Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 28438 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 28438 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a VIBO VALENTIA il 05/05/1959
avverso l’ordinanza del 27/01/2025 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni della Procura Generale, in persona del Sostituto procuratore NOME COGNOME nel senso del rigetto del ricorso;
lette le conclusioni dell’Avvocatura dello Stato, nel senso dell’inammissibilità ovvero, in subordine, del rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Catanzaro, quale giudice della riparazione, ha rigettato l’istanza proposta nell’interesse di NOME COGNOME ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., avente a oggetto il riconoscimento di un equo indennizzo per l’asserita ingiusta detenzione patita in forza di due ordinanze cautelari emesse per fatti dai quali, all’esito di simultaneus processus, il richiedente è stato prosciolto con sentenza irrevocabile.
1.1. Circa la situazione di contesto nella quale è maturata l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione, la Corte territoriale ha evidenziato quanto segue.
In forza di provvedimento del 28 luglio 2010 (emesso in seno al procedimento n. 2464/2010 R.G.N.R.) è stata applicata a carico di NOME NOME COGNOME la custodia cautelare in carcere per tentata estorsione in concorso, capo A, e per reati in materia di armi (capo B, artt. 10, 12 e 14 I. n. 497 del 1974 e 3 I. n. 110 del 1975), sostituita con gli arresti domiciliari il 2 dicembre 2010. In seno al procedimento n. 641/2011 R.G.N.R., con provvedimento dell’8 marzo 2011, non convalidato il fermo, è stata applicata a carico dell’instante la custodia cautelare in carcere per tentata estorsione, capo A, e per i delitti di cui agli art. 423 cod. pen. (capo B) e 385 (capo C). La misura è stata poi sostituita con gli arresti dorniciliari, con provvedimento emesso dal Tribunale di Vibo Valentia il 24 febbraio 2012, e infine con l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (dal 29 maggio 2012).
Il procedimento n. 641/2011 R.G.N.R. è stato riunito al procedimento n. 2464/2010 R.G.N.R. e, prosegue l’ordinanza impugnata, all’esito di simultanus processus, avente a oggetto tutti i reati di cui innanzi, con sentenza n. 180/2018 del 19 gennaio 2018 NOME NOME COGNOME è stato condannato per la tentata estorsione di cui al primo capo A e per il reato di porto illegale di arma comune da sparo di cui all’art. 12 I. n. 497 del 1974, ascritta al primo capo B, nonché prosciolto dal reato di cui all’art. 10 I. n. 497 del 1974 (ascritto sempre al medesimo capo B) per decorso del termine di prescrizione. Con la medesima sentenza l’attuale ricorrente è stato assolto dai reati di cui ai secondi capi A e B nonché dal reato contestato al capo C. L’assoluzione dai reati per i quali vi è stata condanna in primo grado è invece intervenuta con la sentenza d’appello divenuta irrevocabile.
1.2. Ricostruiti nei termini di cui innanzi i fatti processuali, la Cort territoriale ha rigettato l’istanza di riparazione per l’asserita ingiusta detenzione patita per due ordini di motivi.
1.3. Quanto alla misura cautelare emessa il 28 luglio 2010 (prima ordinanza cautelare) è stata ritenuta dirimente la circostanza dell’intervenuto proscioglimento dal reato di detenzione d’arma, di cui all’art. 10 I. n. 497 del 1974, per essersi lo stesso estinto per prescrizione. Ciò in considerazione dell’essere tale reato suscettibile di legittimare l’applicata misura cautelare custodiale, anche in considerazione della diminuente di un terzo prevista dall’art. 14 della citata I. n. 497 del 1974 (in ragione della pena edittale massima di cinque anni e quattro mesi di reclusione), e della maturazione del termine di prescrizione successivamente alla cessazione della misura.
1.4. La Corte territoriale ha seguito un differente iter logico-giuridico in ordine alla richiesta di riparazione in relazione alla custodia subita con riferimento ai reati sottesi al secondo intervento cautelare, quello adottato, in seno al procedimento n. 641/2011 R.G.N.R., con provvedimento dell’8 marzo 2011 a seguito di rigetto della richiesta di convalida.
Il giudice della riparazione ha preso atto della disposta assoluzione per l’assenza di elementi probatori certi in merito alla commissione dei fatti, dovuta alla ritrattazione da parte di una testimone escussa in dibattimento delle dichiarazioni rese in sede d’indagini preliminari fondanti l’intervento cautelare. L’ordinanza impugnata evidenzia che la donna aveva dichiarato in sede d’indagini di aver visto un uomo, che poteva trattarsi del ricorrente, appiccare il fuoco nel piazzale della concessionaria, agendo con viso coperto da una sciarpa arancione con frange e indossante un giubbotto di colore scuro con cappuccio recante un logo rotondeggiante sulla manica sinistra.
Dato atto della ritrattazione in sede dibattimentale delle dette dichiarazioni, non acquisite al processo penale ma utilizzate per le contestazioni, e valutate le stesse utilizzabili ai fini della pronuncia ex art. 314 cod. proc. pen., il giudi della riparazione ha ritenuto riscontrato quanto dichiarato in ragione degli esiti della perquisizione domiciliare eseguita in sede penale a carico di NOME COGNOME essendo stati rinvenuti indumenti coincidenti con quelli descritti dalla persona informata dei fatti.
Sicché, è stata rigettata l’istanza ex art. 314 cod. proc. pen. in considerazione dell’accertata condotta dolosa del richiedente considerata sinergica rispetto all’intervento dell’autorità.
Avverso l’ordinanza di rigetto dell’istanza di riparazione per ingiusta detenzione è stato proposto ricorso nell’interesse di NOME COGNOME fondato su un motivo deducente violazione di legge e vizio cumulativo di motivazione (anche in termini di travisamento dei mezzi di prova), di seguito
enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
2.1. Con un primo profilo di censura si deduce l’errore nel quale sarebbe incorsa la Corte territoriale nel ritenere che la declaratoria di estinzione per prescrizione abbia avuto a oggetto il reato di detenzione d’arma, previsto dall’art. 10 I. n. 497 del 1974, di cui al capo B dell’ordinanza cautelare emessa il 28 luglio 2010 in seno al procedimento n. 2464/2010 R.G.N.R. A dire del ricorrente, la sentenza penale di primo grado avrebbe dichiarato prescritto il diverso reato di cui all’art. 3 I. n. 110 del 1975, anch’esso ascritto al detto capo B della rubrica ma non legittimante la custodia cautelare applicata all’instante.
Pur volendo ritenere ambigua la sentenza penale sul punto, conclude la difesa, il giudice della riparazione avrebbe dovuto verificare l’effettivo decorso del termine di prescrizione per il reato previsto dall’art. 10 I. n. 497 del 1974.
2.2. Con il secondo profilo di censura si deducono la violazione dell’art. 314 cod. proc. pen. e il vizio cumulativo di motivazione in merito alla ritenuta insussistenza dei presupposti della riparazione in ordine alla limitazione della libertà personale subita con riferimento ai reati sottesi all’intervento cautelare dell’8 marzo 2011 (seguito alla non convalida dell’arresto eseguito in seno al procedimento 641/2011 R.G.N.R.).
In ricorso è riportato letteralmente, nella parte ritenuta d’interesse, l’apparato motivazionale della sentenza assolutoria per non aver commesso il fatto, ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen. e per l’assenza di elementi probatori certi acquisiti nel corso del dibattimento.
La difesa deduce che la Corte territoriale, «travisando il dato normativo» (l’art. 314 cod. proc. pen.), avrebbe accertato la condotta dolosa dell’instante sinergica rispetto all’intervento dell’autorità, attuato con riferimento alla tentat estorsione, all’incendio e all’evasione, in forza delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari da un soggetto che le avrebbe poi ritrattate in qualità di testimone, nonostante una valutazione di generica inattendibilità della medesima dichiarante da parte del giudice penale.
La Procura generale e l’Avvocatura generale dello Stato hanno concluso per iscritto nei termini di cui in rubrica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nei termini di seguito specificati, il ricorso è fondato limitatamente al periodo di privazione della libertà personale nell’ambito del procedimento 641/2011 R.G.N.R.
Il primo motivo di ricorso si appunta sulla ritenuta insussistenza dei presupposti della riparazione con riferimento all’ordinanza cautelare emessa il 28 luglio 2010 in seno al procedimento n. 2464/2010 R.G.N.R.
Si deduce sostanzialmente l’erronea percezione dell’elemento di fatto, emergente dalla sentenza assolutoria, sotteso alla ritenuta . operatività del principio di diritto escludente, a date condizioni, i presupposti della riparazione nel caso di proscioglimento per prescrizione da uno dei reati sottesi all’intervento cautelare. In tesi difensiva, il giudice penale, diversamente da quanto sostenuto dall’ordinanza impugnata, non avrebbe ritenuto prescritto il reato di detenzione d’arma di cui all’art. 10 I. n. 497 del 1974, ascritto al capo B.
2.1. Quanto alla ritenuta causa ostativa individuata dal giudice di merito nel proscioglimento da uno dei reati sottesi all’intervento cautelare per essersi lo stesso estinto per prescrizione, trova applicazione il consolidato principio sancito dalla Suprema Corte, che in questa sede si intende ribadire nei termini ulteriormente esplicitati da Sez. 4, n. 42630 dell’8/10/2024, COGNOMEche specifica l’iter logico-giuridico di cui a Sez. 4, n. 30404 del 05/07/2022, COGNOME, fatto proprio anche da Sez. 4, n. 11537 del 02/02/2023, NOME, e da Sez. 4, n. 8300 del 10/01/2024, COGNOME, Rv. 285871 – 01).
2.1.1. In materia di riparazione per l’ingiusta detenzione ove il provvedimento restrittivo della libertà, come nella specie, sia fondato su più contestazioni, il proscioglimento con formula non di merito anche da una sola di queste – sempreché autonomamente idonea a legittimare la compressione della libertà – impedisce il sorgere del diritto, salvo che per l’eventuale parte di custodia sofferta soverchiante la pena che in astratto avrebbe potuto infliggersi per il detto reato, essendo irrilevante il pieno proscioglimento nel merito dalle altre imputazioni, sempre che non si versi in ipotesi di c.d. «ingiustizia formale» (ex plurimis: oltre alle sentenze da ultimo citate, Sez. U, n. 4187 del 30/10/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 241855 – 01; Sez. 4, n. 29623 del 14/10/2020, Russo, Rv. 279713 – 01, nonché, anche per il riferimento al rilievo dell’eventuale «ingiustizia formale», Sez. 4, n. 2058 del 15/02/2018, COGNOME, Rv. 273264 – 01).
Si versa, in particolare, in una situazione nella quale il richiedente si è giovato di una pronuncia di prescrizione alla quale non ha inteso rinunciare, pur avendone il diritto (art. 156 cod. pen.) esercitabile anche al fine di giovarsi della pre-condizione alla quale l’art. 314 cod. proc. pen. subordina l’accoglibilità della domanda di riparazione. Qualora il richiedente avesse voluto perseguire l’interesse alla riparazione del periodo di restrizione cautelare sofferto, in presenza di reati prescritti, avrebbe difatti dovuto, rinunciando alla prescrizione,
chiedere e ottenere sentenza che, assolvendolo nel merito, al tempo stesso avrebbe conclamato l’ingiustizia della custodia cautelare.
Né una tale scelta avrebbe posto l’instante in una situazione d’irragionevole pregiudizio, stretto tra la necessità di assicurarsi, comunque, un esito penalmente favorevole e l’utilità di poter coltivare successivamente l’azione di ristoro per l’ingiusta detenzione.
Trattasi di due esigenze aventi lo stesso rango valoriale, di taiché assicurandosi il soddisfacimento di una di esse, perciò stesso, si deve rinunciare all’altra.
Ove in presenza di rischio processuale l’imputato scientemente decida di avvantaggiarsi dell’effetto estintivo della prescrizione, la rinuncia, conseguente, alla possibilità di ottenere pronuncia assolutoria di merito, condizione necessaria per domandare in seguito l’indennizzo per l’ingiusta detenzione, non appare sotto alcun profilo irragionevole, trattandosi, per l’appunto, di un effetto per così dire indesiderato ampiamente secondario rispetto al raggiunto primario obiettivo dell’esonero dalla penale responsabilità (cfr., Sez. 4, n. 42630 dell’8/10/2024, COGNOME, cit.; si veda altresì, ex plurimis, Sez. 4, n. 5621 del 16/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258607 – 01). Al riguardo, si è altresì osservato che il proscioglimento per prescrizione richiede, pur sempre, una valutazione di merito, ancorché limitata alla verifica della inesistenza delle cause previste dal secondo comma dell’art. 129 cod. proc. pen., che consente, già di per sé, di escludere l’ingiustizia della detenzione (Sez. 4, n. 42630 dell’8/10/2024, COGNOME, cit.; Sez. 4, n. 34661 del 10/06/2010, COGNOME, Rv. 248076 – 01).
2.1.2. Quella di cui innanzi, peraltro, è interpretazione conforme all’intervento di Corte cost. n. 219 del 2008, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 314, cod. proc. pen., nella parte in c nell’ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all’equa riparazione all’assoluzione o al proscioglimento nel merito dalle imputazioni.
La rilevanza della citata pronuncia nel caso di specie va apprezzata in relazione alle sottese ragioni.
Il giudice delle leggi ha infatti chiarito – con riferimento all’insorgenza del diritto all’equo indennizzo – che la situazione del prosciolto o assolto nel merito è equiparabile a quella del condannato, ma solo per la parte di custodia cautelare sofferta dal primo che soverchi la pena inflitta o che in astratto avrebbe potuto infliggersi.
È stato in particolare evidenziato che non risulta in tal caso violato l’art. 2, comma 1, n. 100 della I. n. 81 del 1987 (di delega per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale), in quanto non vi sono ragioni per ritenere che la
legge-delega abbia voluto introdurre direttamente una clausola generale di riparabilità della detenzione «ingiusta» che sia affidata al filtro dell’interprete anziché a quello «fisiologico» della norma delegata. Con l’ampiezza della espressione utilizzata, il delegante ha anzi voluto rimettere al delegato l’individuazione e la specificazione di tali ipotesi. Non è stato peraltro ritenuto dalla Consulta violato il principio direttivo dell’adeguamento delle norme del codice di procedura penale alle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e del processo penale. Né l’art. 9, paragrafo 5, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato a New York il dicembre 1966 (che ha per oggetto le sole ipotesi, riconducibili all’art. 314 cod. proc. pen., comma 2, nelle quali, a prescindere dall’esito del giudizio, difettassero in origine le condizioni legali per applicare o mantenere una misura custodiale), né l’art. 5, § 5, Convenzione E.D.U. (che si applica alle ipotesi in cui taluno sia stato privato della libertà personale al di fuori dei casi indicati dall legge nazionale e previsti nel § 1 dello stesso articolo, ovvero in violazione delle modalità e dei tempi disciplinati dai §§ 2, 3 e 4) valgono difatti a far ritenere che il legislatore delegante abbia inteso prevedere la riparazione dell’ingiusta detenzione senza porre alcuna limitazione circa il titolo della detenzione stessa o le ragioni dell’ingiustizia.
2.1.3. In merito al rilievo nella fattispecie in esame delle ragioni sottese alla citata pronuncia della Consulta si veda Sez. 4, n. 30404 del 2022 Maggi, cit.
La Suprema Corte chiarisce che, per nnedesimezza di ratio, i principi di cui innanzi operano anche nel caso in cui il proscioglimento per taluni reati, sottesi all’ordinanza cautelare, sia avvenuto con sentenza di non luogo a procedere, quindi in sede di udienza preliminare. Ciò, in ragione dell’esplicito richiamo a tale tipologia di sentenza operato dall’art. 314, comma 3, cod. proc. pen, e a prescindere dalla circostanza che il proscioglimento nel merito, con riferimento agli altri reati sottesi all’ordinanza cautelare, sia avvenuto con sentenza emessa all’esito di giudizio celebrato in forza di rinvio a giudizio disposto nel corso dell’udienza preliminare (per il rilievo delle evidenziate ragioni sottese al citato intervento della Consulta si vedano altresì, ex plurimis: Sez. 4, n. 2058 del 2018, Dogaru, cit., e Sez. 4, n. 5621 del 2014, COGNOME, cit., in motivazione).
2.1.4. La citata Sez. 4, n. 42630 dell’8/10/2024, NOME, infine, ha ritenuto operante il principio in considerazione, per medesimezza di ratio, anche nel caso in cui il proscioglimento per estinzione dovuta a prescrizione per taluni reati (di cui all’ordinanza cautelare) sia avvenuto in un processo diverso da quello all’esito del quale è intervenuto il proscioglimento nel merito dagli altri reati sottesi al medesimo intervento cautelare (la Suprema Corte, sollecitata sul punto dal ricorrente, ha peraltro escluso un diverso possibile approdo
ermeneutico in considerazione delle ragioni sottese a Corte cost. 41 del 2024 che, a fondamento della decisione ha posto proprio la distinzione tra imputato e indagato, dei quali il primo può esercitare il diritto di rinunciare all prescrizione).
2.2. Orbene, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi di cui innanzi nell’escludere il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione con riferimento ai reati sottesi all’ordinanza cautelare emessa il 28 luglio 2010 in seno al procedimento n. 2464/2010 R.G.N.R. Ciò in ragione dell’intervenuto proscioglimento per estinzione dovuta a prescrizione del delitto di detenzione di armi, di cui all’art. 10 I. n. 497 del 1974.
Non è stata accertata un’ipotesi di «ingiustizia formale» e si è trattato di fattispecie in cui la detenzione in complesso patita è stata ritenuta non soverchiante la pena che in astratto avrebbe potuto infliggersi per il reato estinto.
Non coglie nel segno la deduzione difensiva circa l’erronea percezione dell’elemento di fatto, emergente dalla sentenza assolutoria, sotteso alla ritenuta operatività dell’applicato principio di diritto.
Emerge difatti pacifica l’intervenuta declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di detenzione di armi, sotteso all’ordinanza cautelare, dall’apparato motivazionale della sentenza penale assolutoria, in particolare da quello sotteso alla determinazione del trattamento sanzionatorio (pag. 12) letto anche in uno con il chiaro dispositivo sul punto (pag. 14 e 15, secondo capoverso).
Il secondo profilo di censura nel quale si articola il motivo unico di ricorso si appunta sull’apparato motivazionale della ritenuta insussistenza dei presupposti della riparazione in ordine alla limitazione della libertà personale subita con riferimento ai reati sottesi all’intervento cautelare dell’8 marzo 2011 (seguito alla non convalida dell’arresto eseguito in seno al procedimento 641/2011 R.G.N.R.).
3.1. Il ricorrente sottopone al vaglio di legittimità la questione afferente ai limiti e ai criteri di utilizzabilità, da parte del giudice della riparazione, d dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da soggetto che, poi, in dibattimento si sia sottratto all’esame ovvero, come nella specie, abbia ritrattato.
3.2. In merito la Suprema Corte ha chiarito che l’autonomia del giudizio di cui all’art. 314 cod. proc. pen. rispetto a quello penale fa sì che il giudice della riparazione, per apprezzare la sussistenza dei fattori ostativi del dolo o della colpa grave, possa utilizzare anche le dichiarazioni rese nel corso delle indagini
preliminari da soggetti che, poi, in dibattimento si siano .sottratti all’esame o abbiano ritrattato, sulla base di una valutazione specifica della genuinità di queste ultime condotte.
3.2.1. In applicazione del principio, Sez. 4, n. 39748 del 19/07/2018, COGNOME, Rv. 273832 – 01, ha ritenuto immune da censure la sentenza di merito che aveva rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione ritenendo utilizzabili le dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dalla persona offesa, in ragione dell’intervenuta ritrattazione compiacente effettuata in dibattimento dalla stessa escussa in qualità di testimone. Negli stessi termini, ex plurimis, Sez. 4, n. 3239 del 21/11/2018, dep. 2019, Rv. 275194 – 01, che, in applicazione del medesimo principio, ha ritenuto esente da censure l’ordinanza di rigetto della richiesta di riparazione per ingiusta detenzione fondata sulle dichiarazioni della persona offesa supportate, nella fase delle indagini preliminari, da altre dichiarazioni testimoniali poi fatte oggetto di ritrattazion ritenuta non genuina dal giudice della riparazione.
3.2.2. Sul punto Sez. 4, n. 482 del 09/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282595 – 01, ha ulteriormente specificato limiti e criteri di operatività del principio di cui innanzi, ritenendolo operante «… A meno che il giudice della cognizione non abbia escluso o ritenuto non sufficientemente provati i fatti individuabili come fattore ostativo a seguito di una complessiva valutazione di inattendibilità del dichiarante».
La Suprema Corte ha in particolare chiarito che le dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari da chi si sia poi sottratto all’esame dibattimentale, quindi non utilizzabili per fondare un giudizio di colpevolezza (ex art. 526 cod. proc. pen.), possono essere liberamente valutate dal giudice della riparazione in quanto sul narrato del dichiarante non vi potrà essere pronuncia del giudice penale. Le dichiarazioni rese da chi in sede dibattimentale abbia assunto un comportamento reticente o abbia ritrattato sono invece suscettibili di essere introdotte nel giudizio di cognizione per il tramite delle contestazioni ai sensi dell’art. 500 cod. proc. pen. e, ferma restando la loro non diretta utilizzabilità ai fini dei fatti da provare, possono condurre il giudice penale a una valutazione di inattendibilità del dichiarante, con conseguente giudizio di insufficienza della prova circa i fatti narrati in dibattimento.
Sicché, la necessaria specifica valutazione da parte del giudice della riparazione della genuinità delle dette condotte, al fine del giudizio d’idoneità delle dichiarazioni poi ritrattate a mantenere la loro autonoma valenza dimostrativa nel giudizio di riparazione, s’impone a maggior ragione quando, a seguito della condotta dibattimentale del dichiarante, il giudice penale ne abbia messo in discussione l’attendibilità giungendo, in assenza di diversi elementi
istruttori, a un giudizio dubitativo circa l’effettivo verificarsi dei fatti narrati in ragione del consolidato principio di legittimità per cui, nella valutazione della condotta ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, il giudice non può attribuire importanza decisiva a condotte escluse o ritenute non sufficientemente provate dal giudice della cognizione (il riferimento specifico è a Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, in motivazione; Sez. 4, n. 46469 del 14/09/2018, COGNOME, Rv. 274350 – 01; Sez. 4, n.11150 del 19/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262957 – 01).
3.2.3. Orbene, in questa sede, in ragione delle sollecitazioni del ricorrente e nel solco interpretativo di cui innanzi, devono essere ulteriormente specificati i limiti di utilizzabilità, da parte del giudice della riparazione, delle dichiarazio rese nel corso delle indagini preliminari da soggetto che, poi, in dibattimento si sia sottratto all’esame ovvero, come nella specie, abbia ritrattato. Ciò in considerazione della struttura del giudizio di riparazione, delle sue finalità e dei rapporti con il giudicato penale.
Occorre premettere che, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, come sintetizzato da Sez. 4, n. 30826 del 13/06/2024, COGNOME, in termini ripresi di recente da Sez. 4, n. 19432 dell’08/04/2025, COGNOME, e in questa sede condivisi e ribaditi, il giudice di merito, per stabilire se chi l’ha patita abbia dat concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (ex plurimis: Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, Rv. 222263 – 01; Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268952 – 01). La colpa grave di cui all’art. 314 cod, proc. pen., quale elemento negativo della fattispecie integrante il diritto all’equa riparazione in oggetto non necessita difatti di estrinsecarsi in condotte integranti, di per sé, reato, se tali, forza di una valutazione ex ante, da causare o da concorrere a dare causa all’ordinanza cautelare (sul punto si vedano anche Sez. 4, n. 49613 del 19/10/2018, B., Rv. 273996 – 01, in motivazione, oltre che i precedenti ivi richiamati, tra cui Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, Maltese, dep. 2014, Rv. Rv. 259082 – 01).
Ai fini di cui innanzi, è necessario uno specifico raffronto tra la condotta del richiedente (da ricostruirsi anche in considerazione della sentenza assolutoria) e le ragioni sottese all’intervento dell’autorità e/o alla sua persistenza (Sez. 4, n. 20963/2023, Tare; Sez. 3, n. 36336 del 19/06/2019, Wakel, Rv. 277662 – 01,
nonché Sez. 4, n. 27965 del 07/06/2001, COGNOME, Rv. 219686 – 01), con motivazione che deve apprezzare la sussistenza di condotte che rivelino (dolo ovvero) eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazioni di leggi o regolamenti che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 20963/2023, Tare, cit.; Sez. 4, n. 27458 del 05/02/2019, COGNOME, Rv. 276458 – 01, e anche, tra le altre, Sez. 4, n. 22642 del 21/03/2017, COGNOME, Rv. 270001 – 01).
Per quanto di maggiore rilievo in questa sede, per esigenze di rispetto del giudicato penale occorre quindi muovere (non dagli elementi fondanti la misura cautelare bensì) dall’accertamento della condotta del richiedente, anche in ragione dei fatti ritenuti provati o non esclusi dal giudice penale, per poi valutarla ai fini del giudizio circa la condizione ostativa del dolo o della colpa grave e del loro collegamento sinergico con l’intervento dell’autorità in relazione alle circostanze sottese all’ordinanza cautelare (quanto al corretto approccio metodologico si vedano, ex plurimis, Sez. 4, n. 30826 del 13/06/2024, COGNOME, cit., la giurisprudenza di legittimità in essa richiamata, tra cui Sez. 4, n. 9910 del 16/01/2024, COGNOME, e a essa successiva, tra le più recenti Sez. 4, n. 19432 dell’08/04/2025, COGNOME, cit.).
3.3. Dall’evidenziata struttura del giudizio di riparazione, in ragione delle sue finalità, e dai rapporti con il giudicato penale, consegue dunque il principio, disatteso nella specie dall’ordinanza impugnata, per cui il giudice della riparazione, per l’autonomia del giudizio rispetto a quello penale, può utilizzare, ai fini della verifica dei fattori ostativi del dolo o della colpa grave, anche dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da soggetti che, in dibattimento, si siano sottratti all’esame o abbiano ritrattato, con il limite costituito dall’impossibilità di trarre da esse la prova di fatti collidenti con giudicato penale.
Orbene, come già sintetizzato in sede di ricostruzione del fatto processuale, il giudice della riparazione ha preso atto della disposta assoluzione per l’assenza di elementi probatori certi in merito alla commissione dei fatti, dovuta alla ritrattazione da parte di una testimone escussa in dibattimento delle dichiarazioni rese in sede d’indagini preliminari fondanti l’intervento cautelare. L’ordinanza impugnata evidenzia che la donna aveva dichiarato in sede d’indagini di aver visto un uomo, che poteva trattarsi del ricorrente, appiccare il fuoco nel piazzale della concessionaria, agendo con viso coperto da una sciarpa arancione con frange e indossante un giubbotto di colore scuro con cappuccio recante un logo rotondeggiante sulla manica sinistra. Dato atto della ritrattazione in sede dibattimentale delle dette dichiarazioni, non acquisite al processo penale ma utilizzate per le contestazioni, e valutate le stesse utilizzabili ai fini de
pronuncia ex art. 314 cod. proc. pen., l’ordinanza impugnata ha ritenuto riscontrato quanto dichiarato in ragione degli esiti della perquisizione domiciliare eseguita in sede penale a carico di NOME COGNOME essendo stati rinvenuti indumenti coincidenti con quelli descritti dalla persona informata dei fatti.
Sicché, è stata rigettata l’istanza ex art. 314 cod GLYPH proc. pen. in considerazione dell’accertata condotta dolosa del richiedente considerata sinergica rispetto all’intervento dell’autorità.
Per quanto emerge dall’evidenziato apparato motivazionale, trattasi quindi di condotta dolosa ostativa, quella ritenuta provata dalle dichiarazioni oggetto di ritrattazione, sostanziatasi nella stessa condotta descritta nell’imputazione penale culminata ma oggetto di sentenza assolutoria passata in giudicato.
Sicché, nella specie, la condotta ostativa è stata ritenuta provata in forza di dichiarazioni rese nelle indagini preliminari e poi ritrattate in dibattimento ma utilizzate in violazione del limite costituito dall’impossibilità di trarre da esse prova di fatti collidenti con il giudicato penale.
Consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente al periodo di privazione della libertà personale nell’ambito del procedimento n. 641/2011 R.G.N.R., con rinvio alla Corte d’appello di Catanzaro per nuovo giudizio sul punto in considerazione dei principi di cui innanzi (esplicitati ai paragrafi 3 e ss.), cui si demanda anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Rimane ferma la necessaria valutazione del giudice del rinvio della sussistenza della causa di esclusione del diritto alla riparazione contemplata dall’art. 314, comma 4, ultima parte, cod. proc. pen., in considerazione del concreto a – ggiarsi della fattispecie. Ciò per l’ipotesi in cui la limitazione sofferta in ragione del provvedimento dell’8 marzo 2011 (procedimento n. 641/2011 R.G.N.R.) sia stata sofferta anche in forza del diverso titolo costituito dall’ordinanza cautelare del 28 luglio 2020 (procedimento n. 2464/2010 R.G.N.R.), in relazione al reato dichiarato estinto per prescrizione (e in applicazione dei principi di cui ai precedenti paragrafi 2.1. e ss.).
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al periodo di privazione della libertà personale nell’ambito del procedimento n. 641/2011 con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Catanzaro, cui demanda anche la
regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 20 giugno 2025
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