Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 35959 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 35959 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nata a Roma il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 14/01/2025 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 14/01/2025, la Corte di appello di Roma, pronunciando in sede di rinvio a seguito della sentenza n. 42961/2024 della Corte di cassazione, rigettava la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta nell’interesse di COGNOME NOME.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME, a mezzo del difensore di fiducia, articolando un unico motivo, con il quale deduce erronea applicazione dell’art. 314 cod.pen., travisamento del fatto e vizio di motivazione.
Argomenta che, nonostante le indicazioni della sentenza di annullamento, la Corte di appello aveva affrontato il tema delle risultanze del giudizio assolutorio in maniera apodittico e fuorviante; i Giudici del rinvio, infatti, avevano valorizzato l’inserimento della COGNOME in un contesto non del tutto chiaro rispetto alle attività del figlio, quale condotta imprudente e negligente, anche in concorso con altre circostanze, non precisate, e richiamando un’imputazione di cui all’art. 512-bis cod.pen., mai contestata; la sentenza di assoluzione, invece, aveva concluso per l’assenza di qualsiasi contributo della ricorrente alle attività del sodalizio criminoso e aveva dato atto della estraneità della COGNOME alle condotte illecite contesate; in definitiva, la Corte di appello aveva affermato in maniera apodittica che sussisteva una colpa grave della COGNOME nella determinazione dello stato detentivo.
Chiede, pertanto, l’annullamento della ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, in tema di annullamento per vizio di motivazione, la Cassazione risolve una questione di diritto quando giudica inadempiuto l’obbligo della motivazione, onde il giudice di rinvio, pur conservando la libertà di determinare il proprio convincimento di merito mediante un’autonoma valutazione della situazione di fatto relativa al punto annullato e con gli stessi poteri dei quali era titolare il giudice il cui provvedimento è stato cassato, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento (Sez. 2, n. 27116 del 22/05/2014, Rv. 259811; Sez. 5, n.7567 del 24/09/2012, dep.15/02/2013, Rv.254830; Sez.1, n.26274 del 06/05/2004, Rv.228913).
Nella specie, l’ordinanza impugnata è stata emessa a seguito di annullamento con rinvio pronunciato da questa Corte con sentenza n. 42961/24, con la quale era stato rilevato che i giudici della riparazione non avevano illustrato in maniera adeguata la valenza in termini di colpa grave, ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, dei comportamenti antecedenti l’applicazione della misura cautelare ed omesso il doveroso raffronto tali elementi e la sentenza assolutoria.
Il Giudice del rinvio non ha adempiuto l’obbligo della motivazione impostogli dalla sentenza di annullamento, in quanto ha sostanzialmente riprodotto lo schema motivazionale e gli stessi argomenti nei quali esso si articolava, già ritenuti carenti con la decisione di annullamento di questa Corte.
Nell’ordinanza impugnata, la Corte territoriale, dopo aver richiamato il quadro indiziario e l’iter procedimentale della vicenda cautelare, ha nuovamente riportato il contenuto della sentenza assolutoria, senza, però, operare il concreto confronto richiesto dalla sentenza di annullamento; ha, quindi, individuato genericamente la condotta imprudente e negligente della ricorrente – “escussione di crediti in un contesto non del tutto chiaro rispetto alle attività del figlio, riconosciuto penalmente responsabile all’esito del processo per i reati di usura e interposizione fittizia di attività economica” -, omettendo anche di valutare, sulla base degli elementi probatori su cui si era fondato il titolo cautelare e previo il doveroso confronto con la sentenza assolutoria, la valenza ostativa di tale condotta ai fini del riconoscimento dell’indennizzo.
Va ribadito che, in tema di riparazione per ingiusta detenzione il giudice di merito, per stabilire se chi l’ha patita abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di GLYPH LI stabilire, con valutazione ex ante -e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (ex plurimis, Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, Rv. 222263; Sez. 4, n. 21308, del 26/04/2022, Fascia, in motivazione; Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016, dep. 2017, La Fornara, Rv. 268952).
Ai medesimi fini, inoltre, il giudice deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini, purché la loro utilizzabilità non sia stat espressamente esclusa in dibattimento (cfr. sez. 4 n. 19180 del 18/02/2016, Buccini, Rv. 266808) alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati
assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione (15.9.2016, COGNOME, Rv.268238).
Ai fini di cui innanzi, è necessario uno specifico raffronto tra la condotta dell’indagato e le ragioni sottese all’intervento dell’autorità e/o alla sua persistenza (Sez. 4, n. 21308/2022, Fascia, cit., in motivazione; Sez. 3, n. 36336 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 277662, nonché Sez. 4, n. 27965 del 07/06/2001, COGNOME, Rv. 219686), con motivazione che deve apprezzare la sussistenza di condotte che rivelino (dolo o) eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazioni di leggi o regolamenti che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 21308/2022, Fascia, cit., in motivazione; Sez. 4, n. 27458 del 05/02/2019, Hosni, Rv. 276458, e anche, tra le altre, Sez. 4, n. 22642
Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto va, dunque, accolto, disponendosi l’annullamento dell’impugnata ordinanza con rinvio alla Corte di appello di Roma che provvederà ad un nuovo esame, colmando le lacune motivazionali già rilevate da questa Corte con la sentenza n. n. 42961/24.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Roma. Così deciso il 17/09/2025