LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Risarcimento danni penale: appello e prescrizione

La Corte di Cassazione chiarisce i limiti del risarcimento danni penale in appello. Se l’imputato è stato assolto in primo grado, il giudice dell’impugnazione non può decidere sulle richieste civili in caso di prescrizione del reato o depenalizzazione. La sentenza sottolinea che la condanna in primo grado è un presupposto indispensabile per poter esaminare la domanda di risarcimento in appello, qualora il reato si estingua.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Risarcimento danni penale: nessuna decisione in appello senza condanna in primo grado

Ottenere un risarcimento danni penale può diventare un percorso complesso, specialmente quando il processo subisce delle battute d’arresto come la prescrizione o la depenalizzazione del reato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 43688 del 2024, ha ribadito un principio fondamentale: se l’imputato è stato assolto in primo grado, il giudice d’appello non può pronunciarsi sulle richieste di risarcimento della parte civile, neanche se il reato nel frattempo si è estinto. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un procedimento per i reati di ingiuria e minacce. In primo grado, il Giudice di Pace aveva assolto l’imputata. La parte civile, ovvero la persona offesa dai reati, ha proposto appello. Durante il giudizio di secondo grado, tuttavia, sono intervenuti due eventi decisivi: il reato di ingiuria è stato depenalizzato (trasformato in illecito civile) e il reato di minacce è caduto in prescrizione.

Il Tribunale, in funzione di giudice d’appello, ha quindi dichiarato il non doversi procedere, specificando che la natura di tale pronuncia impediva una decisione sulla domanda di risarcimento danni avanzata dalla parte civile. Insoddisfatta, la parte civile ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il Tribunale avrebbe violato la legge, in particolare l’art. 578 del codice di procedura penale, che disciplina proprio le decisioni sulle questioni civili in caso di estinzione del reato.

La Decisione della Corte di Cassazione sul risarcimento danni penale

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Gli Ermellini hanno chiarito, con argomentazioni distinte per i due reati, perché la decisione del Tribunale fosse corretta e perché non vi fosse spazio per una pronuncia sul risarcimento danni in quella sede.

Le Motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su due principi cardine della procedura penale, uno relativo alla depenalizzazione e l’altro alla prescrizione.

Il Reato Depenalizzato (Ingiuria)

Per quanto riguarda l’ingiuria, la Cassazione ha richiamato un principio consolidato, stabilito dalle Sezioni Unite (sentenza Schirru, n. 46688/2016). Quando un reato viene depenalizzato, il giudice penale, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve revocare anche le statuizioni civili. Questo significa che la richiesta di risarcimento del danno non può più essere esaminata all’interno del processo penale. La parte danneggiata non perde il suo diritto, ma deve farlo valere in un’altra sede: ha infatti la facoltà di iniziare una nuova e autonoma causa davanti al giudice civile per ottenere sia il risarcimento del danno sia l’applicazione delle nuove sanzioni pecuniarie civili previste dalla legge di depenalizzazione.

Il Reato Prescritto e il risarcimento danni penale (Minacce)

Il punto cruciale della sentenza riguarda il reato di minacce, estinto per prescrizione. Il ricorrente invocava l’applicazione dell’art. 578 c.p.p., secondo cui il giudice d’appello, quando dichiara estinto il reato per prescrizione, decide comunque sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

Tuttavia, la Corte ha sottolineato che questa norma ha natura eccezionale e si applica ad una condizione ben precisa e non derogabile: deve esistere una sentenza di condanna, anche generica, emessa nel primo grado di giudizio. Nel caso di specie, l’imputata era stata assolta. L’assoluzione in primo grado rappresenta una barriera insormontabile: impedisce al giudice d’appello di ‘riesumare’ la domanda civile per deciderla nel merito, una volta che il reato è stato dichiarato estinto. In assenza di una condanna di primo grado, la richiesta di risarcimento danni penale non può essere esaminata nelle fasi successive del giudizio penale.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio di fondamentale importanza pratica per chi si costituisce parte civile in un processo penale. L’esito del primo grado di giudizio è determinante. Un’assoluzione dell’imputato, anche se impugnata, preclude alla parte civile la possibilità di ottenere una decisione sul risarcimento in appello qualora, nel frattempo, il reato si estingua per prescrizione. La via per ottenere giustizia, in questi casi, non è persa, ma si sposta necessariamente dal binario penale a quello civile, con l’onere di avviare un nuovo e distinto procedimento.

Se un reato viene depenalizzato durante il processo, posso ancora ottenere il risarcimento danni in sede penale?
No. Secondo la sentenza, in caso di depenalizzazione, il giudice penale deve revocare le statuizioni civili. La parte danneggiata dovrà iniziare una nuova causa davanti al giudice civile per chiedere il risarcimento.

Il giudice d’appello può decidere sul risarcimento se il reato si è prescritto?
Sì, ma solo a una condizione fondamentale: che nel primo grado di giudizio sia stata pronunciata una sentenza di condanna nei confronti dell’imputato. Se, come nel caso analizzato, l’imputato è stato assolto in primo grado, il giudice d’appello non può pronunciarsi sulle domande civili.

Perché il ricorso della parte civile è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché basato su una palese errata interpretazione dell’art. 578 del codice di procedura penale. Questa norma è eccezionale e non si applica in caso di assoluzione in primo grado. Pertanto, i motivi del ricorso erano privi di fondamento giuridico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati