Riqualificazione Giuridica: La Cassazione Traccia i Confini tra Rimedi Processuali
Nel complesso panorama della procedura penale, la scelta dello strumento processuale corretto è fondamentale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 4794 del 2024, torna su un tema cruciale: la riqualificazione giuridica di un’istanza, ribadendo i rigidi confini tra rimedi apparentemente simili ma sostanzialmente diversi. La pronuncia chiarisce perché non sempre un atto presentato in modo errato può essere ‘salvato’ dal giudice, con importanti conseguenze pratiche per la difesa.
I Fatti del Caso
La vicenda trae origine dal ricorso di un imputato contro un decreto del GIP del Tribunale di Reggio Emilia. Quest’ultimo aveva dichiarato inammissibile un’istanza presentata al giudice dell’esecuzione. Secondo il GIP, le questioni sollevate dall’imputato avrebbero dovuto essere veicolate attraverso lo specifico strumento della rescissione del giudicato, disciplinato dagli articoli 629 e 629-bis del codice di procedura penale, e non tramite un generico incidente di esecuzione.
La difesa, nel ricorrere in Cassazione, sosteneva un unico motivo: il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto interpretare la volontà dell’istante e procedere d’ufficio alla riqualificazione giuridica dell’atto, trasformandolo da incidente d’esecuzione a richiesta di rescissione, dato che ne sussistevano i presupposti di legge.
La Questione Giuridica e la Riqualificazione Giuridica degli Atti
Il cuore della controversia risiede nel principio di conservazione degli atti processuali (art. 568, comma 5, c.p.p.), secondo cui un’impugnazione proposta con un mezzo o una forma non corretti produce comunque i suoi effetti se possiede i requisiti dell’atto corretto. La difesa puntava su un’applicazione estensiva di questo principio. Tuttavia, la Cassazione è chiamata a definire se tale principio possa estendersi fino a convertire un’istanza di restituzione nel termine, tipica del processo di cognizione per l’imputato assente, in una richiesta di rescissione del giudicato, che è un rimedio straordinario contro una sentenza definitiva.
Gli Strumenti a Confronto: Rescissione vs. Restituzione
Per comprendere la decisione, è essenziale distinguere i due istituti:
* Restituzione nel termine (art. 420-bis c.p.p.): Permette all’imputato, dichiarato assente, di essere rimesso nei termini per esercitare le sue facoltà se prova che la sua assenza è dovuta a incolpevole mancata conoscenza del processo. Si colloca all’interno del processo non ancora definito.
* Rescissione del giudicato (art. 629-bis c.p.p.): È un’impugnazione straordinaria che interviene dopo la sentenza definitiva (giudicato). Consente di travolgere il giudicato se si prova che l’imputato non ha avuto effettiva conoscenza del procedimento, pur essendo stato dichiarato assente.
Sebbene le finalità siano simili (tutelare chi non ha potuto difendersi per incolpevole ignoranza), la loro natura, i presupposti e la fase processuale in cui operano sono profondamente diversi.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicandolo manifestamente infondato. I giudici hanno ribadito un orientamento giurisprudenziale consolidato, richiamando anche le pronunce delle Sezioni Unite (sentenze ‘Burba’ e ‘Lovric’).
Il punto centrale della motivazione è che il principio di conservazione degli atti e la conseguente possibilità di riqualificazione giuridica si applicano esclusivamente ai rimedi che il codice definisce espressamente come ‘impugnazioni’ (es. appello, ricorso per cassazione). La richiesta di restituzione nel termine, invece, non rientra in questa categoria.
La Corte ha specificato che non è possibile riqualificare istanze che hanno un ‘oggetto giuridico’ differente. Confondere una richiesta di restituzione nel termine con una di rescissione del giudicato, o con un incidente di esecuzione, significherebbe sovrapporre strumenti processuali che il legislatore ha voluto tenere distinti per finalità e presupposti. Le Sezioni Unite avevano già escluso categoricamente la possibilità di riqualificare una richiesta di rescissione in una di restituzione nel termine, e la Corte estende questo rigore logico anche al caso inverso.
In sostanza, il giudice non ha il potere di sanare l’errore della parte nella scelta di un rimedio processuale quando questo errore riguarda la natura stessa dello strumento utilizzato, specialmente se si tratta di istituti con ambiti di applicazione così nettamente separati.
Le Conclusioni
La sentenza n. 4794/2024 conferma la linea di rigore della Cassazione sulla non fungibilità dei rimedi processuali penali. La decisione finale è stata la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di 3.000 euro.
L’insegnamento pratico che se ne trae è di fondamentale importanza: la precisione nella scelta dello strumento giuridico è un presupposto non negoziabile. Affidarsi a una potenziale riqualificazione giuridica da parte del giudice è una strategia rischiosa e, come dimostra questo caso, spesso perdente. La difesa ha l’onere di individuare e utilizzare l’istituto corretto previsto dalla legge, poiché un errore nella qualificazione dell’istanza può precludere definitivamente la tutela di un diritto.
È possibile chiedere al giudice di ‘correggere’ un’istanza processuale presentata in modo errato, trasformandola in quella corretta?
No, non sempre. La Corte di Cassazione ha stabilito che il principio di conservazione degli atti, che permette la riqualificazione giuridica, si applica solo a specifici rimedi qualificati come ‘impugnazioni’ dal codice, escludendo altri istituti come la restituzione nel termine.
Perché una richiesta di restituzione nel termine non può essere considerata come una richiesta di rescissione del giudicato?
Perché si tratta di due rimedi con un oggetto giuridico e finalità differenti. La Corte, richiamando le Sezioni Unite, ha chiarito che non è possibile riqualificare l’una nell’altra, data la loro distinta natura e disciplina normativa.
Qual è stata la decisione finale della Corte e quali sono le conseguenze per il ricorrente?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Di conseguenza, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 4794 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 4794 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME CODICE_FISCALE nato a VERONA il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 25/07/2023 del GIP TRIBUNALE di REGGIO EMILIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni del difensore AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME, per mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione lamentando violazione di legge e vizio della motivazione avverso l’ordinanza (effettivamente decreto, per come allegato agli atti) del Tribunale di Reggio Emilia del 25/07/2023 che ha dichiarato inammissibile l’istanza inoltrata al giudice dell’esecuzione per questioni che dovevano eventualmente essere sollevate attraverso la disciplina di cui agli art. 629- 629-bis cod. proc. pen.
La difesa ha sostenuto con un unico motivo di ricorso, che qui si riporta nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., che il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto riqualificare l’incidente d’esecuzione d’ufficio, dando così rilievo alla reale volontà dell’istante, essendo state rispettate le condizioni di ammissibilità previste per legge ai sensi dell’art. 629/629bis cod. pen.
Il procuratore generale ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivo manifestamente infondato. Come correttamente osservato dal Procuratore generale nelle proprie conclusioni questa Corte ha precisato, con principio che qui si intende ribadire, che l’istanza di restituzione nel termine proposta dall’imputato dichiarato assente ai sensi dell’art. 420-bis cod. proc. pen. non può essere riqualificata nella richiesta di rescissione del giudicato ex art. 629-bis cod. proc. pen., perché il principio di conservazione di cui all’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., è applicabile ai soli rimedi qualificati come impugnazioni dal codice di rito, tra i quali non rientra la restituzion nel termine” (Sez. 6 n. 10000 del 14/02/2017, Rv. 269665-01; Sez. 4 n. 863 del 03/12/2021, Rv. 282566-01; Sez. 3 n. 33647 del 08/07/2022, Rv. 283474-01).
In tal senso occorre osservare che questa Corte nel suo massimo consesso (Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020, COGNOME, Rv. 280931-02), ha esplicitamente richiamato il dictum anche di Sez. U. COGNOME (Sez. U, n. 36848 del 17/07/2914, COGNOME, Rv. 259992-01), che sul piano generale ha escluso ogni possibilità di riqualificare la richiesta di rescissione del giudicato come restituzione nel termine ed anche quale incidente di esecuzione, tenuto conto del differente oggetto giuridico dei rimedi in questione. Non vi sono dunque ragioni per discostarsi dal canone interpretativo accolto dalla ordinanza impugnata che ha risolto la questione in applicazione dei principi evidenziati nei ripetuti interventi delle Sezioni Unite cui si è fatto riferimen
Il ricorso deve in conclusione essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, stimata equa, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cass delle ammende.
Così deciso in data 1 dicembre 2023.