Riparazione per Ingiusta Detenzione: il Silenzio dell’Assolto non è Colpa
Il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione rappresenta un pilastro di civiltà giuridica, volto a risarcire chi ha subito la privazione della libertà personale per poi essere riconosciuto innocente. Una recente sentenza della Corte di Cassazione torna su questo delicato tema, tracciando confini precisi per la valutazione del giudice e proteggendo i diritti fondamentali dell’imputato, come quello al silenzio. La Corte ha stabilito che né i precedenti penali né la scelta di non rispondere possono essere usati per negare il giusto indennizzo.
I Fatti del Caso
Una donna veniva sottoposta alla misura cautelare degli arresti domiciliari per oltre un anno con l’accusa di furto in abitazione. Al termine del processo, veniva assolta con formula piena. Di conseguenza, presentava istanza per ottenere la riparazione per l’ingiusta detenzione subita.
Sorprendentemente, la Corte d’Appello rigettava la sua richiesta. Secondo i giudici di merito, la donna avrebbe tenuto una condotta gravemente colposa, tale da aver contribuito a causare l’applicazione della misura cautelare. Tale condotta, secondo la Corte territoriale, consisteva nella sua ‘vita anteatta’ (ovvero i suoi precedenti penali) e nel non aver chiarito la propria posizione durante le indagini, avvalendosi della facoltà di non rispondere. In sostanza, le veniva imputato di non aver fornito tempestivamente elementi a sua discolpa, come un alibi legato a problemi di salute.
La Decisione della Corte di Cassazione
Investita del ricorso, la Corte di Cassazione ha accolto le doglianze della difesa, annullando con rinvio l’ordinanza impugnata. I giudici supremi hanno censurato duramente l’impostazione della Corte d’Appello, ritenendola errata nell’applicazione dei principi che governano la riparazione per ingiusta detenzione.
Le Motivazioni: il Giudice della Riparazione non può Ignorare l’Assoluzione
Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella chiara distinzione tra il giudizio di merito (quello che porta alla condanna o all’assoluzione) e il giudizio sulla riparazione. Il giudice che decide sull’indennizzo non può trasformarsi in un ‘secondo giudice’ del fatto, rivisitando il processo e nutrendo dubbi sull’innocenza dell’assolto.
La Corte ha specificato i seguenti principi cardine:
1. Irrilevanza della ‘vita anteatta’: I precedenti penali di una persona non possono essere utilizzati come prova di una sua condotta dolosa o gravemente colposa nel procedimento specifico. La valutazione deve concentrarsi esclusivamente sui comportamenti legati al fatto per cui si è proceduto, non sulla storia personale dell’individuo.
2. Necessario Confronto con l’Assoluzione: Il giudice della riparazione ha il dovere di confrontare il quadro indiziario iniziale, che ha giustificato la misura cautelare, con le risultanze della sentenza di assoluzione. Se gli indizi iniziali sono stati smentiti, neutralizzati o dichiarati inutilizzabili durante il processo di cognizione, non possono più essere invocati per negare la riparazione.
3. Tutela del Diritto al Silenzio: Attribuire una valenza colposa alla scelta dell’indagato di avvalersi della facoltà di non rispondere è un errore giuridico. Il diritto al silenzio è una garanzia fondamentale e il suo esercizio non può mai essere interpretato come un comportamento che contribuisce a causare la detenzione.
In sintesi, la Corte d’Appello aveva erroneamente ignorato l’esito assolutorio, limitandosi a ripercorrere lo scenario indiziario iniziale senza verificare come quegli stessi elementi fossero stati valutati e superati nel giudizio che aveva portato alla declaratoria di innocenza.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa pronuncia rafforza in modo significativo le tutele per chi, dopo essere stato assolto, chiede un giusto ristoro per la libertà ingiustamente sottratta. Le implicazioni pratiche sono notevoli:
* Maggiore Certezza del Diritto: Si stabilisce un criterio chiaro: la valutazione per la riparazione per ingiusta detenzione deve rispettare l’autorità della sentenza di assoluzione. Non è ammessa una rivalutazione autonoma della colpevolezza.
* Protezione dei Diritti Difensivi: Viene riaffermato che l’esercizio di un diritto processuale, come quello al silenzio, non può mai ritorcersi contro l’imputato, neppure in sede di richiesta di riparazione.
* Argine alla Discrezionalità: La sentenza pone un limite alla discrezionalità del giudice della riparazione, obbligandolo a una motivazione rigorosa che tenga conto del percorso processuale conclusosi con l’assoluzione, impedendo che pregiudizi basati sul passato dell’individuo possano influenzare la decisione.
Può il giudice negare la riparazione per ingiusta detenzione basandosi sui precedenti penali dell’assolto?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che la vita anteatta di una persona è irrilevante. La valutazione deve riguardare esclusivamente le condotte specifiche legate al fatto per cui si è proceduto e che non siano state smentite dalla sentenza di assoluzione.
L’esercizio del diritto al silenzio può essere considerato una colpa che impedisce la riparazione?
No. La sentenza afferma che avvalersi della facoltà di non rispondere è un diritto fondamentale. Non può essere interpretato come una condotta colposa che ha dato causa alla detenzione e, quindi, non può essere usato per negare il diritto all’indennizzo.
Qual è il rapporto tra la sentenza di assoluzione e il giudizio sulla riparazione?
Il giudice della riparazione non può ignorare la sentenza di assoluzione. Deve obbligatoriamente confrontare gli indizi che hanno portato alla misura cautelare con le motivazioni dell’assoluzione. Se quegli indizi sono stati smentiti o neutralizzati nel processo, non possono essere usati per negare la riparazione.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 4183 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 4183 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a AVOLA il 09/03/1985
avverso l’ordinanza del 01/10/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per il rigetto del ricorso
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RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Roma, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha rigettato l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione proposta nell’interesse di COGNOME NOME in relazione alla misura cautelare degli arresti donniciliari subita dal 3 giugno 2021 al 12 settembre 2022 in relazione a un procedimento nel quale era gravemente indiziata di aver commesso, in concorso con altra persona, il reato di furto in abitazione, approfittando delle condizioni di minorata difesa della persona offesa.
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione censurando l’ordinanza per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 314 cod. proc. pen. nonché per vizio di motivazione. Secondo la difesa, la Corte territoriale ha valorizzato erroneamente il diritto al silenzio dell’indagata per attribuirle la condotta colposa del mancato disvelamento di circostanze utili alla sua difesa. Inoltre, l’ordinanza è connotata da un apparato motivazionale lacunoso e illogico perché la Corte non ha spiegato quali siano stati i comportamenti della ricorrente, dolosi o gravemente colposi, tali da incidere sull’adozione della misura cautelare, limitandosi a richiamare la misura di prevenzione emessa nei confronti della COGNOME i precedenti penali, le pendenze giudiziarie e la mancata dichiarazione al giudice del problema di salute che costituiva il suo alibi. La Corte si è basata esclusivamente sul compendio indiziario senza evidenziare che la vittima non ha riconosciuto in aula l’imputata e trascurando di indicare quali, tra gli elementi posti a fondamento della misura cautelare, siano riferibili a condotte della ricorrente. Anche con riguardo alla condotta endoprocessuale, la Corte ha stigmatizzato il fatto che la ricorrente si sia avvalsa della facoltà di no rispondere. La Corte ha rivisitato il processo nutrendo dubbi sull’innocenza della COGNOME e negando la riparazione per tale ragione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Va premesso che, impropriamente, la Corte territoriale ha valorizzato la vita anteatta dell’istante quale elemento corroborante la gravità indiziaria e,
dunque, l’errore dell’autorità giudiziaria, laddove il giudizio richiesto attiene specifiche condotte esclusivamente correlate al fatto sul quale si è espresso il giudizio di gravità indiziaria che ha dato origine alla privazione della libert personale.
L’ordinanza indica, poi, i tratti salienti della vicenda processuale conclusasi con l’assoluzione ritenendo che la condotta ostativa consista nella vita anteatta della ricorrente e nell’inverosimiglianza delle prove articolate dalla difesa nel giudizio di cognizione. E il ricorso inerisce, per diversi profili, medesimo spunto critico del rapporto tra poteri cognitivi del giudice della riparazione e sentenza assolutoria emessa nel giudizio di cognizione.
Il principio che deve essere applicato nel giudizio di riparazione per ingiusta detenzione impone di valutare, ove riconducibili a dolo o colpa grave dell’istante, i comportamenti antecedenti l’applicazione della misura cautelare a condizione che non siano stati espressamente esclusi nella loro consistenza fattuale all’esito del giudizio di cognizione. Nel caso in esame la Corte territoriale si è limitata a ripercorrere, secondo quanto espressamente indicato nel provvedimento, lo scenario indiziario raccolto dagli operanti nel corso delle indagini preliminari. Difetta nel provvedimento impugnato qualsivoglia raffronto tra tali elementi e la sentenza assolutoria.
Nell’ordinanza impugnata si è erroneamente impostata la motivazione indicando come punto focale aspetti del fatto che sono di esclusiva pertinenza del giudice della cognizione penale, sostanzialmente ignorando il dovuto confronto con l’esito assolutorio, laddove nel ricorso è riscontrabile un riferimento a passi della sentenza assolutoria dai quali si evince che la condotta presa in esame come ostativa dal giudice della riparazione è stata ritenuta non provata dal giudice della cognizione penale. Si è, infatti, ripetutamente affermato che il giudice della riparazione ha piena autonomia nel valutare il compendio indiziario, ma ciò non esclude che debba confrontarsi con l’esito assolutorio e con le ragioni che a tanto hanno condotto il giudice della cognizione. Per decidere se l’imputato abbia dato causa per dolo o colpa grave alla privazione della libertà personale, si deve valutare il comportamento dell’interessato alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, ma a condizione che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero non siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza probatoria nel giudizio d assoluzione.
Per tali ragioni il provvedimento deve essere annullato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Roma.
Così deciso il 15 gennaio 2025
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