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Risarcimento detenzione inumana: il dovere di ricerca

La Corte di Cassazione ha annullato la decisione di un Tribunale di Sorveglianza che aveva negato un risarcimento per detenzione inumana, motivando l’impossibilità di verificare le condizioni carcerarie di periodi passati per l’assenza di archivi digitali. La Suprema Corte ha statuito che il giudice ha il dovere di disporre una ricerca approfondita, anche manuale e su registri cartacei, per accertare i fatti, non potendo rigettare l’istanza sulla base della mera difficoltà dell’indagine.

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Pubblicato il 8 agosto 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Risarcimento Detenzione Inumana: Il Giudice Ha il Dovere di Indagare Anche su Archivi Cartacei

Il diritto a un risarcimento per detenzione inumana è un principio cardine del nostro ordinamento, ma cosa succede quando le prove delle condizioni detentive risalgono a un’epoca senza archivi digitali? Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce che la difficoltà di reperire le informazioni non esonera il giudice dal suo dovere di indagine. Il caso analizzato riguarda proprio la negazione di un indennizzo basata sull’impossibilità di ricostruire le condizioni di vita in un carcere in periodi remoti.

I Fatti del Caso

Un detenuto presentava un reclamo per ottenere il risarcimento previsto dall’art. 35-ter dell’ordinamento penitenziario, a causa delle condizioni di detenzione subite in diverse strutture carcerarie. Mentre per un periodo la sua richiesta veniva esaminata, per un altro periodo, trascorso presso la casa circondariale di Napoli-Poggioreale, l’istanza veniva dichiarata inammissibile.

Il Tribunale di Sorveglianza motivava la sua decisione sostenendo l’impossibilità di ricostruire le specifiche condizioni di detenzione (come il numero di detenuti per cella e gli arredi) per i periodi antecedenti al 2003, a causa della mancanza di sistemi informatici. Di conseguenza, secondo il Tribunale, non era possibile verificare la fondatezza delle lamentele del ricorrente.

La Decisione della Corte sul Risarcimento Detenzione Inumana

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del detenuto, annullando la decisione del Tribunale di Sorveglianza limitatamente al periodo di detenzione contestato. La Suprema Corte ha rinviato il caso allo stesso Tribunale, ordinando di procedere a un nuovo esame e di effettuare le verifiche che erano state omesse.

Il punto centrale della decisione è che la mera difficoltà nel reperire le prove non può giustificare una declaratoria di inammissibilità. Se esiste una possibilità, anche se complessa, di accertare i fatti, il giudice ha il dovere di percorrerla.

Le Motivazioni della Sentenza

La Cassazione ha ritenuto viziata la motivazione del Tribunale di Sorveglianza. Dal fascicolo emergeva una nota della direzione carceraria che, pur confermando l’assenza di dati digitali per il periodo in questione, attestava la possibilità di recuperare le informazioni attraverso una ricerca manuale sui registri cartacei dell’epoca. Su questi registri, infatti, venivano annotate tutte le informazioni sugli spostamenti dei detenuti.

Secondo gli Ermellini, il Tribunale avrebbe dovuto approfondire questa possibilità. Invece di fermarsi di fronte alla difficoltà, avrebbe dovuto disporre le indagini necessarie per verificare se, tramite la consultazione degli archivi cartacei, fosse possibile risalire a dati particolareggiati, come il numero di persone per cella e le condizioni di vita. Il fatto che questa ricerca potesse richiedere più tempo non è una ragione valida per negare al ricorrente la possibilità di vedere esaminata nel merito la sua richiesta. Il giudice, anche esercitando i suoi poteri officiosi (cioè di iniziativa propria), ha il compito di ricercare la verità, superando gli ostacoli procedurali o logistici, quando possibile.

Conclusioni: L’Obbligo di Ricerca Approfondita del Giudice

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: il diritto alla tutela giurisdizionale non può essere sacrificato in nome della comodità o della rapidità procedurale. Il giudice ha un ruolo attivo nell’acquisizione della prova e deve esplorare tutte le vie percorribili per accertare i fatti posti a fondamento di una domanda, specialmente quando sono in gioco diritti fondamentali della persona, come quello a non subire trattamenti inumani o degradanti. La decisione impone ai tribunali di non arrendersi di fronte ad archivi obsoleti, ma di adoperarsi concretamente, anche con ricerche manuali, per garantire che ogni istanza venga esaminata con la dovuta attenzione e completezza istruttoria.

Può un giudice rigettare una richiesta di risarcimento per detenzione inumana solo perché la verifica delle condizioni è difficile a causa di archivi non digitalizzati?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il giudice deve attivarsi per acquisire le prove, anche attraverso una ricerca manuale su registri cartacei, qualora tale ricerca sia possibile, seppur complessa e dispendiosa in termini di tempo.

Qual era il problema specifico nel caso esaminato riguardo alla ricostruzione delle condizioni detentive?
Il problema era che per i periodi di detenzione antecedenti all’anno 2003 non erano disponibili applicativi informatici. Tuttavia, una nota della direzione del carcere indicava che le informazioni potevano essere recuperate tramite una ricerca manuale sulle iscrizioni cartacee dell’epoca.

Qual è stata la decisione finale della Corte di Cassazione?
La Corte ha annullato l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza, limitatamente al periodo di detenzione in questione, e ha rinviato il caso allo stesso Tribunale per un nuovo esame, ordinando di compiere le doverose verifiche che non erano state fatte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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