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Sanzioni reddito di cittadinanza: reato non abrogato

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di assoluzione per indebita percezione del reddito di cittadinanza. I giudici hanno chiarito che, nonostante l’abrogazione della misura dal 1° gennaio 2024, le sanzioni reddito di cittadinanza restano applicabili per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023. Una norma transitoria ha infatti impedito l’effetto della cosiddetta abolitio criminis, garantendo la continuità della tutela penale.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Sanzioni Reddito di Cittadinanza: La Cassazione Conferma, il Reato Non È Stato Abolito

Con la recente sentenza n. 33793 del 2025, la Corte di Cassazione ha affrontato una questione cruciale riguardante le sanzioni reddito di cittadinanza. Molti credevano che la soppressione della misura dal 1° gennaio 2024 avesse cancellato anche i reati connessi. La Suprema Corte ha chiarito in modo definitivo che non è così: chi ha commesso illeciti fino al 31 dicembre 2023 resta penalmente perseguibile. Analizziamo insieme la decisione.

I Fatti del Caso: L’Assoluzione in Primo Grado

Il caso nasce da una decisione del Tribunale di Sassari, che aveva assolto un’imputata dall’accusa di omessa comunicazione delle variazioni di reddito rilevanti per la percezione del reddito di cittadinanza, un reato previsto dall’art. 7 del D.L. n. 4/2019. Il giudice di primo grado aveva ritenuto che il fatto non costituisse più reato. La motivazione si basava sull’idea che la Legge di Bilancio per il 2023 (L. n. 197/2022) avesse programmato l’abrogazione dell’intera disciplina del reddito di cittadinanza, incluse le norme penali, a partire dal 1° gennaio 2024. Secondo il Tribunale, si era verificata una abolitio criminis.

Il Ricorso del Procuratore e le Sanzioni Reddito di Cittadinanza

Contro questa sentenza, il Procuratore Generale ha proposto ricorso diretto in Cassazione (ricorso per saltum), denunciando una palese violazione di legge. La tesi dell’accusa era semplice ma decisiva: un successivo intervento normativo, il Decreto Legge n. 48/2023 (cosiddetto “Decreto Lavoro”), aveva introdotto una disposizione transitoria (art. 13, comma 3) per gestire il passaggio dal vecchio al nuovo sistema di sussidi. Questa norma ha specificato chiaramente che le sanzioni penali previste dall’art. 7 del decreto sul reddito di cittadinanza continuano ad applicarsi per tutti i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023. Di conseguenza, nessuna abolizione del reato poteva considerarsi avvenuta.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto pienamente la tesi del Procuratore, offrendo una spiegazione dettagliata sulla successione delle leggi nel tempo e sulla volontà del legislatore.

I giudici hanno spiegato che l’entrata in vigore del D.L. n. 48/2023, ben prima che l’abrogazione del reddito di cittadinanza diventasse efficace, ha manifestato la chiara intenzione di non creare un vuoto normativo e di non concedere un’impunità retroattiva. Il legislatore, pur riformando il sistema di sostegno alla povertà, ha voluto garantire che le condotte fraudolente passate non rimanessero impunite.

La norma transitoria rappresenta una deroga esplicita e legittima al principio della retroattività della legge più favorevole (lex mitior). Questo orientamento, sottolinea la Corte, è stato avallato anche dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 54 del 2024), che ha ritenuto ragionevole tale scelta legislativa. La continuità della tutela penale è giustificata dalla necessità di proteggere le risorse pubbliche destinate ai sussidi, indipendentemente dal nome o dalla forma che questi assumono nel tempo.

In sostanza, il legislatore ha creato un ponte normativo: mentre il vecchio reato continua a vivere per i fatti passati, nuovi reati, strutturati in modo identico, sono stati introdotti per i nuovi benefici (Assegno di Inclusione e Supporto per la Formazione).

Le Conclusioni

La Corte di Cassazione ha concluso che il Tribunale di Sassari ha commesso un errore di diritto nel ritenere che le sanzioni reddito di cittadinanza fossero state cancellate. La presunta abolitio criminis non si è mai verificata per i fatti commessi entro il 31 dicembre 2023.

Di conseguenza, la sentenza di assoluzione è stata annullata con rinvio alla Corte d’appello di Sassari. Quest’ultima dovrà ora procedere a un nuovo esame del caso, partendo dal presupposto, giuridicamente corretto, che il reato contestato all’imputata è ancora previsto dalla legge e punibile. La decisione riafferma un principio fondamentale: le riforme legislative, anche quando abrogano interi istituti, devono essere lette attentamente, prestando particolare attenzione alle norme transitorie che ne regolano gli effetti nel tempo.

Chi ha percepito indebitamente il Reddito di Cittadinanza prima del 31 dicembre 2023 rischia ancora un processo penale?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che le sanzioni penali previste dalla normativa originaria restano pienamente in vigore per tutti i fatti illeciti commessi fino al 31 dicembre 2023. L’abrogazione della misura non ha avuto un effetto retroattivo di decriminalizzazione.

Perché il reato non è stato considerato abolito nonostante la legge sul Reddito di Cittadinanza sia stata abrogata?
Perché una successiva e specifica norma transitoria (l’art. 13, comma 3, del D.L. n. 48/2023) ha espressamente previsto che le sanzioni penali continuassero ad applicarsi ai fatti commessi fino al 31 dicembre 2023. Questa disposizione speciale prevale sull’effetto generale dell’abrogazione.

Cosa succede ora nel caso specifico esaminato dalla sentenza?
La sentenza di assoluzione è stata annullata. Il procedimento è stato rinviato alla Corte di appello di Sassari, che dovrà celebrare un nuovo giudizio basandosi sul principio, stabilito dalla Cassazione, che il reato contestato non è stato abolito e quindi l’imputata può essere processata per tale fatto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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