avido e corrotto’ – avesse un carattere oggettivamente diffamatorio. La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione: l’uso di tale epiteto è un’offesa penalmente rilevante o rientra nell’esercizio del diritto di critica e, più specificamente, della satira politica?

Le Motivazioni della Cassazione sul Diritto di Critica

La Suprema Corte ha ribaltato la decisione dei giudici di merito, annullando la condanna per diffamazione ‘perché il fatto non costituisce reato’. Il ragionamento dei giudici si fonda su diversi pilastri.

In primo luogo, la Corte ha analizzato la figura di ‘Cetto La Qualunque’, riconoscendola come un personaggio satirico universalmente noto, simbolo della critica alla corruzione, all’ignoranza e al populismo nella politica italiana. È uno ‘specchio deformante’ che, pur usando l’esagerazione, stimola la riflessione.

In secondo luogo, e questo è il punto cruciale, l’uso di tale epiteto non è stato un attacco personale gratuito (argumentum ad hominem), ma una reazione diretta e contestualizzata a una specifica condotta del sindaco. La stessa sentenza d’appello aveva riconosciuto che l’iniziativa del sindaco (il controllo domiciliare) non era un atto d’ufficio legittimo, essendo basata su norme non ancora in vigore, e l’aveva definita ‘provocatoria’.

La Corte ha quindi stabilito che l’appellativo, per quanto sferzante, era finalizzato a criticare l’operato tecnico-amministrativo del sindaco, rappresentando una forma di malinteso rigore e ‘qualunquismo’ nella gestione delle norme di sicurezza. Si trattava, dunque, di un’espressione del legittimo esercizio del diritto di critica politica in forma satirica.

Infine, i giudici hanno richiamato la giurisprudenza nazionale ed europea (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), che sottolinea come i politici e le figure pubbliche debbano accettare un livello di critica più elevato rispetto ai privati cittadini, proprio perché si espongono volontariamente al controllo dell’opinione pubblica.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio importante: la satira politica, anche quando utilizza toni aspri e personaggi caricaturali, è tutelata dall’ordinamento se non si traduce in un’aggressione gratuita alla sfera morale della persona, ma rimane ancorata a fatti specifici e di interesse pubblico. La critica a un’azione amministrativa ritenuta scorretta, se espressa attraverso un simbolo satirico noto, non supera i limiti della continenza e rientra a pieno titolo nell’esercizio del diritto di critica, scriminando il reato di diffamazione.

È sempre reato dare del ‘Cetto La Qualunque’ a un politico?
No. Secondo la Cassazione, non costituisce reato se l’appellativo è usato nel contesto della satira politica per criticare un comportamento specifico del politico e non come un gratuito attacco personale, specialmente se in reazione a un’azione percepita come un abuso.

Qual è la differenza tra critica legittima e diffamazione secondo questa sentenza?
La critica legittima, anche in forma satirica e sferzante, si concentra sull’operato e sulle azioni di una persona, in particolare se ricopre un ruolo pubblico. Diventa diffamazione quando si trasforma in un attacco gratuito alla persona (definito ‘argumentum ad hominem’), slegato dai fatti, con il solo scopo di lederne la reputazione.

Un politico deve tollerare critiche più aspre rispetto a un normale cittadino?
Sì. La sentenza ribadisce, in linea con la giurisprudenza nazionale ed europea, che le figure politiche si espongono volontariamente al controllo vigile dei loro fatti e comportamenti e, di conseguenza, devono dimostrare una maggiore tolleranza verso le critiche, anche aspre, che riguardano il loro operato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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