Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10428 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10428 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 30/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME NOME a NOCETO il DATA_NASCITA COGNOME NOME NOME a NOCETO il DATA_NASCITA COGNOME NOME NOME a NOCETO il DATA_NASCITA COGNOME NOME NOME a GATTATICO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/12/2022 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
udito il difensore
Gli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME del foro di PARMA e NOME COGNOME del foro di MILANO insistono per l’accoglimento dei motivi di ricorso di NOME e NOME COGNOME. L’AVV_NOTAIO. NOME COGNOME del foro di MILANO insiste per l’accoglimento dei motivi del ricorso di NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza dell’i dicembre 2022, la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Parma, riteneva le già concesse attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante (della pluralità dei fatti di bancarotta), e così riduceva la pena inflitta a NOME COGNOME.
Confermava, invece, la sentenza in relazione alle posizioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME (NOME COGNOME, che pure aveva depositato motivi nuovi, non aveva però presentato un tempestivo atto di appello).
Tutti i predetti erano stati ritenuti responsabili del delitto di bancarott patrimoniale, consumato – NOME COGNOME quale presidente del consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita il 23 febbraio 2021, NOME COGNOME quale vicepresidente del medesimo CdA, NOME COGNOME, quale consigliere delegato, NOME COGNOME quale consulente fiscale – avendo distratto dal patrimonio della medesima il corrispettivo valore dell’immobile strumentale della società, che, prima era stato anticipatamente riscattato dalla società di leasing del RAGIONE_SOCIALE, per essere poi ceduto alla RAGIONE_SOCIALE, costituita pochi giorni prima (e riconducibile anch’essa alla famiglia COGNOME), senza riceverne però buona parte del corrispettivo (euro 1.:L32.551,2 su euro 1.700.000), accettando anche che il pagamento parziale avvenisse per compensazione di un credito (nei confronti della fallita) ceduto (senza corrispettivo) da altra società degli RAGIONE_SOCIALE, la spa RAGIONE_SOCIALE, all’acquirente RAGIONE_SOCIALE.
Al solo NOME COGNOME (che, come detto, non aveva depositato tempestivo appello ma che ha proposto ricorso per – cassazione) era anche ascritta la distrazione RAGIONE_SOCIALE attrezzature e RAGIONE_SOCIALE merci in giacenza che la fallita aveva ceduto alla RAGIONE_SOCIALE per un controvalore di euro 205.442,94, in parte incongruo e, comunque, non corrisposto.
1.1. In risposta ai dedotti motivi di appello, la Corte bolognese osservava quanto appresso.
In relazione alla cessione dell’immobile strumentale si rinvenivano quegli indici di fraudolenza indicati dalla giurisprudenza di legittimità come necessari per ritenere la condotta tenuta dagli amministratori di natura distrattiva.
Il principale dei quali derivava dal fatto che lo stesso RAGIONE_SOCIALE sindacale dell’epoca aveva impugNOME la delibera con cui gli amministratori avevano deciso la vendita dell’immobile (che era stato prima riscattato dal concedente in leasing), ritenendo, appunto, che la stessa comportasse un depauperamento del patrimonio della società, già peraltro in conclamato stato di crisi economica e finanziaria,
posto che ne costituiva l’unico cespite e che l’acquirente, la RAGIONE_SOCIALE, non pareva in grado di corrisponderne il corrispettivo (in quanto appena costituita e priva RAGIONE_SOCIALE risorse finanziarie necessarie).
Del resto, all’epoca, gli stessi imputati erano a perfetta conoscenza dello stato di difficoltà finanziaria in cui versava la RAGIONE_SOCIALE, considerando che erano stati notificati degli avvisi di accertamento da parte dell’RAGIONE_SOCIALE entrate e che erano in corso indagini nei confronti di NOME COGNOME (figlio di NOME, e questi aveva riferito tale circostanza ai NOME) che avrebbero presumibilmente comportato la richiesta di ulteriori, ingenti, addebiti fiscali.
Indagini che avevano già comportato il sequestro di 90.000 euro sui conti della RAGIONE_SOCIALE.
Operazione complessiva, quella di riscatto e successiva vendita del cespite immobiliare, di cui anche COGNOME si era reso responsabile avendola egli stesso ideata, nella piena consapevolezza dello stato di decozione della società, dei sequestri che erano stati disposti e del complessivo ruolo di consulente da questi ricoperto sia in riferimento alla spa RAGIONE_SOCIALE, sia in ordine alla società acquirente RAGIONE_SOCIALE.
Hanno proposto ricorso tutti i menzionati imputati, ciascuno a mezzo del proprio difensore.
2.1. L’AVV_NOTAIO, per NOME AVV_NOTAIO, deduce, con l’unico motivo, il vizio di motivazione per avere la Corte trascurato le emergenze rivenienti dalla relazione del RAGIONE_SOCIALE sindacale allegata al bilancio dell’esercizio 2009 e la consulenza del AVV_NOTAIO.
Nella relazione indicata, i sindaci avevano affermato che la cessione dell’immobile era stata realizzata a prezzo congruo, alle condizioni di mercato, e che, con tale cessione, si era realizzata una plusvalenza che aveva riequilibrato la situazione patrimoniale della società.
Riequilibrio che aveva attestato anche il AVV_NOTAIO COGNOME.
Così che non si comprende come la Corte l’abbia potuta ritenere, invece, un depauperamento del patrimonio sociale.
Né poteva prevedersi che, in epoca successiva, l’immobile sarebbe stato posto in sequestro dall’autorità giudiziaria.
2.2. L’AVV_NOTAIO COGNOME, per NOME COGNOME e NOME COGNOME, articola tre motivi.
2.2.1. Con il primo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine al ritenuto nesso eziologico fra la condotta degli imputati, di cessione dell’immobile della fallita, ed il dissesto della medesima.
Già nell’atto di gravame di merito si era contestata la configurabilità dell’elemento soggettivo del reato e la Corte non aveva adeguatamente confutato gli argomenti spesi.
La complessiva operazione – il riscatto anticipato del leasing e la successiva cessione – era funzionale al recupero di quei mezzi finanziari che avrebbero consentito di riequilibrare il patrimonio della fallita.
La successiva inadempienza della società acquirente (pur riconducibile agli stessi imputati COGNOME) costituiva, appunto, un fatto successivo, del tutto imprevedibile.
Né potevano confortare la tesi accusatoria i rilievi fatti dal RAGIONE_SOCIALE sindacale della fallita in ordine alla appostazione a bilancio del credito di spa RAGIONE_SOCIALE che era stato postergato.
Non si era pertanto data risposta alle obiezioni della difesa circa l’effettivo depauperamento del patrimonio sociale, da determinare ex ante, con la predetta cessione. Né si era tenuto conto del fatto che l’immobile, quando l’operazione era stata prospettata ed era iniziata, era ancora di proprietà della società di leasing.
Il consulente della difesa AVV_NOTAIO COGNOME aveva ben spiegato come fosse stata la vendita, dopo il riscatto, a far emergere il reale valore del bene.
Si sarebbe dovuta considerare tutta l’operazione nel suo complesso: il riscatto, la cessione del bene, la cessione del credito che era stato poi utilizzato per la compensazione parziale.
Era stato l’impegno finanziario dei NOME COGNOME (per 30.000 euro) a consentire il riscatto anticipato e ciò aveva anche evitato la perdita dei canoni di locazione finanziaria già versati.
In ogni caso, anche se il bene fosse rimasto nel patrimonio della fallita, il successivo sequestro ve l’avrebbe comunque distolto.
Si era anche trascurato il fatto che, se il bene non fosse stato riscattato, l’immobile non sarebbe divenuto di proprietà della fallita.
In realtà si era solo censurato il fatto che gli amministratori non avessero agito nei confronti dell’acquirente, per il suo inadempimento.
Né la Corte si era soffermata sui “vantaggi compensativi” che si era creati. O si erano individuati i necessari indici di fraudolenza.
La società acquirente non era affatto priva di mezzi finanziari posto che li avrebbe potuti ricavare dall’affitto dell’immobile alla fallita.
2.2.2. Con il secondo motivo lamenta il vizio di motivazione ancora in relazione all’elemento soggettivo del reato.
Si erano trascurate le seguenti circostanze, che deponevano tutte per la volontà degli amministratori di continuare nell’attività: si era richiesta ad una società di revisione la verifica della soste nibilità RAGIONE_SOCIALE contestazioni tributar rivolte alla società; si era fissato con perizia il valore dell’immobile; si er postergato il credito di spa COGNOME (anch’essa riconducibile agli COGNOME, così da costituire un’ulteriore ragione di danno ai medesimi); si erano lasciate sui conti bancari ingenti somme di denaro (poi sequestrate); si era prevista la compensazione fra il versamento del prezzo ed i canoni maturati (pari ad euro 68.000 annui); si era, insomma, tentato, di salvare la società.
2.2.3. Con il terzo motivo denuncia il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della circostanza z:ittenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen.
I tre NOME NOME, infatti, avevano versato alla procedura, prima dell’inizio del dibattimento, la somma complessiva di euro 2.700.000. Ciò nonostante, il Tribunale si era limitato a riconoscere le sole circostanze attenuanti generiche. Si era allora articolato un motivo di appello che, però, non era stato preso in alcuna considerazione dalla Corte.
2.3. Gli AVV_NOTAIO NOME COGNOME e NOME COGNOME, per NOME COGNOME, articolano due motivi di ricorso.
2.3.1. Con il primo deducono la violazione di legge in relazione alla ritenuta consumazione del delitto di bancarotta.
La Corte si era limitata a riportare, quanto all’elemento soggettivo del reato, le valutazioni a suo tempo espresse dal RAGIONE_SOCIALE sindacale che si era opposto all’iscrizione del credito postergato di spa RAGIONE_SOCIALE e che aveva denunciato che l’operazione di vendita dell’immobile avrebbe determiNOME un depauperamento della fallita.
Una valutazione che era stata smentita dalla relazione successiva in cui i sindaci successivi avevano affermato che l’operazione complessiva, suggerita agli COGNOME dal COGNOME, inerente l’immobile strumentale avrebbe consentito il realizzo di una consistente plusvalenza così da riequilibrare la situazione patrimoniale della società. Nello stesso senso aveva poi concluso il consulente AVV_NOTAIO COGNOME.
Non si era inoltre considerato che gli COGNOME vi avevano contribuito, versando euro 30.000 in contanti per il riscatto dell’imimobile e postergando il credito di euro 567.448,80 della RAGIONE_SOCIALE a loro riconducibile.
Se il bene non fosse stato riscattato e se la società fosse stata posta in liquidazione, il concedente avrebbe avuto diritto alla sua restituzione, pur dovendo corrispondere il prezzo della vendita dello stesso, detratte le somme non versate.
La Corte aveva poi affermato come la fallita non avesse la possibilità di recuperare il bene, così dimenticando che si sarebbe potute verificare altre ipotesi: che l’acquirente versasse il prezzo, che la società acquirente si fondesse con la fallita, che la fallita riscattasse il bene (vista l’inadempienza dell’acquirente).
Era stato il successivo sequestro a carico di NOME COGNOME (dopo soli tre mesi dalla sua vendita) ad impedire, comunque, il recupero del bene immobile. Ed il mancato pagamento dello stesso.
Erano poi arrivati quegli avvisi di accertamento fiscali che avevano definitivamente affossato la società.
2.3.2. Con il secondo motivo lamentano il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta colpevolezza del prevenuto.
La Corte si era limitata a richiamare il contributo fornito dal prevenuto alla complessiva operazione, il rapporto di consulenza con la spa RAGIONE_SOCIALE e la domiciliazione della RAGIONE_SOCIALE, acquirente dell’immobile.
Né vi era prova convincente che l’imputato fosse consapevole della indagine in corso. NOME COGNOME aveva poi rassicurato il RAGIONE_SOCIALE della fallita in ordine agli esti dell’indagine.
L’imputato, quale consulente della società, si era limitato a consigliare il riscatto dell’immobile e non erano stati raccolti concreti elementi di prova che consentissero di affermare che egli era consapevole di quel che sarebbe accaduto in epoca successiva, il mancato versamento del corrispettivo dell’immobile.
Gli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME inviavano memoria con la quale argomentavano ulteriormente sui motivi di ricorso, assumendo, fra l’altro, l’estraneità, di NOME e NOME COGNOME, alle indagini il cui esito aveva determiNOME il dissesto della RAGIONE_SOCIALE, ricordando le scansioni temporali e le ragioni della vendita del cespite immobiliare ed insistendo sul vizio derivante dall’omessa motivazione sul motivo di appello relativo al mancato riconoscimento dell’attenuante del danno risarcito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile non avendo egli proposto alcun tempestivo atto di appello, così che la sua condanna era divenuta già definitiva.
Ne segue la condanna del medesimo, per il ricorso presentato, alle spese processuali e al versamento della somma di euro 3.000 alla cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
I ricorsi di NOME e NOME COGNOME sono fondati limitatamente alla valutazione della ricorrenza dell’attenuante del danno risarcito, nel resto sono manifestamente infondati.
Manifestamente infondato è il ricorso cP NOME COGNOME.
I motivi di ricorso di NOME e NOME COGNOME e di NOME COGNOME si fondano, in buona parte, sull’analisi dell’operazione immobiliare loro contestata come distrattiva.
Lamentano in particolare che la Corte d’appello avesse omesso di considerare nella sua complessità l’operazione e che non avesse tenuto c:onto della relazione del RAGIONE_SOCIALE sindacale allegata al bilancio 2009 e degli accertamenti del consulente AVV_NOTAIO COGNOME.
In realtà, come aveva correttamente osservato la Corte territoriale, proprio l’analisi dell’operazione, nel suo complessivo svolgersi, disvela, con tutta evidenza, l’intento, perseguito dagli imputati, di depauperare il patrimonio della società ormai avviata al fallimento.
Il RAGIONE_SOCIALE sindacale dell’epoca, infatti, aveva avvertito gli amministratori, fin dalla riunione del consiglio di amministrazione del 18 marzo 2009 – alla presenza di tutti gli imputati, ivi compreso il consulente COGNOME – che la rivalutazione (negativa) RAGIONE_SOCIALE giacenze di magazzino aveva comportato l’emergere di una perdita che avrebbe determiNOME la consunzione del patrimonio netto.
Invece di approntare il rimedio previsto dall’art. 2482 ter cod. civ. (un aumento di capitale) invocato dai sindaci, gli amministratori ed il consulente avevano deciso di affrontare la situazione limitandosi a versare la somma (del tutto insufficiente) di euro 30.000 a titolo di futuro aumento di capitale (non però deliberato, come si è detto) e, soprattutto, postergando il debito che la RAGIONE_SOCIALE aveva con spa RAGIONE_SOCIALE (riferibile anch’essa agli NOME, che ne possedevano l’intero capitale e ne erano gli amministratori) di euro 567.448,20.
I sindaci, però, negavano che il debito con spa RAGIONE_SOCIALE, in quanto postergato, potesse consentire il recupero, per pari importo, del patrimonio netto, così che in
assenza di interventi atti a ricostituire concretamente il capitale, il 9 aprile 2009 rassegnavano le proprie dimissioni.
Alla riunione del giorno appresso, il 10 aprile 2009, il consiglio di amministrazione, composto dagli imputati, preso atto del patrimonio netto negativo – e sentite le assicurazioni di NOME COGNOME sulle indagini a carico suo e del figlio in corso – decidevano l’operazione immobiliare in questione.
Costituivano, il 17 aprile 2009, una società immobiliare, la RAGIONE_SOCIALE, a cui conferivano un capitale di soli 10.000 euro e cedevano il credito di spa RAGIONE_SOCIALE verso la fallita (credito che si è visto essere postergato).
Quali amministratori della fallita riscattavano l’immobile strumentale versando i 30.000 euro di cui si è detto e, divenutane la fallita proprietaria, la cedevano per euro 1.700.000 a COGNOME, che era, però, così priva di mezzi propri, da poter versare in corrispettivo il solo debito postergato di cui si è detto, in parziale compensazione del prezzo.
Così spogliando la RAGIONE_SOCIALE dell’unico cespite (appena riscattato) a favore di una società, la RAGIONE_SOCIALE, che ben si sapeva non avere mezzi per versarne il corrispettivo. E che però apparteneva agli NOME che così si ritrovavano l’immobile in questione nel patrimonio di una società in bonis (a cui mai, come era logico dedurre dal palese, complessivo, intento distrattivo, come amministratori della RAGIONE_SOCIALE, avevano contestato il mancato pagamento del prezzo, risolvendo il contratto).
Priva di ogni rilievo è poi la considerazione che l’immobile fosse divenuto di proprietà della fallita solo a seguito del riscatto posto che, se questo non fosse avvenuto, la società concedente avrebbe dovuto indennizzare la RAGIONE_SOCIALE almeno RAGIONE_SOCIALE rate di locazione immobiliare già versate.
Come privo di ogni rilievo è il successivo sequestro dell’immobile, posto che l’operazione era stata concepita al fine di depauperare il pathmonio della fallita a favore dell’altra società degli RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE.
Non solo: anche il pagamento parziale del prezzo dell’immobile, mediante compensazione del debito (ceduto dalla (:asone alla RAGIONE_SOCIALE), non aveva apportato significativi vantaggi patrimoniali alla fallita, trattandosi di debi postergato e quindi azionabile soltanto a seguito della soddisfazione di ogni altro titolo.
Essendone i costitutori (ed i cedenti dell’unico cespite finanziario, il credito di spa RAGIONE_SOCIALE) gli COGNOME, ma anche il consulente COGNOME c:he aveva suggerito l’operazione, erano perfettamente a conoscenza del fatto che la – appena costituita – RAGIONE_SOCIALE mai avrebbe potuto corrispondere il prezzo dell’immobile pattuito, neppure abbonando il canone locatizio di 68.000 euro annui visto che si sarebbero
dovuti oltre quindici anni, a fronte dell’ormai conclan -iato dissesto della RAGIONE_SOCIALE.
Come era, infatti, puntualmente e del tutto prevedibilmente, avvenuto.
Risulta pertanto evidente come debbano considerarsi manifestamente infondate le censure mosse alla sentenza impugnata da NOME e NOME COGNOME, ed anche da NOME COGNOME, che aveva concorso nella spoliazione della fallita, avendo partecipato alle riunioni del consiglio di amministrazione ed avendo, a suo steso dire, suggerito le operazioni di cui si è detto (la postergazione del debito prima ed il riscatto e la vendita dell’immobile ad una società collegata poi).
Inconferenti, alla luce di quanto si è sopra osservato, risultano essere le invocate relazioni – del nuovo RAGIONE_SOCIALE sindacale, allegata al bilancio 2009, e del consulente AVV_NOTAIO COGNOME – perché le stesse avevano omesso di considerare il dato essenziale dell’intera operazione (già perfettamente noto, anche al consulente COGNOME, quando la stessa era stata concepita), la cessione dell’immobile ad una parte correlata priva di mezzi finanziari che le consentissero di corrispondere il prezzo pattuito.
Risultano pertanto manifestamente infondati il primo ed il secondo motivo del ricorso comune a NOME e a NOME COGNOME ed il primo ed il secondo del ricorso COGNOME
E’, invece, fondato il terzo motivo del ricorso di NOME e NOME COGNOME. Risulta, infatti, che i due imputati abbiano versato, pur se a titolo transattivo,
la somma complessiva di euro 2.700.000 alla curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE.
Il Tribunale aveva, brevemente, osservato che tale somma non poteva concretare l’attenuante dell’avvenuto risarcimento del danno considerando, appunto, la natura transattiva (e, quindi, di non integrale ristoro) dell’accordo che l’aveva quantificata.
Sulla specifica doglianza d’appello, la Corte territoriale nulla aveva argomentata.
Ora, però, va considerato che questa Corte ha già avuto modio di precisare che la circostanza che il versamento di somme a seguito di un accordo transattivo sul danno da reato non comporta, a cagione della natura stessa dell’accordo (costituito da reciproche concessioni), che lo stesso non sia stato o integrale o satisfattivo.
Si è infatti affermato che, ai fini della configurabilità della circostanz attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 6, cod. pen.’ il risarcimento del danno deve essere integrale, ossia comprensivo della totale riparazione di ogni effetto dannoso, e la valutazione in ordine alla corrispondenza fra transazione e
danno spetta al giudice (ex plurimis Sez. 2, n. 51192 del 13/11/2019, C. Rv. 278368).
Per negare l’invocata attenuante, pertanto, non era sufficiente ricordare la natura transattiva dell’accordo con la curatela, ma si sarebbe dovuto accertare se quanto versato potesse costituire, comunque, il ristoro integrale del danno da reato, tanto più che gli imputati aveva corrisposto al fallimento la somma di euro 2.700.000, ben superiore al danno cagioNOME ai creditori con l’unico addebito contestato nel presente processo, la distrazione di un immobile valutato euro 1.700.000.
La sentenza, sul punto, va pertanto annullata.
Alla totale inammissibilità del ricorso del COGNOME segue la sua condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali ed al versamento della somma di euro 3.000 alla cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
NOMEQ, NOME.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME limitatamente all’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p. con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.
Inammissibili nel resto i ricorsi.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME e condanna i ricorrenti al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
Così deciso, in Roma il 30 gennaio 2024.