Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 19432 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 19432 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 30/10/1986
avverso l’ordinanza del 07/11/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni della Procura generale, nella persona della Sostituto Procuratrice NOME COGNOME nel senso del rigetto del ricorso;
lette le conclusioni dell’Avvocatura generale dello stato, nel senso del rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Roma, quale giudice della riparazione, ha rigettato l’istanza proposta nell’interesse di NOME COGNOME avente a oggetto il riconoscimento di un equo indennizzo ex art. 314 cod. proc. pen. Trattasi di ingiusta detenzione dedotta come patita in forza dell’arresto (convalidato) e della conseguente ordinanza cautelare emessa con riferimento al reato di detenzione a fini non esclusivamente personali di stupefacente in concorso con il proprio marito, in ordine al quale l’instante è stata assolta per non aver commesso il fatto con sentenza di primo grado divenuta irrevocabile.
Avverso l’ordinanza NOME COGNOME tramite il difensore, ha proposto ricorso fondato su un motivo deducente violazione di legge (anche in termini di apoditticità della motivazione) e vizio cumulativo di motivazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari alla motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
Si deduce l’errore nel quale sarebbe incorsa la Corte territoriale nell’aver ritenuto accertata la condotta ostativa alla riparazione solo in ragione degli elementi valorizzati dall’ordinanza cautelare e da quella di riesame, quindi in assenza di confronto con la sentenza assolutoria, salvo laddove operato non correttamente in termini parcellizzati e all’esito di travisamento delle relative emergenze.
L’iter logico-giuridico dell’ordinanza impugnata, peraltro, non consentirebbe di comprendere quale sarebbe stata la condotta ostativa. Il giudice della riparazione si sarebbe limitato a identificarla in una contraddizione nella quale la ricorrente sarebbe incorsa con riferimento a dichiarazioni rese nel corso delle indagini, come ritenuto in sede di riesame, e nella connivenza non punibile argomentata dalla sentenza assolutoria che, invece, l’avrebbe considerata solo in termini ipotetici. A ciò si aggiungerebbero la mancata specificazione della natura dolosa o gravemente colposa della detta condotta e la sua sinergia rispetto all’intervento dell’autorità.
Hanno concluso per iscritto, nei termini di cui in epigrafe, la Procura generale della Repubblica e l’Avvocatura generale dello Stato, per il Ministero dell’Economia e delle Finanze resistente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati.
In tema di riparazione per ingiusta detenzione, come sintetizzato di recente da Sez. 4, n. 30820 del 13/06/2024, COGNOME, in termini in questa sede condivisi e ribaditi, il giudice di merito, per stabilire se chi l’ha patita abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (ex plurimis: Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, Rv. 222263 – 01; Sez. 4, n. 20963 del 14/03/2023, Tare, in motivazione; Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268952 – 01). La colpa grave di cui all’art. 314 cod. proc. pen., quale elemento negativo della fattispecie integrante il diritto all’equa riparazione in oggetto non necessita difatti di estrinsecarsi in condotte integranti, di per sé, reato, se tali, in forza di una valutazione ex ante, da causare o da concorrere a dare causa all’ordinanza cautelare (sul punto si vedano anche Sez. 4, n. 15500 del 22/03/2022, Solito, in motivazione; Sez. 4, n. 49613 del 19/10/2018, B., Rv. 273996, in motivazione, oltre che i precedenti ivi richiamati, tra cui Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, Maltese, dep. 2014, Rv. Rv. 259082-01).
2.1. Ai fini di cui innanzi, è necessario uno specifico raffronto tra la condotta del richiedente (da ricostruirsi anche in considerazione della sentenza assolutoria) e le ragioni sottese all’intervento dell’autorità e/o alla sua persistenza (Sez. 4, n. 20963/2023, Tare, cit., in motivazione; Sez. 3, n. 36336 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 277662 – 01, nonché Sez. 4, n. 27965 del 07/06/2001, COGNOME, Rv. 219686 – 01), con motivazione che deve apprezzare la sussistenza di condotte che rivelino (dolo ovvero) eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazioni di leggi o regolamenti che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 20963/2023, Tare, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 27458 del 05/02/2019, COGNOME, Rv. 276458 – 01, e anche, tra le altre, Sez. 4, n. 22642 del 21/03/2017, COGNOME, Rv. 270001 01).
2.2. Per quanto di maggiore rilievo in questa sede, occorre quindi muovere non dagli elementi fondanti la misura cautelare bensì dall’accertamento della condotta del richiedente, anche in ragione dei fatti ritenuti provati o non esclusi
dal giudice penale, per poi valutarla ai fini del giudizio circa la condizione ostativa del dolo o della colpa grave e del loro collegamento sinergico con l’intervento dell’autorità in relazione alle circostanze sottese all’ordinanza cautelare (si veda, in particolare, Sez. 4, n. 30820 del 13/06/2024, COGNOME, cit., e la giurisprudenza di legittimità in essa richiamata, tra cui Sez. 4, n. 9910 del 16/01/2024, COGNOME).
3. Premesso quanto innanzi, occorre rilevare che, per quanto emerge dall’ordinanza impugnata, trattasi di ingiusta detenzione dedotta come patita in forza dell’arresto dell’instante (convalidato) e della conseguente ordinanza cautelare, confermata in sede di riesame, emessa con riferimento al reato di detenzione a fini non esclusivamente personali di stupefacente in concorso con il proprio marito, convivente all’epoca dei fatti e giudicato separatamente. Il riferimento è, in particolare, alla detenzione di 2092 g, di shaboo, custoditi in una scatola di torrone con doppiofondo, di altri 281 g della medesima sostanza e di 1436 g di hashish, custoditi in una valigia, sequestrati presso un’abitazione condotta in locazione, diversa da quella di convivenza dei due arrestati. Il giudice della riparazione prosegue evidenziando che la perquisizione presso la detta abitazione è stata resa possibile grazie al rinvenimento all’interno dell’abitazione familiare, in una stanza utilizzata dal solo marito dell’instante, del contratto di locazione del detto immobile e delle relative chiavi, di documentazione afferente al narcotraffico e di un giubbotto da donna con all’interno circa 3.900,00 euro in contanti.
Nell’ordinanza impugnata si fa riferimento alle contraddizioni nelle quali, a dire dell’ordinanza di riesame, sarebbe incorsa l’instante nel rendere dichiarazioni in sede di indagini preliminari, circa la disponibilità degli ulteriori appartamenti di cui ai contratti d’affitto rinvenuti, tra i quali quello ove è stato eseguito il sequestro dello stupefacente. Dalle dette assunte contraddizioni, rilevate dal Tribunale in sede di riesame, il giudice della riparazione ne ha fatto discendere, sostanzialmente evocando il giudice della cautela, la «ragionevole probabilità che la coppia abbia messo in conto la possibilità di essere attinta da indagini o da procedimenti penali, in ragione della intensa attività di smercio di sostanze stupefacenti di tipologie diverse e di notevole quantità, evidentemente alquanto redditizia, come resta dimostrato dal numero di immobili di cui la coppia aveva la proprietà o la disponibilità». «Da tale consapevolezza discende, sempre per l’ordinanza impugnata, «quale ineludibile corollario che entrambi i coniugi si siano «preparati» a fornire possibili pretesti giustificativi». «Del resto», conclude sul punto il giudice del riesame, «la stessa sentenza assolutoria parla di connivenza non punibile, sia pure in termini dubitativi», e l’instante non ha
indicato le proprie autonome fonti di reddito con la conseguenza, ritenuta evidente, per cui NOME COGNOME «condivideva col marito l’elevato tenore di vita, del quale conosceva perfettamente l’origine».
Orbene, il giudice della riparazione, disattendendo i principi governanti la materia (innanzi esplicitati), ha seguito un eterodosso percorso logico-giuridico, peraltro non esplicitando quale sarebbe stata la condotta ostativa dolosa o gravemente colposa sinergica rispetto all’intervento dell’autorità, facendo sul punto riferimento a dichiarazioni ritenute contraddittorie, non assunte però come essere false o reticenti, e, senza specificarlo, al mero tenore di vita in luogo di una eventuale effettiva connivenza con il reo, ancorché non punibile penalmente e da valutare anche in considerazione dell’accertato rapporto di coniugio e della situazione di convivenza.
4.1. In primo luogo, in considerazione della fattispecie di c.d. «ingiustizia sostanziale» in oggetto, la Corte territoriale avrebbe dovuto muovere non dagli elementi fondanti la misura cautelare ovvero le deduzioni del giudice del riesame, circa la ragionevole probabilità che la coppia avesse messo in conto la possibilità di essere oggetto d’indagini in materia di stupefacenti, bensì dall’accertamento della condotta della richiedente, anche in ragione dei fatti ritenuti provati o esclusi dal giudice penale con la sentenza assolutoria, per poi valutarla ai fini del giudizio circa la condizione ostativa del dolo o della colpa grave e del loro collegamento sinergico con l’intervento dell’autorità in relazione alle circostanze sottese all’ordinanza cautelare (ex plurimis, Sez. 4, n. 30820 del 13/06/2024, COGNOME, cit.; Sez. 4, n. 9910 del 16/01/2024, COGNOME, cit.).
In particolare, non si comprende se le condotte di cui innanzi, dichiarazioni ritenute contraddittorie dal giudice della cautela in merito alla disponibilità di più appartamenti da parte del marito e la consapevolezza in capo alla donna della detta disponibilità, dalle quali sarebbe stata argomentata la causa ostativa, siano state confermate o smentite dalla sentenza assolutoria, né se il giudice penale le abbia ritenute accertate ancorché non tali da fondare l’accusa.
Sul punto l’ordinanza si limita a fare riferimento a elementi e argomentazioni sostanzialmente fondanti l’ordinanza cautelare, in particolare quella di riesame, omettendo qualsivoglia confronto sul punto con la sentenza assolutoria, salvo che in merito all’asserita connivenza non punibile. Il limitato rinvio alla statuizione penale in riferimento a tale condotta asseritannente connivente è peraltro effettuato richiamando la sentenza assolutoria che, però, fa a esso riferimento solo in termini dubitativi (per come chiarito dalla stessa ordinanza impugnata). (
4.2. Trattasi peraltro, come detto, di condotte, quelle assunte come essere ostative, descritte, la prima, solo come integrante dichiarazioni contraddittorie ma non false ovvero reticenti, e la seconda, come essere caratterizzata dal vivere in condizioni agiate con il proprio marito operante nel narcotraffico, in assenza di motivazione della sua oggettiva idoneità a essere valutata, considerato anche il rapporto di coniugio e convivenza e in relazione all’eventuale conoscenza della detta fonte illecita di reddito, come indizio di effettiva connivenza, non punibile penalmente ma in ipotesi rilevante nella materia che ci occupa un quanto tale da porsi quanto meno in una relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato.
4.2.1. In tali termini l’ordinanza impugnata ha quindi disatteso ulteriori principi governanti la materia che si intendono in questa sede ribadire.
4.2.2. La condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa o concorso a dare causa all’ingiusta detenzione, può essere integrata da condotte, dolose o gravemente colpose, tanto extraprocedimentali quanto tenute nel corso del procedimento. Tali sono anche le dichiarazioni rese dallo stesso richiedente se false e/o reticenti, purché sinergiche rispetto all’intervento dell’autorità, laddove, nella specie, si opera un mero riferimento a dichiarazioni contraddittorie peraltro senza esplicitarne l’eventuale valenza sinergica (con particolare riferimento alla possibile rilevanza delle dichiarazioni rese dall’indagato/imputato si vedano, ex plurimis, Sez. U, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606 – 01, nonché, con particolare riferimento al perimetro del detto rilievo in fattispecie successive alla modifica dell’art. 314, comma 1, cod. pen., da Sez. 4, n. 30820 del 13/06/2024, COGNOME, cit., Sez. 4, n. 30056 del 30/06/2022, COGNOME, in motivazione, e Sez. 4, n. 3755 del 20/01/2022, Pacifico, Rv. 282581 – 01).
4.2.3. Tra le condotte di cui innanzi si annoverano anche le «frequentazioni ambigue» con soggetti gravati da specifici precedenti penali o coinvolti in traffici illeciti, nel cui concetto è astrattamente collocabile la c.d. connivenza non punibile penalmente. Necessita però sempre la motivazione, nella specie mancante, della loro oggettiva idoneità a essere interpretate come indizi di correità o complicità, anche in rapporto al tipo e alla qualità dei collegamenti con tali persone, così da essere poste quanto meno in una relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato: nella fattispecie il giudice della riparazione si è invece limitato al mero rilievo del dato oggettivo della convivenza dei coniugi e del tenore di vita nel nucleo familiare, peraltro non specificato, assunto come elevato ovvero sproporzionato (da Sez. 4, n. 30820 del 13/06/2024, COGNOME, cit., in motivazione; Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014, COGNOME, Rv. 260397 – 01; si vedano altresì, ex plurimis, circa la possibile
rilevanza delle «frequentazioni ambigue» con soggetti condannati nel medesimo procedimento, Sez. 4, n. 53361 del 21/11/2018, Puro, Rv. 274498 – 01, nonché
in merito alle frequentazioni con condannati in diverso procedimento, Sez. 4, n.
850 del 20/09/2021, dep. 2022, COGNOME Rv. 282565 – 01, oltre che Sez. 4, n.
29550, 05/06/2019, COGNOME, Rv. 277475 – 01, per la quale rilevano le dette frequentazioni con soggetti condannati nello stesso procedimento anche nel caso
in cui intervengano con persone legate da rapporto di parentela, purché siano accompagnate dalla consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici
illeciti e non siano assolutamente necessitate). È altresì suscettibile di integrare gli estremi della colpa grave ostativa al riconoscimento dell’equa riparazione, la
condotta di chi, nei reati contestati in concorso, abbia tenuto, consapevole dell’attività criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua
contiguità, della quale nella specie il giudice della riparazione non dà contezza tra le più recenti: Sez. 4, n. 30820 del 13/06/2024, COGNOME, cit., in
(ex plurimis, motivazione; Sez. 4, n. 7956 del 20/10/2020, dep. 2021, Abruzzese, Rv. 280547
– 01).
5. In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Roma, cui si demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Roma cui demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso 1’8 aprile 2025