Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 25945 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 25945 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Patratanu NOME COGNOME nata a Brasov (Romania) il 02/12/1989;
avverso la sentenza emessa il 30/01/2025 dalla Corte di appello di Torino visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; udite le conclusioni dell’avvocato NOME COGNOME presente in sostituzione dell’avvocato NOME COGNOME che ha insistito nei motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Torino ha disposto il riconoscimento nello Stato italiano dalla decisione emessa in data 7 febbraio 2024
da NOME COGNOME Flitsgegevens COGNOME, autorità dei Paesi Bassi, divenuta definitiva in data 20 marzo 2024, ai fini della riscossione della multa di euro 348,00 inflitta a NOME COGNOME per un’infrazione stradale e della successiva devoluzione della somma allo Stato italiano.
L’avvocato NOME COGNOME nell’interesse di Patratanu, ha proposto ricorso avverso questo provvedimento e ne ha chiesto l’annullamento, deducendo due motivi di ricorso.
Con il primo motivo il difensore ha dedotto l’inosservanza dell’art. 12, comma 1, lett. b) e i-1), e 2, del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 37 (Attuazione della decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, sull’applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie) e, con il secondo motivo, l’omessa pronuncia su tali motivi di rifiuto.
Il difensore premette che l’art. 9 del d.lgs. n. 37 del 2016 prevede che la Corte di appello, investita di una richiesta di riconoscimento della decisione applicativa di una sanzione pecuniaria di uno Stato membro, debba accertare che non ricorra alcuna delle ipotesi di rifiuto del riconoscimento contemplate dall’art. 12.
In particolare, l’art. 12, comma 1, lett. i-1), del d.lgs. n. 37 del 2016 sancisce che la Corte di appello debba rifiutare il riconoscimento quando risulti che la persona interessata non sia stata informata del procedimento, non sia stata posta in grado di prendervi parte personalmente o tramite il difensore, nonché di azionare gli strumenti di reazione processuale previsti dall’ordinamento dello Stato richiedente e, dunque, di esercitare il diritto di difesa.
L’art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 37 del 2016, del resto, prevede un ulteriore motivo di rifiuto per il caso in cui il certificato allegato alla decisione da eseguir sia incompleto.
Il comma secondo di tale articolo dispone, infatti, che nel caso in cui le informazioni di cui alle citate lettere b) e i) dell’art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 37 del 2016 non siano complete, la Corte di appello è, comunque, tenuta ad acquisire, anche tramite il Ministero della Giustizia, presso l’autorità competente dello Stato di emissione, con comunicazione scritta, le informazioni utili alla decisione
Il difensore rileva di aver dedotto innanzi alla Corte di appello che la propria assistita non è stata informata del procedimento penale pendente nei Paesi Bassi e che non è stata posta in grado di parteciparvi personalmente o tramite il difensore e di esercitare il proprio diritto di difesa.
La Corte di appello, tuttavia, a fronte di tali censure, si era limitata ad affermare apoditticamente che a Patratanu era stata data la possibilità di
presentare opposizione sulla base del certificato redatto dallo Stato di emissione, in cui sarebbe scritto che «la persona interessata è stata informata, in conformità della legislazione dello Stato della decisione del suo diritto di opporsi al procedimento e dei termini di prescrizione».
Sarebbe, tuttavia, stato specifico onere della Corte di appello verificare se la condannata fosse stata informata o meno, in quanto l’interessata sosteneva di non aver mai ricevuto il documento denominato «irrogazione»; peraltro, non vi sarebbe prova che la ricorrente abbia ricevuto a mezzo posta questo documento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
2. Con il primo motivo il difensore ha dedotto l’inosservanza dell’art. 12, comma 1, lett. b) e i-1), e 2, del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 37 (Attuazione della decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, sull’applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie) e, con il secondo motivo, l’omessa pronuncia su tali motivi di rifiuto.
3. I motivi sono infondati.
Il ricorrente muove dal presupposto che la Corte di appello abbia il dovere di verificare l’insussistenza dei motivi di rifiuto del riconoscimento di cui all’art. 1 del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 37, ma questo assunto è giuridicamente errato.
L’art. 12 del d. Igs. n. 37 del 2016 sancisce, infatti, che «a Corte di appello può rifiutare il riconoscimento della decisione sulle sanzioni pecuniarie» in uno dei casi di seguito tassativamente indicati.
La giurisprudenza di legittimità ha in proposito chiarito che, in tema di reciproco riconoscimento delle sanzioni pecuniarie tra gli Stati membri dell’Unione europea, il rifiuto per i motivi enunciati dall’art. 12 del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 37, è rimesso alla valutazione discrezionale della Corte d’appello; pertanto, il mancato esercizio di tale potere non integra un motivo di illegittimità del provvedimento (Sez. 6, n. 17775 del 03/04/2019, Cittadini, Rv. 275729 – 01, fattispecie in cui la Corte ha rigettato il ricorso proposto avverso la sentenza che aveva dato esecuzione alla sanzione pecuniaria irrogata dallo Stato estero, nonostante l’importo di tale sanzione consentisse alla corte d’appello, in base all’art. 12 d.lgs. n. 37 del 2016, comma 1, lett. i), n. 2.5), di valutar discrezionalmente il rifiuto del riconoscimento).
La Corte in questa pronuncia ha rilevato che il mancato esercizio di una
facoltà discrezionale demandata al giudice non può mai integrare un vizio del provvedimento, fatta eccezione per il caso in cui sia previsto un particolare obbligo di motivazione, in ipotesi disatteso, ma che nella specie non si ricava dal testo di legge.
La regola della facoltatività del rifiuto è confermata anche dall’art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 37 del 2016, che stabilisce che la Corte d’appello, prima di «decidere di rifiutare il riconoscimento» (significativamente così e non «prima di rifiutare il riconoscimento») deve, questa volta, obbligatoriamente, acquisire ulteriori dati informativi ai fini della decisione nelle ipotesi previste alle lettere e), i) del comma 1.
Il vizio di motivazione denunciato dal difensore della ricorrente è, dunque, insussistente.
4. Più in generale, il ricorrente ha eccepito che la ricorrente non è stata informata della pendenza del processo e ha chiesto alla Corte di appello di Torino l’acquisizione da parte dell’autorità giudiziaria dei Paesi Bassi di documentazione dalla quale risultasse che la ricorrente aveva avuto conoscenza del processo pendente nei suoi confronti e della condanna riportata.
Anche queste censure sono infondate.
Secondo l’art. 7, § 2, lett. i) della Decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio del 24 febbraio 2005 relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie, questa verifica deve essere operata sulla base del certificato allegato alla richiesta di riconoscimento ed esecuzione, salvo che lo stesso sia incompleto.
L’art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 37 del 2016, che attua l’art. 7 della Decisione quadro 2005/214/GAI, prevede, inoltre, che «ei casi di cui al comma 1, lettere b), e) ed i), la Corte di appello, prima di decidere di rifiutare riconoscimento, consulta, anche tramite il Ministero della giustizia, l’autorità competente dello Stato di emissione e richiede, con qualsiasi mezzo che lasci una traccia scritta, ogni informazione utile alla decisione».
L’art. 12, comma 1, lett. b), contempla il caso del certificato incompleto, il comma 1, lett. i), il caso della prescrizione della pena per la quale è stato richiesto il riconoscimento e il comma 1, lett. i) il caso in cui «in base al certificato allegat al presente decreto, la persona interessata: 1) in caso di procedura scritta, non è stata informata, secondo la legge dello Stato della decisione, personalmente o tramite un suo difensore, del diritto di opporsi al procedimento e dei relativi termini di ricorso».
La Corte di appello di Torino, dunque, legittimamente non ha richiesto informazioni integrative allo Stato di emissione ai sensi dell’art. 12, comma 2, del
d.lgs. n. 37 del 2016, in quanto ha rilevato, con motivazione logica e coerente, che nel certificato emesso dallo Stato di emissione, redatto in conformità al modello delineato dalla decisione quadro 2005/214/GAI e completo, risulta che «la persona interessata è stata informata, in conformità della legislazione dello Stato della decisione del suo diritto di opporsi al procedimento e dei termini di prescrizione».
Nella valutazione non illogica della Corte di appello, dunque, a Patratanu è stata data la possibilità di proporre opposizione avverso l’atto di irrogazione della predetta sanzione pecuniaria.
L’indirizzo italiano della ricorrente indicato nell’atto è, peraltro, corretto ed è lo stesso presso il quale la Corte di appello ha notificato il decreto di citazione per il procedimento di riconoscimento della predetta sanzione pecuniaria.
L’eventuale erroneità delle indicazioni fornite nel certificato dall’autorità che ha emesso la decisione da riconoscere sono, peraltro, sindacabili solo innanzi alla stessa, mentre dinanzi all’autorità giudiziaria italiana è deducibile solo l’incompletezza del certificato; a fronte della completezza dello stesso, non è consentito sindacarne il contenuto innanzi all’autorità giudiziaria italiana.
Come ha già rilevato la giurisprudenza di legittimità in ordine a questa disciplina, «lo scrutinio della Corte d’appello in sede di riconoscimento non costituisce, pertanto, una sorta di impugnazione “straordinaria” avverso la decisione resa dall’A.G. straniera, ma rappresenta uno strumento strettamente funzionale a dare effettiva, reale esecuzione al provvedimento applicativo della sanzione pecuniaria reso dall’autorità giudiziaria o amministrativa di un Paese membro dell’Unione Europea che abbia, appunto, dato attuazione alla decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio del 24 febbraio 2005, sul presupposto del reciproco affidamento fra gli ordinamenti comunitari» (Sez. 6, n. 22334 del 10/05/2018, COGNOME Rv. 272924 – 01).
Le censure proposte dalla ricorrente in ordine all’incompletezza del certificato sono, peraltro, aspecifiche e dedotte per la prima volta nel giudizio di legittimità, in violazione dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.
Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere rigettato.
La ricorrente deve, pertanto, essere condannata, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna
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ricorrente al pagamento delle spese
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processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma
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5, della legge n. 69 del 2005.
Così deciso in Roma, il 18 aprile 2025.