Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 14817 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 14817 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SIDERNO il 25/06/1985
avverso l’ordinanza del 05/12/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, nella persona del sostituto NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’Appello di Reggio Calabria ha rigettato la richiesta di riparazione ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen. presentata nell’interesse di NOME COGNOME con riferimento alla detenzione da costui subita (dall’8 maggio 2018 al 9 agosto 2018 in stato di custodia cautelare in carcere) in un procedimento penale nel quale gli era stato contestato il delitto di associazione a delinquere finalizzata a commettere più delitti di cui all’art. 494, 615 ter e 640 cod. pen.
1.1. COGNOME era stato sottoposto a misura cautelare con ordinanza del G.I.P presso il Tribunale di Messina dell’8 maggio 2018; tale Giudice, dichiaratosi incompetente, aveva trasmesso gli atti al G.I.P. presso il Tribunale di Reggio Calabria, che aveva rinnovato la misura ex art. 27 cod. proc. pen.
1.2. Con sentenza del 25 febbraio 2021, irrevocabile il 13 luglio 2021, il Tribunale di Locri aveva assolto COGNOME dal reato a lui ascritto con la formula il fatto non sussiste.
1.3. La Corte della riparazione ha ravvisato la condizione ostativa GLYPH nella condotta del ricorrente, GLYPH consistita nell’essere stato coinvolto nell’attività fraudolenta del fratello condannato in ordine ai reati scopo della presunta associazione.
Avverso l’ordinanza, ha proposto ricorso NOME COGNOME formulando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione per non avere la Corte esaminato il contenuto del suo interrogatorio.
Il difensore osserva COGNOME che l’ordinanza impugnata aveva COGNOME riportato intercettazioni tra terze persone e non si era soffermata sul contenuto dell’interrogatorio di garanzia reso da Tricarico a seguito dell’applicazione della misura cautelare, nel corso del quale aveva dato piena giustificazione in ordine ai comportamenti che gli erano stati ingiustamente addebitati e aveva spiegato che la sua conoscenza era limitata al fratello NOME COGNOME e a NOME COGNOME.
COGNOME – prosegue il difensore- era risultato estraneo alla associazione e non era stato imputato di nessuno dei trentasei reati scopo.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge e in specie dell’art. 314 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione in relazione al riconoscimento della condizione ostativa. La Corte avrebbe menzionato (da pag. 4 a pag. 15) una serie di conversazioni telefoniche tra terze persone, ovvero fra il fratello NOME e NOME COGNOME che non riguardavano il ricorrente, nonché l’attività di bonifica dalle microspie sull’auto di COGNOME, definita dal giudice del merito
come occasionale, per dedurne, in modo apodittico, GLYPH il coinvolgimento del ricorrente nell’attività delittuosa del fratello. La sentenza di merito aveva, realtà, affermato non già la marginalità del ruolo di NOME COGNOME, bensì la sua totale estraneità alla vicenda associativa. Gli elementi che avevano indotto il giudice del merito ad assolvere l’imputato erano già noti al giudice della cautela che avrebbe dovuto quindi escludere la sussistenza dei gravi indizi di col pevolezza .
La colpa grave ostativa al riconoscimento della ingiusta detenzione – ricorda il difensore- deve consistere in comportamenti tali da configurare imprudenza, negligenza e trascuratezza macroscopiche, nel caso di specie inesistenti.
Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1 motivi, da trattare unitariamente GLYPH in quanto vertenti entrambi sul riconoscimento della condizione ostativa, sono manifestamente infondati.
Si deve preliminarmente dare atto che il Tribunale di Locri ha ritenuto insussistente il reato associativo e ha, pertanto, assolto tutti gli imputati fra il ricorrente, da tale imputazione con la formula perché il fatto non sussiste, mentre, per quanto di interesse in questa sede, ha condannato NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine ai delitti scopo.
La Corte della riparazione, correttamente, ha preso le mosse dalla sentenza assolutoria e ha ritenuto che dalla ricostruzione dei fatti ivi operata emergessero condotte del ricorrente, tali da integrare la condizione ostativa, in quanto ingeneranti l’apparenza di reato in forza della quale il giudice della cautela era stato indotto in errore. I giudici hanno richiamato alcun passaggi della sentenza del merito in cui si era evidenziato alcuni comportamenti di NOME COGNOME, tali da aver ingenerato o concorso a ingenerare l’apparenza del reato associativo per cui era stata applicata la misura e in particolare alcune conversazioni da cui era emerso che Tricarico: si era reso disponibile a ricevere alcuni pacchi inviati dal corriere su richiesta di COGNOME; aveva messo a disposizione una sua carta, ove far confluire denaro; aveva controllato l’autovettura di COGNOME per verificare se sulla stessa fossero state installate microspie da parte delle forze dell’ordine;
aveva cercato persone che mettessero a disposizione i loro conti correnti per far transitare il denaro; aveva scambiato messaggi con il fratello in cui si faceva riferimento a conti correnti stranieri di società off-shore.
La Corte della riparazione ha, indi, rilevato che tali condotte, pur ritenute dal giudice del merito insufficienti a fondare il giudizio di responsabilità in ordine a reato associativo, in quanto non riconducibili con certezza alle frodi accertate nel corso delle indagini, valevano a provare il coinvolgimento di NOME COGNOME in condotte illecite.
3.11 percorso argomentativo così delineato appare esente dalle censure evidenziate dal ricorrente, in quanto coerente con i dati riportati e conforme ai principi giurisprudenziali elaborati in tema di riparazione per ingiusta detenzione. E’ noto che il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, co valutazione ex ante – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese Rv. 259082). In sede di verifica della sussistenza di un comportamento ostativo al riconoscimento del diritto alla riparazione non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare un grave quadro indiziario nei suoi confronti. Si tratta dì una valutazione che ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo ed è volta a verificare: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (cfr. Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv.247663). Il giudice della riparazione, dunque, deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini, purché la loro utilizzabilità non sia stata espressamente esclusa in dibattimento (Sez. 4 n. 19180 del 18/2/2016, COGNOME, Rv. 266808) e apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, non è censurabile in sede Corte di Cassazione – copia non ufficiale
di legittimità (Sez. 4 n. 27458 del 5/2/2019, NOME COGNOME Rv. 276458).
4. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte abbia valorizzato circostanze fattuali ritenute dal giudice del merito prive di valore indiziante. In tal modo, tuttavia, confonde piani che devono rimanere distinti, ovvero quello della affermazione della responsabilità e quello della individuazione di condotte dolose o colpose che abbiano contribuito a configurare un grave quadro indiziario nei suoi confronti. Stante l’autonomia del giudizio riparatorio rispetto a quello del merito, nessun rilievo può essere attribuito alla neutralizzazione da parte del giudice dell’assoluzione della portata dimostrativa del compendio probatorio. In altri termini, il giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione e quello penale di cognizione possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti (Sez. 4, n. 39500 del 18/06/2013, COGNOME, Rv. 256764). Vero è, piuttosto, che le condotte che il giudice di merito abbia ritenuto non rilevanti sul piano della affermazione della responsabilità, possono essere valutate, ai fini del diritto alla riparazione, come dimostrative di colpa grave o addirittura di dolo come nel caso di specie, rimanendo preclusa soltanto la valorizzazione di prove affette da inutilizzabilità patologica, ovvero di circostanze di fatto il cui accadimento sia stato escluso.
Né può assumere rilievo la circostanza per cui l’assoluzione da parte del Tribunale sia avvenuta sulla base dello stesso compendio valutato dal giudice della cautela, in quanto la valutazione del giudice della cautela è relativa alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, mentre quella del giudice del merito è relativa alla sussistenza della responsabilità penale, sicché la sentenza assolutoria non ha riflessi sulla legittimità della misura cautelare adottata. Nell’ipotesi in cu rispetto ad un quadro indiziario confermato da decisioni irrevocabili (o non smentito nel corso della fase cautelare) e riferito ad un titolo di reato che consente la privazione della libertà personale, l’imputato sia stato assolto perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, la valutazione dell’incidenza della condotta dolosa o colposa dell’imputato sulla privazione della libertà personale è sempre doverosa ed è irrilevante che gli elementi addotti a sostegno del provvedimento cautelare fossero gli stessi sulla base dei quali l’assoluzione è stata pronunciata. In questi casi non si discute della astratta applicabilità della misura, sicché il giudice della riparazione deve valutare se la persona privata della libertà personale abbia tenuto condotte dolose o gravemente colpose ostative al riconoscimento del diritto all’indennizzo perché causali (o concausali) rispetto alla privazione della
libertà personale. Di conseguenza, quando decide sull’esistenza del dolo o della colpa grave ostativi al riconoscimento dell’indennizzo ai sensi dell’art. 314, comma 1, cod. proc. pen. , il giudice della riparazione incontra il solo limite di non pote fondare il proprio giudizio su fatti esclusi dal giudice della cognizione, restando libero di valutare autonomamente tutti i fatti che in quel giudizio sono stati accertati o non negati (Sez. 4, n. 46469 del 14/09/2018, COGNOME, Rv. 274350; Sez. 4, n. 1573 del 18/12/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 198491).
4.1. Generica e assertiva deve ritenersi la doglianza in merito alla valutazione da parte della Corte in ordine al carattere gravemente colposo della condotta descritta. La Corte della riparazione, invero, ha descritto condotte, quali in particolare quella di bonifica dell’autovettura del concorrente COGNOME condannato in ordine ai delitti scopo, ovvero quella di rendersi disponibile per fare confluire sul proprio conto corrente denaro di provenienza illecita, connotate da illiceità e dunque sorrette da dolo.
4.2 Manifestamente infondata è la censura con cui si lamenta la mancata considerazione delle dichiarazioni del ricorrente in sede di interrogatorio di garanzia, con cui egli si era dichiarato estraneo ai fatti. Invero la valutazione che la Corte della riparazione deve eseguire, come detto, ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo ed è volta a verificare: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente.
In tal modo ha operato la Corte nel caso in esame, valutando che le spiegazioni fornite dal ricorrente non valessero a smentire gli accadimenti fattuali ricostruiti sulla base delle indagini e il loro carattere illecito nel senso anzidetto.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Deciso il 3 aprile 2025
GLYPH
Il Consiglier est.
NOME COGNOME
ci GLYPH
te
Il Pres GLYPH
Salvato GLYPH
overe