Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 19503 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 19503 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI POTENZA nel procedimento a carico di:NOME COGNOME nato a MATERA il 01/07/1951
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza del 25/09/2024 della CORTE APPELLO di POTENZA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette/sette le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 25 settembre 2024, la Corte d’appello di Potenza ha accolto l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione presentata da NOME COGNOME attinto da misura custodiale per i reati di abuso d’ufficio e falso in atto pubblico, liquidando in favore di questi la somma complessiva di euro 10.432,8 a titolo di equa riparazione per il periodo di detenzione domiciliare sofferta dal 6 luglio 2018 al 24 settembre 2018 e la somma di euro 2281,60 a titolo di rimborso per le spese legali.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Potenza, articolando i seguenti motivi di doglianza.
Erronea applicazione dell’art. 314, comma 1, cod. proc. pen. / come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, con particolare riguardo alla mancata considerazione della violazione dell’articolo 9, comma 4, d.P.R. 483/97, degli esiti dell’interrogatorio di garanzia reso dal richiedente in data 12/7/2018 e delle emergenze indiziarie indicate nell’ordinanza cautelare genetica alle pagine 245-247.
II) Mancanza di motivazione in ordine all’assenza di cause ostative ai riconoscimento del diritto ex articolo 314 cod. proc. pen. /con riferimento ai medesimi profili indicati nel motivo primo.
Dopo avere richiamato i principi informatori della materia, il ricorrente lamenta come la Corte d’appello si sia astenuta dal compiere un doveroso esame autonomo del compendio processuale in atti, accogliendo la domanda di riparazione solo sulla scorta del fatto·che gli elementi indiziari sottoposti al vaglio del giudice della cautela sono stati valutati in modo diverso nei giudizi di merito, affermando che, per tale ragione, non potevano individuarsi profili di dolo o colpa grave in capo a Larotonda.
Tale impostazione, contraria ai principi di diritto affermati in materia, è da censurarsi. In base ai compendio in atti risulta che: A) il richiedente è incorso nella violazione della norma regolamentare di cui all’articolo 9, co. 4, d.P.R. 483/97. Trattasi di dato certo, acquisito al procedimento e confermato da entrambe le sentenze assolutorie, in particolare dalla sentenza del Tribunale di Matera relativamente all’ipotesi di cui all’articolo 323 cod. pen., oggetto di modifica normativa nell’anno 2020. Rappresenta, quindi, un dato acquisito che la condotta dell’indagato, immune da rilievo penale, non sia stata conforme alle regole del citato decreto. L’ordinanza impugnata trascura di
considerare che questa circostanza fu oggetto di valutazione da parte del G.i.p. in sede di cautela, unitamente ad altri elementi desunti dalle captazioni telefoniche ed ambientali. Tale condotta avrebbe dovuto essere valutata come gravemente colposa alla luce dei canoni ermeneutici stabiliti in sede di legittimità. B) Larotonda ammise nel corso dell’interrogatorio di garanzia di non avere seguito la procedura canonica, come lo stesso giudice della riparazione rammenta a pagina 5 dell’ordinanza, non fornendo spiegazioni esaustive in merito a tale scelta e limitandosi a negare una connessione tra questo comportamento e la presenza, tra i candidati al concorso, delle due dottoresse che egli auspicava fossero assunte nel suo reparto. Anche la sentenza del Tribunale di Matera in composizione collegiale richiama tale ammissione. L’ordinanza impugnata recepisce acriticamente il dato, non soffermandosi affatto sulle conseguenze in punto di rilevazione di un comportamento gravemente colposo, incorrendo per tale ragione nei vizi della violazione di legge e della carenza di motivazione su un tema essenziale del giudizio da esperirsi ex articolo 314 cod. proc. pen.
Precisa ulteriormente il ricorrente che la considerazione dell’interrogatorio dell’indagato non poteva essere negletta sulla base della considerazione che le domande poste e le risposte fornite facessero riferimento a prove (intercettazioni) successivamente dichiarate inutilizzabili.
Si evidenzia come il giudizio da compiersi in materia di riparazione debba essere mantenuto distinto da quello della cognizione, avendo ad oggetto la considerazione di eventuali comportamenti dolosi o coiposi che abbiano svolto un ruolo sinergico rispetto all’adozione del titolo cautelare ed al suo mantenimento. Per tale ragione, nell’ambito precipuo del giudizio della riparazione, possono venire in considerazione tutte le prove e tutti i contegni processuali ed extra processuali serbati dal richiedente, con l’unica esclusione delle prove oggetto di esplicita dichiarazione di inutilizzabilità; pertanto, non vi erano ragioni per non considerare quanto affermato dall’indagato in sede d’interrogatorio di garanzia. L’ordinanza impugnata ha fatto discendere il giudizio di fondatezza dell’istanza di riparazione dalle pronunce assolutorie, senza vagliare gli atti nell’unica prospettiva ammessa in sede di legittimità, ossia quella della verifica di condotte dolose o gravemente colpose sinergiche rispetto all’adozione o al mantenimento del titolo cautelare, giungendo alia conclusione apodittica che detti comportamenti sarebbero del tutto assenti.
fl Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta, ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, condividendo le ragioni di doglianza espresse nel ricorso.
Il Ministero resistente, costituito a mezzo dell’Avvocatura di Stato, si è associato alle conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, fondato, deve essere accolto per le ragioni di seguito indicate. Occorre, per maggiore chiarezza, ripercorrere la vicenda processuale che ha riguardato COGNOME NOME, raggiunto da ordinanza di custodia cautelare per i reati di abuso d’ufficio e falso in atto pubblico.
Era contestato al richiedente di avere, nella qualità di Presidente della commissione esaminatrice di un concorso pubblico per titoli ed esami per la copertura di numero 2 posti a tempo indeterminato di Dirigente medico di otorinolaringoiatria, unitamente agli altri componenti della commissione, favorito le candidate NOME COGNOME e COGNOME COGNOME procurando loro un ingiusto vantaggio patrimoniale – consistito nel superamento della prova orale e quindi, conseguentemente, nell’assunzione a tempo indeterminato presso l’azienda sanitaria – agendo in violazione dell’articolo 9, comma 4, d.P.R 183/97 e 12, comma 1, d.P.R. 187/94, che impongono la predeterminazione e l’estrazione a sorte dei quesiti da porre ai candidati prima della prova orale, quesiti che, diversamente da quanto previsto nei regolamenti citati, erano stati decisi direttamente dal Presidente della commissione (capo 24); di avere omesso dolosamente di attestare, in concorso con gli altri componenti della commissione esaminatrice, nel verbale n. 4 del 15/5/2017, relativo all’espletamento della prova orale, che i quesiti sottoposti ai candidati, riportati nelle schede individuali, non erano stati sorteggiati, ma decisi direttamente dallo stesso Presidente della commissione, così attestando implicitamente e falsamente che la prova orale si era svolta in conformità di quanto previsto dall’articolo 9, comma 4, d.P.R. 183/97 (capo 25). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con riferimento al delitto di falso in atto pubblico, che aveva dato titolo alla misura adottata a carico di Larotonda, il giudice della riparazione ha riportato nella ordinanza ampi stralci del contenuto della sentenza assolutoria pronunciata dal G.u.p. di Matera (sent. n. 24/20 irrevocabile il 8/6/2020), ponendo in evidenza, attraverso il richiamo ai passaggi più rilevanti ivi contenuti, come la suddetta fattispecie fosse stata ritenuta insussistente per difetto “genetico” dei suoi presupposti [così aveva osservato il G.U.P. in un passaggio della sentenza assolutoria riportato a pag. 4 della ordinanza:«ne/ caso specifico, premesso che la commissione non si era attenuta alla regola
prevista dall’articolo 9 comma 4 D.P.R. 483/1997 (secondo cui i quesiti dovevano essere predisposti e poi proposti ai candidati previo sorteggio), è agevole rilevare che nel verbale della prova orale si attesta “i quesiti sottoposti ai candidati con i relativi punteggi a ciascuno attribuiti, sono riportate in apposite schede sottoscritte da tutta la commissione custodite agli atti”. Si tratta, contrariamente a quanto sostenuto dal P.M., di un’indicazione che, pur nella sua sinteticità, non nasconde affatto la mancata applicazione della regola prevista dalla norma appena citata, in quanto il riferimento alle schede custodite agli atti permette di verificare che i quesiti non erano stati sorteggiati ma, invece, erano stati sottoposti direttamente ai candidati ; così come voluto dal Larotonda: in altri termini, è stato verbalizzato esattamente quanto deciso dalla commissione, e non vi è spazio alcuno per la negazione di dati e informazioni rilevanti per la procedura concorsuale»].
Sulla base di tali elementi la Corte d’appello ha ritenuto che non potesse ascriversi alcuna forma di contributo concorsuale nell’adozione della misura a carico del richiedente per dolo o colpa grave.
Quanto alla fattispecie dell’abuso d’ufficio, il giudice della riparazione ha richiamato il contenuto della sentenza n. 877/21, passata in giudicato in data 8 febbraio 2022, con la quale il Tribunale di Matera ha assolto COGNOME dal reato in questione perché il fatto non sussiste. Ha osservato come il reato di abuso d’ufficio ascritto all’imputato si fondasse esclusivamente sulle risultanze del contenuto delle intercettazioni. Tali risultanze, già in fase cautelare, erano state reputate dalla Corte di Cassazione inidonee a rivelare una manipolazione del concorso pubblico da parte del richiedente, tesa a favorire nella prova orale le candidate indicate nell’imputazione. Inoltre, sottolinea il giudice della riparazione, nel giudizio di merito il compendio intercettativo era stato dichiarato inutilizzabile in relazione al reato di abuso d’ufficio. I restanti elementi probatori erano stati considerati del tutto inadeguati a dimostrare la responsabilità di COGNOME.
In sede di interrogatorio reso innanzi al G.i.p., il richiedente ammetteva che il sorteggio non era avvenuto secondo i canoni prescritti dalle fonti regolamentari, respingendo però gli addebiti mossi e ribadendo che la sua gratitudine al Direttore generale era dovuta alla circostanza che, dopo tanti anni di precarietà, il suo reparto poteva finalmente contare su due nuove unità assunte a tempo indeterminato.
I passaggi motivazionali sopra evidenziati rendono evidente l’erronea impostazione seguita dai giudici della riparazione e la fondatezza delle
doglianze proposte dal Procuratore Generale ricorrente: la Corte di merito si è infatti limitata a ripercorrere il contenuto delle sentenze assolutorie, facendo derivare dalla riconosciuta insussistenza dei reati in sede di cognizione il diritto del richiedente ad essere indennizzato sulla base di un automatismo non consentito in sede di riparazione.
L’art. 314 cod. pen., come è noto, prevede, al primo comma, che “chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché ìl fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”.
In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, costituisce causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen.).
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che è dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’id quod plerumque acciditìsecondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del 13/12/1995 dep. il 1996, COGNOME ed altri, Rv. 203637).
La nozione di colpa, ricavabile invece dall’art. 43 cod. pen., impone, nel giudizio riparatovi°, di ritenere colposa quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso.
Si è quindi stabilito che il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione non spetti se l’interessato abbia tenuto consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare occasioni di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria o se abbia serbato una condotta che, per evidente negligenza,
imprudenza o inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, sia stata idonea a determinare una situazione tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione del provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso (Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, COGNOME, Rv. 242034).
Ancora le Sezioni Unite hanno affermato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. Unite, n. 32383 del 27/5/2010, COGNOME, Rv. 247664).
Quanto ai rapporti con il giudizio di cognizione, sì è precisato che il giudice della riparazione, ai fini dell’accertamento della sussistenza della colpa grave (o del dolo) dell’interessato, pur dovendo operare eventualmente sullo stesso materiale probatorio acquisito dal giudice della cognizione, “deve seguire un iter logico-motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se esse si sono poste come fattore condizionante, anche nel concorso dell’altrui errore, alla produzione dell’evento ” (cfr. Sez. U, Sentenza n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606 – 01). Il giudizio d’idoneità delle condotte a indurre in errore il giudice deve essere valutato “ex ante” (Sez. 4, n. 1705 del 10.3.2000, dep. il 12.4.2000, Rv. 216479).
3. Da quanto precede discende che è consentita al giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non nella loro valenza indiziaria o probante, ma in quanto idonei a determinare, in’ ragione di comportamenti connotati da macroscopica negligenza od imprudenza, l’adozione della misura, con l’unico limite rappresentato dal fatto che il giudice della riparazione non può ritenere accertati fatti esclusi in sede di cognizione od escludere circostanze riconosciute in tale sede. Infatti il giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione è del tutto autonomo rispetto al giudizio penale di cognizione, impegnando piani di indagine diversi, che possono condurre a conclusioni differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti (cfr. Sez. 4, n. 12228 del 10/1/2017, Rv. 270039).
L’ordinanza impugnata non ha fatto buon governo dei principi sopra richiamati.
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Pacificamente il giudice della riparazione non può considerare il contenuto delle conversazioni intercettate dichiarate inutilizzabili in sede di cognizione.
Ciò in base all’insegnamento delle Sezioni Unite, ribadito in plurime pronunce delle sezioni semplici (cfr. Sez. U, n. 1153 del 30/10/2008, dep. 2009, Rv. 241667:”L’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, accertata nel giudizio penale di cognizione, ha effetti anche nel giudizio promosso per ottenere la riparazione per ingiusta detenzione”). Legittimamente, pertanto, la Corte d’appello ha ritenuto di non avvalersi del contenuto dei colloqui captati, essendo state dichiarati inutilizzabili i risultati delle intercettazioni sede di giudizio di merito.
Tuttavia, deve rimarcarsi come il giudice della riparazione non possa esimersi dal ricercare e valutare eventuali comportamenti colposi, endo ed extraprocessuali, che abbiano concorso nel determinare l’adozione della misura cautelare a carico del richiedente, anche valutando diversamente circostanze emerse ed accertate nel corso del giudizio di cognizione.
Pertanto, sebbene il giudice della riparazione non possa ritenere l’esistenza di fatti esclusi dal giudice del processo, ben può rivalutare – non ai fini dell’accertamento della penale responsabilità, ma ai fini dell’accertamento del diritto alla riparazione – ogni circostanza utile per le valutazioni da compiersi in materia.
Con riferimento al caso che occupa, benchè la fattispecie del falso non sia venuta ad esistenza, ragione per la quale in sede di cognizione si è pervenuti all’assoluzione del richiedente per insussistenza del fatto, è stata completamente omessa ogni valutazione circa i comportamenti serbati dal richiedente, il quale, per sua stessa ammissione, ha violato la norma che impone nei pubblici concorsi la predeterminazione ed il sorteggio delle domande da porre ai candidati nella prova orale.
Come detto in precedenza, la violazione di leggi, regolamenti e norme disciplinari, può essere rivelatrice di comportamenti colposi valutabili ai fini del diniego dell’indennizzo.
Del pari meritevole di censura è il fatto di avere trascurato di considerare gli elementi che il giudice della cautela ha valorizzato all’atto della emissione del titolo cautelare onde verificare, con valutazione da compiersi ex ante, la loro idoneità ad indurre in errore l’Autorità. Tra gli elementi valutabili rientra certamente il contenuto dell’interrogatorio svolto dal richiedente, il quale aveva riconosciuto di avere violato la disposizione a presidio del regolare svolgimento della prova concorsuale.
Da quanto precede discende l’annullamento della ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Potenza, cui demanda anche
la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente a questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Potenza, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le
parti relativamente al presente giudizio di legittimità.
In Roma, così deciso il 15 aprile 2025
Il Consigliere estensore