Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1851 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1851 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 17/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a LOCRI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/05/2022 della CORTE APPELLO di VENEZIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/ger -7trfè le conclusioni del PG GLYPH ln-e i C GLYPH g thAA , Cal-1
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Venezia ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da COGNOME NOME, in riferimento alla custodia cautelare e domiciliare sofferta in relazione al reato di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e a reati f contestati in concorso con altri.
1.2. GLYPH Con sentenza resa in esito a giudizio abbreviato in data 09/10/2019, lo COGNOME veniva assolto, ai sensi dell’art. 530 cpv. cod. proc. pen., dai capi di imputazione (21 e 23) rispettivamente afferenti al delitto d cui all’art. 74 d.P.R. 309/90 e al delitto di tentata importazione di stupefacen dall’Olanda, mentre era condannato per il residuo reato di cui al capo 22) artt. 110, 81 cpv. e 73 d.P.R. 309/90 -, relativo a due cessioni di cocain effettuate, in tempi diversi, in prima persona dal coimputato COGNOME NOME, con cui lo COGNOME abitualmente si accompagnava, in favore di COGNOME NOME, nonché una sistematica attività di approvvigionamento di cocaina che, in attesa di essere ceduta in quantità non modica, sarebbe stata tenuta in deposito presso l’abitazione di COGNOME NOME, sita in Venezia- Mestre.
1.3. Con sentenza del 28/12/2020, la Corte di appello di Venezia, riconosciuto COGNOME colpevole di associazione finalizzata al narcotraffico e delle due cessioni di cocaina in favore di COGNOME, ha assolto l’istante dal reato d cui al capo 22), per non aver commesso il fatto. Con riguardo alla specifica posizione di quest’ultimo, i Giudici di appello, prese in esame le dichiarazioni rese dal coimputato COGNOME – il quale affermava di non ricordare se anche COGNOME, oltre a COGNOME, fosse stato a casa sua in entrambe le occasioni in cui v sarebbe stata la cessione dello stupefacente -‘ concludevano nel senso che “dal preteso chiamante in correità COGNOME NOME.NOME. non si riesce a configurare un ruolo che vada oltre la mera connivenza quale mero accompagnatore occasionale – e privo di qualsivoglia veste attiva – di COGNOME NOME“.
Il Giudice della riparazione ha negato l’invocato indennizzo, in particolare osservando come “le condotte consapevolmente tenute dal ricorrente oggetto di specifico richiamo ed apprezzamento sia nell’ordinanza genetica di custodia cautelare, sia in minore misura nella sentenza di primo grado, per il contesto storico-ambientale in cui si sono incastonate, ben potevano essere interpretate e lette come concretizzanti il concorso nel reato da altri commesso e giudizialmente accertato. Ed in tal senso, hanno di certo determinato l’induzione in errore dell’ufficio inquirente, dell’ufficio Gip e infine
del Giudicante nel processo di primo grado, i quali hanno valutato quegli agiti come espressione di consapevole e fattiva partecipazione dello COGNOME nei fatti delittuosi a lui originariamente ascritti”e che “…. anche a voler considerare le sole motivazioni della sentenza assolutoria, che fanno leva sul ruolo di mera connivenza dello COGNOME…, non può che concludersi ravvisando in capo al medesimo l’elemento della colpa grave, che ha giustificato l’adozione dell’ordinanza cautelare” (cfr. pag .14,15).
Avverso l’ordinanza del Giudice della riparazione ricorre il difensore dell’istante che deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonché illogicità e contraddittorietà della motivazione. La Corte veneziana non avrebbe tenuto conto dei criteri ermeneutici indicati dalla Corte Suprema in tema di contiguità, atteso che nel provvedimento impugnato non vi è traccia di alcun connotato tipico della condotta che possa assurgere ad elemento sintomatico del mancato rispetto degli elementari doveri di solidarietà sociale in capo al ricorrente; né, tanto meno, risulta argomentata l’eventualità che lo stesso, con il proprio comportamento, possa aver rafforzato l’altrui volontà criminosa o che fosse in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa di altri. Non è superfluo ricordare che lo COGNOME è stato assolto proprio in ragione dell’irrilevanza dell sua posizione. Né può essere accettato il percorso argomentativo del Giudice della riparazione laddove annovera tra i motivi posti a fondamento del rigetto la circostanza che l’istante si fosse inizialmente avvalso della facoltà di no rispondere in sede di interrogatorio.
Con requisitoria scritta, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
La Corte territoriale ha correttamente esaminato la questione sottoposta al suo esame secondo i parametri richiesti dalla disposizione di cui all’art. 314 cod. proc. pen., valutando in maniera congrua e logica e con l’autonomia che è propria del giudizio di riparazione la ricorrenza di una condotta ostativa determinata da dolo o colpa grave, avente effetto sinergico rispetto alla custodia cautelare subita dall’interessato. È noto, infatti, che materia di riparazione per ingiusta detenzione, la colpa che vale ad escludere
l’indennizzo è rappresentata dalla violazione di regole, da una condotta macroscopicamente negligente o imprudente dalla quale può insorgere, grazie all’efficienza sinergica di un errore dell’Autorità giudiziaria, una misu restrittiva della libertà personale. Il concetto di colpa che assume rilievo qua condizione ostativa al riconoscimento dell’indennizzo non si identifica con la “colpa penale”, venendo in rilievo la sola componente oggettiva della stessa, nel senso di condotta che, secondo il parametro dell’idquod plerumque accidit, possa aver creato una situazione di prevedibile e doveroso intervento dell’Autorità giudiziaria. Anche la prevedibilità va intesa in senso oggettivo non quindi come giudizio di prevedibilità del singolo soggetto agente, ma come prevedibilità secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit, in relazione alla possibilità che la condotta possa dare luogo ad un intervento coercitivo dell’Autorità giudiziaria. È sufficiente, pertanto, considerare quanto compiuto dall’interessato sul piano materiale, traendo ciò origine dal fondamento solidaristico dell’indennizzo, per cui la colpa grave costituisce il punto equilibrio tra gli antagonisti interessi in campo. Va, inoltre, considerato che giudice della riparazione, per stabilire se chi ha patito la detenzione vi abbi dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o c:olpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante -e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi d reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingeneratc, ancorché in presenza di errore dell’Autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese, Rv. 259082). La valutazione del giudice della riparazione, insomma, si svolge su un piano diverso e autonomo rispetto a quello del giudice del processo penale, avendo egli, in relazione a tale aspetto della decisione, piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positiv che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione dei diritto alla riparazione (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep.1996, COGNOME ed altri). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Venendo al caso in esame. Nel provvedimento impugnato è stato congruamente e correttamente posto in rilievo come vi siano stati comportamenti del ricorrente che hanno concorso a dar causa al provvedimento restrittivo adottato nei suoi confronti. Al riguardo, l’ordinanza impugnata ha richiamato quanto ha affermato la stessa Corte di appello in
sede di cognizione, laddove ha fondato la pronuncia assolutoria sulla accertata connivenza o contiguità dell’istante a soggetti (in particolare al richiamat COGNOMECOGNOME, attivi nell’ambito del traffico illecito di sl:upefacenti. Tale profilo ap dirimente rispetto ad ogni altra considerazione. In questo senso, il provvedimento impugnato si colloca nel solco della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, secondo cui la connivenza può integrare la colpa grave che, ex art. 314, comma 1, cod. proc. pen., costituisce c:ausa ostativa al sorgere del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione allorché nella situazione in concreto accertata, può essere ritenuta indice del venir meno a elementari doveri di solidarietà sociale per impedire ill verificarsi d gravi danni alle persone o alle cose, ovvero si concreti – non già in un mero comportamento passivo dell’agente riguardo alla consumazione di un reato ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempreché l’agenl:e sia in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa (Sez. 4, n. 16369 del 18.3.2003, Cardillo, Rv. 224773). Più recentemente, è stato precisato che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la colpa grave, ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, può ravvisarsi anche in relazione ad un atteggiamento di connivenza passiva quando, alternativamente, detto atteggiamento: 1) sia indice del venir meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose; 2) concretizzi non già in un mero comportamento passivo dell’agente riguardo alla consumazione del reato ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempreché l’agente sia in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia; 3) risulti av oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell’agente, benché il connivente non intendesse perseguire tale effetto e vi sia la prova positiva che egli fosse a conoscenza dell’attività criminosa dell’agente (Sez. 4, n. 15745 del 19/2/2015, COGNOME, Rv. 263139; Sez. 4, n. 4113 del 13/01/2021, COGNOME, Rv. 280391). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
GLYPH
Così deciso il 17 ottobre 2023 Il Consigliere estensore