Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 33793 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 33793 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal
AVV_NOTAIO Generale presso la sezione distaccata della Corte d’appello di Sassari nel procedimento a carico di
NOME COGNOME, nata a Bosa il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/06/2024 del Tribunale di Sassari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, d Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Sassari ha assolto NOME COGNOME dal reato di cui all’art. 7, comma 2, d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito in I. 28 marzo 2019, n. 26 perché il fatto non costituisce reato; ad avviso del Tribunale, l’art. 1, comma 318, I. 29 dicembre 2022, n. 197 ha abrogato l’intero Capo I del d.l. n. 4 del 2019, tra cui l’art. 7, che prevedeva la disciplina sanzionatoria per l’indebita percezione del reddito di cittadinanza.
Avverso la sentenza, il AVV_NOTAIO Generale territoriale ha proposto, per saltum, ricorso per cassazione, deducendo la violazione di legge in relazione all’art. 7 d.l. n. 4 del 2019. Ad avviso del ricorrente, il delitto in esame non è stato abrogato per i fatti commessi sino al 31 dicembre 2023, in quanto l’art. 13, comma 3, d.l. n. 48 del 2023, convertito in I. n. 85 del 2025 ed entrato in vigore il 4 lugl 2023, ha disposto che “al beneficio di cui all’art. 1 del d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazione dalla legge 28 marzo 2019, n. 26 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’art. 7 del medesimo decreto -legge, vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023”: situazione ravvisabile nel caso in esame, in quanto il reato è stato accertato il 9 marzo 2021.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Nella sua previsione astratta, l’art. 7 decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, prevedeva, al comma 1: «salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni» e, al comma 2: «l’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all’articolo 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11, è punita con la reclusione da uno a tre anni».
L’art. 1, comma 318, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio
m
2023-2025), ha stabilito, nel testo originario, che «a decorrere dal 10 gennaio 2024 gli articoli da 1 a 13 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, sono abrogati».
La prefigurata abrogazione ha quindi coinvolto anche le disposizioni sanzionatorie di cui all’art. 7, oltre a quelle nel complesso concernenti la istituzione e l disciplina del Reddito di cittadinanza, di cui i commi da 313 a 318 del citato art. 1 hanno delineato una graduale cessazione, «nelle more di un’organica riforma delle misure di sostegno alla povertà e di inclusione attiva» (così il comma 313).
Le disposizioni appena richiamate sono entrate in vigore il 1° gennaio 2023, ai sensi dell’art. 21 della citata legge di bilancio.
Successivamente, il decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48 (Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro), convertito, con modificazioni, nella legge 3 luglio 2023, n. 85, all’art. 1 ha previsto l’istituzione, «a decorrere dal 10 gennaio 2024, dell’Assegno di inclusione, quale misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro». Il successivo art. 12, al comma 1, ha anche disposto la istituzione, dal 10 settembre 2023, del «Supporto per la formazione e il lavoro quale misura di attivazione al lavoro, mediante la partecipazione a progetti di formazione, di qualificazione e riqualificazione professionale, di orientamento, di accompagnamento al lavoro e di politiche attive del lavoro comunque denominate».
Per quanto qui rileva, i commi 1 e 2 dell’art. 8 dello stesso decreto hanno configurato due fattispecie di reato che, strutturate in maniera identica a quelle contemplate dall’art. 7, rispettivamente, puniscono «chiunque, al fine di ottenere indebitamente» i suddetti benefici, «rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute» (comma 1), nonché «l’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini del mantenimento del beneficio indicato al comma 1» (comma 2).
Inoltre, al comma 3 delle «disposizioni transitorie, finali e finanziarie» recate dal successivo art. 13, è previsto che «al beneficio di cui all’articolo 1 del decretolegge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo 2019, n. 26, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’articolo 7 del medesimo decreto-legge, vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023».
Ciò posto, si osserva, in primo luogo, che l’entrata in vigore dell’art. 1, comma 318, della legge n. 197 del 2022, avvenuta il 10 gennaio 2023, non ha prodotto alcun immediato effetto abrogativo delle disposizioni censurate, essendo
stato questo espressamente rinviato dallo stesso comma «a decorrere dal 1° gennaio 2024», cioè a distanza di un anno (cfr. Sez. 3, n. 5151 del 27/10/2023, non massimata).
In secondo luogo, con il suddetto art. 13, comma 3, d.l. n. 48 del 2023, come convertito, entrato in vigore ben prima che, per effetto del richiamato art. 1, comma 318, potesse prodursi l’abrogazione (tra le altre) dell’art. 7, il legislatore ha chiaramente manifestato la volontà che le condotte previste e punite dall’art. 7 del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, continuino a essere considerate penalmente rilevanti, escludendo dunque il prodursi di una abolitio criminis dal 10 gennaio 2024.
È evidente, pertanto, che coordinandosi con la prevista abrogazione della disciplina del reddito dì cittadinanza a far tempo dal 10 gennaio 2024, la sopravvenuta disposizione fa salva l’applicazione delle sanzioni penali dalla stessa previste per i fatti commessi sino al termine finale di efficacia della relativ disciplina.
Del tutto coerentemente, l’orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità e avallato dalla Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 54 del 2024), è nel senso che l’abrogazione, a far data dalli. gennaio 2024, del delitto di cui all’art. 7 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, disposta ex art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, nel far salva l’applicazione delle sanzioni penali dallo stesso previste per i fatt commessi sino al termine finale di efficacia della relativa disciplina, deroga al principio di retroattività della lex mitior, altrimenti conseguente ex art. 2, comma 2, cod. pen. (Sez. 3, n. 7541 del 24/01/2024, COGNOME, Rv. 285964; in senso conforme, Sez. 3, n. 39155 del 24/09/2024, COGNOME, Rv. 286951 – 01).
Si è inoltre chiarito che tale deroga, in quanto sorretta da una plausibile giustificazione, non presenta profili di irragionevolezza, assicurando la tutela penale all’indebita erogazione del reddito di cittadinanza sin tanto che sarà possibile continuare a fruire di detto beneficio, posto che la sua prevista soppressione si coordina cronologicamente con la nuova incriminazione di cui all’art. 8 d.l. 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, riferita agli analoghi benefici per il futuro introdott sostituzione del reddito di cittadinanza (Sez. 3, n. 7541, cit.; Sez. 3, n. 5163 del 30/11/2023, non mass.).
Nel caso in esame, è perciò sussistente la denunciata violazione di legge, in quanto il Tribunale, laddove ha ritenuto che l’art. 1, comma 318, I. 29 dicembre 2022, n. 197 ha determinato la perdita di penale rilevanza dei fatti già puniti
dall’art. 7 d.l. n. 4 del 2019, ha disatteso i principi dinanzi indicati.
Ne segue che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, i virtù della normativa vigente al momento della presentazione del ricorso, a Corte di appello di Sassari.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Sassari. Così deciso il 25/09/2025.