Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 3004 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 3004 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a CESA il 01/03/1953
avverso l’ordinanza del 15/06/2021 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, quale giudice della riparazione, con l’ordinanza impugnata ha respinto la domanda con la quale NOME COGNOME ha chiesto la riparazione per la custodia cautelare subita dal 17.12.2008 al 6.3.2009, nell’ambito di un procedimento penale sorto per essere il Romeo indagato (e poi imputato), nella sua qualità di imprenditore gestore di fatto delle società riconducibili al “gruppo Romeo”, dei seguenti delitti:
art. 416 cod. pen. (capo A), per essersi associato con altri coimputati al fine di commettere reati di turbativa d’asta, abusi d’ufficio, falsi in atto pubblico corruzione e rivelazione di segreto di ufficio, tutti finalisticarnente indirizzat consentire alle società riconducibili al gruppo Romeo l’aggiudicazione di appalti pubblici, attraverso attività diretta alla predisposizione di bandi di gara formalmente regolari ma in realtà modulati sulle caratteristiche tecniche operative delle imprese riconducibili al suddetto gruppo imprenditoriale, il NOME quale promotore che si procurava illecitamente in anticipo notizie sui pubblicandi bandi di gara al fine di eludere la concorrenza; e quali reati fine:
di una serie di condotte di turbativa d’asta e rivelazione del segreto d’ufficio di cui agli artt. 110, 81 cpv., 353, commi 1 e 2, 326, commi 1 e 3, cod. pen. perché, in concorso con i coimputati (assessori, funzionari pubblici e politici), attraverso doni, promesse collusioni o altri mezzi fraudolenti, turbava la gara del pubblico appalto novennale per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle principali strade di Napoli secondo lo schema del Global service (capi B, C, D, F);
di una serie di condotte corruttive di cui agli artt. 110, 81, 319, 319 bis, 321 cod. pen. in concorso con i coimputati (assessori, funzionari e militari) per avere compiuto atti contrari ai doveri d’ufficio al fine di consentire alle imprese riconducibili direttamente o indirettamente a NOME NOME l’aggiudicazione di appalti pubblici banditi dal Comune di Napoli con conseguente stipula dei contratti ricevendo la promessa di utilità consistite nell’assunzione di manodopera, nell’affidamento di subappalti ad imprese da lui segnalate, o altre utilità economicamente valutabili (capi G, H, I, L, M, N).
Secondo quanto ricostruito nell’ordinanza impugnata, la misura cautelare, confermata dal Tribunale del riesame in data 3.1.2009 (tranne che per il reato di cui al capo H), era stata revocata con successivo provvedimento del Giudice dell’udienza preliminare in data 6.3.2009. In sede di merito, all’esito del giudizio abbreviato, lo stesso Giudice dell’udienza preliminare aveva assolto il Romeo dai
vari reati ascrittigli, tranne che per l’episodio di corruzione contestato al capo M), in relazione al quale veniva riconosciuto colpevole. A seguito di appello proposto dal Pubblico ministero, era stata affermata la responsabilità del Romeo anche in relazione ai reati ascrittigli ai capi F) e G). Infine, la Corte di cassazione, con sentenza del 9.7.2014, aveva annullato senza rinvio, per insussistenza del fatto, la sentenza di condanna emessa dalla Corte di appello in relazione ai reati contestati ai capi F), G) e M).
In estrema sintesi, l’ordinanza impugnata ha respinto l’istanza riparatoria in quanto ha ritenuto che la vicenda che aveva determinato la detenzione dell’istante fosse causalmente riconducibile ad una condotta gravemente colposa del Romeo.
Avverso la suddetta ordinanza, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso l’interessato, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 314-315 cod. proc. pen.
Deduce, in particolare, la nullità dell’ordinanza, attesa l’inosservanza e l’erronea applicazione delle indicate norme processuali e il difetto di motivazione, asseritannente apodittica ed apparente e, di fatto, mancante. Rileva che i giudici che hanno emesso nei tre gradi di giudizio il verdetto pienamente assolutorio hanno esaminato e considerato gli stessi atti a disposizione del GIP e del Tribunale del riesame, per cui sussiste preclusione nella valutazione della colpa, trattandosi di una situazione di ingiustizia formale e non potendo il giudice della riparazione sovrapporre i suoi personali convincimenti ai fatti concreti accertati dai giudici della cognizione sugli stessi atti. Inoltre, assume come sia priva di motivazione la ipotizzata condotta colposa del Romeo, vuoi in ordine alla sua sussistenza, vuoi ancora in ordine alla sua gravità, vuoi infine in punto di nesso causale con l’applicazione ed il mantenimento della misura applicata.
Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Si è costituito il Ministero dell’Economia e delle Finanze, concludendo per la reiezione del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
Il primo motivo di censura – con cui si contesta il passaggio motivazionale dell’ordinanza della Corte napoletana in cui si afferma che il giudice della
cognizione non sia giunto alla decisione assolutoria in base al medesimo materiale vagliato dal giudice della cautela per l’emissione dell’ordinanza cautelare introduce il tema della c.d. ingiustizia formale (art. 314, comma 2, cod. proc. pen.) che caratterizzerebbe l’iter riparatorio in questione, con il relativo corollari secondo cui i giudici della riparazione non avrebbero potuto operare alcuna valutazione causale in merito alla eventuale colpa dell’interessato, secondo il ben noto principio stabilito dalle Sezioni Unite COGNOME Secondo il ricorrente, infatti, nel caso non vi sarebbe stata alcuna diversità tra il materiale probatorio esaminato dal giudice della cautela e quello che aveva dato luogo alla definitiva sentenza di assoluzione.
La censura è priva di pregio, per due ordini di motivi.
2.1. L’istanza di riparazione per ingiusta detenzione, a suo tempo presentata alla Corte territoriale dal difensore del ricorrente, non aveva in alcun modo impostato le sue ragioni su presupposti di c.d. ingiustizia formale, vale a dire, essenzialmente, su elementi che avrebbero dovuto dare conto, in ipotesi, di una situazione di accertata illegittimità della misura cautelare subita dall’istante, in quanto emessa in difetto delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. L’istanza, al contrario, si era limitata a fare unicamente questione di ingiustizia sostanziale (art. 314, comma 1, cod. proc. pen.), insistendo, a seguito della intervenuta assoluzione dai reati, in ordine alla totale assenza di una condotta colposa da parte del Romeo, ostativa al riconoscimento dell’indennizzo richiesto.
La giurisprudenza della Corte regolatrice ha già in passato chiarito – e va qui ribadito – che nel procedimento di riparazione per l’ingiusta detenzione, che è una procedura riguardante interessi economici e pecuniari di natura civilistica, inserita per ragioni di sedes materiae e di opportunità nel codice di procedura penale, una volta fissati, tramite il ricorso, gli elementi individuanti l’azione esperita, non consentito, né alla parte, nel difetto di consenso o d’acquiescenza dell’altra, né al giudice d’ufficio, modificare la “causa petendi”, senza che il controinteressato sia
stato posto in grado di interloquire al riguardo. Sicché, quando l’attore abbia posto a fondamento della richiesta la fattispecie legale di cui al comma primo dell’art. 314 cod. proc. pen., il giudice non può accogliere la domanda sulla base di altra “causa petendi”, quale l’ipotesi di illegittima detenzione, di cui al comma secondo della predetta disposizione di legge (così Sez. 4, n. 1514 dei 17/12/1992 – dep. 1993, Rv. 194083 – 01; più di recente v. Sez. 4, n. 21167 del 14/03/2023, Rv. 284689 – 01).
2.2. In ogni caso, il ricorrente – che insiste nel sostenere come l’affermata impossibilità, all’esito del giudizio di cognizione, di configurare il contestato delitt di corruzione, implichi una situazione di ingiustizia formale ab origine della misura custodiale – non considera che, in realtà, per farsi questione di ingiustizia formale ex art. 314, comma 2, cod. proc. pen., occorre che nella vicenda giudiziaria presupposta sia stata accertata, con decisione irrevocabile, l’illegittimità del provvedimento che aveva disposto la misura cautelare, in quanto adottato o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen.; tale decisione, che non può provenire dal giudice della riparazione, il quale non è investito della questione, ma solo dal giudice cautelare, sollecitato tramite impugnazione, o dallo stesso giudice del merito (cfr. Sez. 4, n. 5455 del 23/01/2019, Rv. 275022 – 01), non risulta che sia stata adottata nel procedimento giudiziario presupposto per tutti i reati oggetto di contestazione, né il ricorso si perita di addurre elementi specifici in tal senso; con la conseguenza che, nella fattispecie in esame, vengono a mancare le basi giuridiche minime per invocare una riparazione ai sensi del secondo comma dell’art. 314 cod. proc. pen.
3. Sotto il profilo della c.d. ingiustizia sostanziale, si ritiene che la Cort territoriale abbia correttamente esaminato la questione sottoposta al suo esame, valutando in maniera congrua e logica, e con l’autonomia che è propria del giudizio di riparazione, la ricorrenza di una condotta ostativa determinata da dolo o colpa grave, avente effetto sinergico rispetto alla custodia cautelare subita dall’interessato.
È infatti noto che, in materia di riparazione per ingiusta detenzione, la colpa che vale ad escludere l’indennizzo è rappresentata dalla violazione di regole, da una condotta macroscopicamente negligente o imprudente dalla quale può insorgere, grazie all’efficienza sinergica di un errore dell’Autorità giudiziaria, una misura restrittiva della libertà personale. Il concetto di colpa che assume rilievo quale condizione ostativa al riconoscimento dell’indennizzo non si identifica con la “colpa penale”, venendo in rilievo la sola componente oggettiva della stessa, nel senso di condotta che, secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit, possa aver creato una situazione di prevedibile e doveroso intervento dell’Autorità
giudiziaria. Anche la prevedibilità va intesa in senso oggettivo, quindi non come giudizio di prevedibilità del singolo soggetto agente, ma come prevedibilità secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit, in relazione alla possibilità che la condotta possa dare luogo ad un intervento coercitivo dell’autorità giudiziaria. Pertanto, è sufficiente considerare quanto compiuto dall’interessato sul piano materiale, traendo ciò origine dal fondamento solidaristico dell’indennizzo, per cui la colpa grave costituisce il punto di equilibrio tra gli antagonisti interess in campo.
Va inoltre considerato che il giudice della riparazione, per stabilire se chi ha patito la detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, co valutazione “ex ante” – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013 – dep. 25/02/2014, Rv. 259082 – 01). La valutazione del giudice della riparazione, insomma, si svolge su un piano diverso, autonomo rispetto a quello del giudice del processo penale, ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 1996, COGNOME ed altri).
L’ordinanza impugnata ha fornito un percorso logico motivazionale intrinsecamente coerente e rispettoso dei principi di diritto dianzi accennati.
La Corte territoriale, valutando autonomamente il materiale probatorio utilizzato dai giudici di merito, ha fondatamente ritenuto che il comportamento del Romeo, pur riconosciuto privo di rilevanza penale, abbia contribuito colposamente in maniera decisiva all’emissione e al protrarsi della misura cautelare.
In sintesi, i giudici napoletani hanno valorizzato specifiche condotte del Romeo il quale, al fine di raggiungere l’obiettivo di aggiudicarsi l’appalto novennale (c.d. “Global Service”) per la manutenzione ordinaria e straordinaria delle principali strade di Napoli (secondo un progetto che il Comune di Napoli intendeva varare), aveva personalmente agito con modalità tali da esercitare pressioni su pubblici amministratori e aveva cercato di acquisire informazioni, di condizionare gli enti pubblici interessati nella formazione dei bandi di gara e di acquisire notizie riservate. I giudici hanno dato conto del fatto che il Romeo aveva esercitato
indebite pressioni su COGNOME NOME, pubblico ufficiale in quanto amministratore locale (assessore nello specifico settore degli appalti), affinché realizzasse un comportamento violativo della regola di imparzialità, adoperandosi, per assecondare il Romeo, con tutti i mezzi che aveva a disposizione, anche facendo intercessione affinché l’architetto COGNOME Salvatore potesse avere il desiderato avanzamento di carriera, per confezionare un parere gradito al Romeo dal quale, a sua volta, intendeva ottenere favori per persone a lui vicine. Altre pressioni erano state realizzate sul Nugnes e su altri pubblici amministratori pure coinvolti nell’operazione “Global Service”.
È stata anche richiamata la severa motivazione della Corte di cassazione (sentenza del 9 luglio 2014 n. 40306), ove si afferma che la strumentalità dei provvedimenti di modifica del prezziario dei lavori pubblici balza evidente, che il contenuto dell’atto è stravolto e privo di motivazione tecnica, che l’atto è risultato essere stato scritto dal funzionario sotto la vera e propria dettatura di COGNOME come reso evidente dalle conversazioni intercettate, che registrano sia l’apprezzamento del Romeo per quanto fatto da COGNOME sia le richieste di quest’ultimo di vari favori (assunzioni di personale dallo stesso segnalato, questioni di personale e di incarichi) sia le pressioni su COGNOME cui si promettevano avanzamenti in carriera.
La condotta posta in essere del Romeo è stata dunque ritenuta gravemente colposa ed avente effetto sinergico rispetto alla misura custodiale emessa in fase di indagini, trattandosi di comportamenti che sono stati reputati – non illogicamente – idonei ad essere ricondotti dal giudice della cautela, pur erroneamente, a situazioni di carattere corruttivo, tanto che la stessa Corte di cassazione, nella sentenza del 9 luglio 2014, aveva stigmatizzato la detta condotta, affermandone la sostanziale corrispondenza con la fattispecie criminosa successivamente introdotta dal legislatore con l’art. 346-bis cod. pen. (traffico di influenze illecite), nella specie evidentemente non applicata per effetto del principio di irretroattività della legge penale.
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Non si ritiene di dover procedere alla liquidazione delle spese sostenute dal Ministero resistente. La memoria depositata, infatti, si limita a riportare principi giurisprudenziali in materia di riparazione per ingiusta detenzione senza confrontarsi con i motivi di ricorso, sicché non può dirsi che l’Avvocatura dello Stato abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta a contrastare la pretesa del ricorrente (cfr. Sez. 4, n. 26952 del 20/06/2024, Rv. 286737 – 01).
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P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese al Ministero resistente. Così deciso il 14 novembre 2024
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