Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 36356 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 6 Num. 36356 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Montebello Ionico DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/11/2024 emessa dalla Corte di appello di Brescia visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi 1«ammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME impugna la sentenza della Corte di appello di Brescia che confermava la condanna per il reato di corruzione per l’esercizio della funzione, pronunciata in relazione alla ritenuta percezione, da parte dell’imputato, in qualità di appartenente alla Guardia di Finanza, della somma di €5.000,00 versatagli da due imprenditori interessati a che non emergessero condotte illecite nell’ambito del controllo eseguito a carico della loro società, RAGIONE_SOCIALE
Nei confronti dell’imputato veniva disposta la confisca, diretta e per equivalente, del prezzo del reato, nonché la riparazione pecuniaria, ex art. 322quater cod. pen., quantificata in egual misura rispetto alla confisca.
1.1. Sulla base della ricostruzione del fatto, condivisa dalle sentenze di primo e secondo grado, risulta che il coimputato COGNOME (anch’egli appartenente alla Guardia di Finanza, separatamente giudicato) veniva contattato da NOME COGNOME per conto della famiglia COGNOME, imprenditori con diretti interessi nella società RAGIONE_SOCIALE
Nel corso di un pranzo cui partecipavano NOME, COGNOME, NOME e NOME COGNOME, questi ultimi sollecitavano NOME ad interessarsi dei controlli, relativi all’impiego di fatture inesistenti, coinvolgenti la società RAGIONE_SOCIALE
L’incontro si chiudeva con la dazione di una somma di denaro a COGNOME, una parte della quale era destinata a remunerare COGNOME, essendo stati affidati a quest’ultimo gli accertamenti sulla società RAGIONE_SOCIALE
L’attività di captazione consentiva di accertare che, subito dopo il pranzo al termine del quale COGNOME aveva concluso il patto corruttivo, questi si incontrava con COGNOME e, successivamente, vi erano plurimi contatti tra i due, fin quando COGNOME confermava che a carico della RAGIONE_SOCIALE non erano emersi fatti illeciti e, quindi, i privati corruttori potevano essere rassicurati a tal riguardo.
All’esito di tale attività, COGNOME versava a COGNOME la somma di C 5.000, in precedenza ricevuta dai COGNOME.
La sopravvenuta confessione da parte di COGNOME andava a corroborare il quadro probatorio, ritenuto dai giudici di merito di per sé ampiamente dimostrativo della penale responsabilità dell’imputato.
Nell’interesse del ricorrente sono stati formulati cinque motivi di ricorso.
2.1. I primi due motivi pongono una questione comune, relativa alla ritenuta insufficienza della mera confessione dell’imputato per addivenire alla pronuncia di condanna.
L’imputato, in sede di interrogatorio di garanzia, avrebbe ammesso i fatti, ma solo per effetto della condizione di fragilità e confusione in cui si trovava in quel momento.
La difesa del ricorrente deduce che non vi sarebbe affatto la prova della partecipazione di COGNOME all’accordo corruttivo, né dell’esistenza stessa di indagini penali nei confronti della società “RAGIONE_SOCIALE“, tali da giustificare la dazione del denaro allo scopo di tenere indenni gli amministratori della predetta società da eventuali conseguenze pregiudizievoli.
2.2. Con il terzo motivo, si censura la ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di corruzione, sul presupposto che l’imputato, come riferito nell’interrogatorio, non aveva partecipato ad alcuna pattuizione e si era semplicemente limitato a ricevere la somma consegnatagli da COGNOME, non avendo avuto la prontezza di rifiutarla.
2.3. Con il quarto motivo, si deduce la violazione dell’art. 323-bis cod. pen. ritenendosi la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui è stata esclusa la sussistenza dell’attenuante, valorizzando la violazione dei doveri sottesi alla qualifica dell’imputato e l’entità del lucro conseguito.
2.4. Con il quinto motivo, si censura il cumulo della confisca disposta in relazione alla somma di C 5.000 e della condanna al pagamento della suddetta somma, in favore della pubblica amministrazione lesa, ex art.322-quater cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente deve darsi atto che la questione di legittimità costituzionale è rilevante ai fini della definizione del presente giudizio, posto che i primi quattro motivi di ricorso ripropongono questioni di merito, già adeguatamente analizzate e concordemente risolte nelle sentenze di primo e secondo grado, senza che possano dar luogo a vizi motivazionali suscettibili di accoglimento in sede di legittimità. A fronte di una motivazione immune da vizi di manifesta illogicità o contraddittorietà, il rigetto dei suddetti motivi di rico comporterebbe la conferma della sentenza anche nella parte in cui ha disposto la confisca del prezzo del reato di corruzione per l’esercizio della funzione quantificato in €5.000 – e ordinato il versamento, a titolo di riparazione pecuniaria ex art. 322-quater cod. pen., di una somma di pari importo in favore dell’amministrazione lesa.
In ordine al suddetto cumulo, questa Corte ritiene rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale della disciplina dettata dagli artt.322-bis e 322-quater cod. pen., per violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità del trattamento sanzionatorio
Prima di esaminare le ragioni sottese alla ritenuta non manifesta infondatezza della questione, anche nell’ottica di escludere la possibilità di addivenire ad un’interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina de qua , è necessaria una sintetica ricostruzione del complesso sistema normativo che,
in relazione a determinati reati contro la pubblica amministrazione, prevede un cumulo di strumenti finalizzati ad evitare che l’autore del reato possa conservare il vantaggio patrimoniale che ha illecitamente conseguito.
L’istituto della riparazione pecuniaria, nell’originaria previsione introdotta dalla I. 27 maggio 2015 n. 69, prevedeva che, in caso di condanna per uno dei delitti contro la pubblica amministrazione contemplati dagli artt. 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320 e 322-bis cod. pen., il solo pubblico agente doveva essere condannato al pagamento di una somma equivalente a quanto indebitamente ricevuto. L’adempimento dell’obbligo riparatorio, inoltre, veniva previsto anche quale presupposto necessario per la sospensione condizionale della pena, ex art. 165, comma 4, cod. pen. e per l’accesso al patteggiamento.
La disciplina è stata ulteriormente inasprita a seguito delle modifiche apportate dalla I. 9 gennaio 2019, n.3, con la quale l’ambito applicativo dell’art. 322-quater cod. pen. è stato esteso anche al privato corruttore, inoltre, in luogo dell’originaria previsione che faceva riferimento a “quanto indebitamente ricevuto”, si è previsto che l’obbligazione debba essere parametrata a “una somma equivalente al prezzo o al profitto del reato”.
In tal modo sono state eliminate le problematiche interpretative che, ante riforma, erano state segnalate relativamente all’applicazione della riparazione pecuniaria al delitto di peculato e, al contempo, il riferimento al prezzo ha reso applicabile la norma anche al privato corruttore.
La previsione della riparazione pecuniaria ha, fin dall’originaria previsione, una portata sostanzialmente sovrapponibile all’ambito di operatività della confisca, diretta o per equivalente, del prezzo o del profitto del reato.
Ponendo a raffronto gli artt. 322-ter e 322-quater cod. pen., risultano identici: – i presupposti oggettivi, posto che entrambe le norme trovano applicazione a fronte di una sentenza di condanna per i reati previsti 314, 317, 318, 319, 319ter, 319-quater, 320, 321 e 322-bis cod. pen.;
sia la confisca che la riparazione pecuniaria sono parametrate al prezzo o al profitto del reato;
entrambe le previsioni si applicano sia al pubblico agente che al privato concorrente;
confisca e riparazione sono obbligatorie.
Deve precisarsi che la sovrapponibilità tra le norme in esame sussisteva anche in relazione alla previgente formulazione, posto che la previsione contenuta all’art. 322-quater cod. pen., nella misura in cui parametrava la riparazione a “quanto indebitamente ricevuto”, ricomprendeva sicuramente la nozione di prezzo del reato di corruzione.
Tale precisazione è rilevante, posto che, in ragione dell’epoca di commissione del reato, nel caso in esame deve trovare applicazione la previsione dell’art. 322quater cod. pen. nella formulazione originaria.
Ciò posto, è innegabile che pur con riguardo alla norma previgente, vi era una sostanziale coincidenza tra i presupposti della confisca del prezzo del reato e la riparazione pecuniaria di quanto indebitamente ricevuto, in tale generica dizione rientrandovi sicuramente il prezzo del reato di corruzione per esercizio della funzione.
2.1. L’ambito di interferenza delle norme in oggetto comporta che – così come avvenuto nel caso in esame – la confisca, diretta o per equivalente, deve essere disposta unitamente alla riparazione pecuniaria, con la conseguenza che il condannato è sottoposto ad una duplicazione di obblighi che, pur avendo una differente natura, determinano l’effetto ultimo di sottrarre al reo un valore doppio rispetto a quello indebitamente conseguito dal reato.
Al contempo, deve sottolinearsi come le norme in esame non dettino alcuna disciplina volta a regolamentare la concomitante applicazione della confisca e della riparazione pecuniaria, a conferma della volontà del legislatore di prevedere il cumulo e non l’alternatività tra i due istituti.
Passando ad esaminare le ragioni sottese al cumulo della confisca e della riparazione pecuniaria è necessario soffermarsi sulla natura giuridica di quest’ultimo istituto, al fine di valutare se prevalga l’effetto ripristinatorio del legalità violata, riconducibile nel più ampio genere delle condotte risarcitorie, piuttosto che quello punitivo.
2.2. Riguardo ai rapporti con il risarcimento dei danni, l’art. 322-quater cod. pen. contiene una espressa previsione secondo cui il pagamento della somma dovuta a titolo di riparazione lascia «impregiudicato il diritto al risarcimento del danno», sicchè la norma ammette il cumulo della riparazione pecuniaria non solo con la confisca, ma anche con l’obbligazione risarcitoria.
Posto che la lettera della norma già di per sé sembra delineare una distinzione netta tra riparazione pecuniaria e risarcimento del danno, deve sottolinearsi come vi siano anche altre ragioni che inducono ad escludere la natura “risarcitoría” della riparazione. Si è condivisibilmente sottolineato come il risarcimento del danno è per sua natura un rimedio civilistico che presuppone l’iniziativa del danneggiato, viceversa, l’istituto della riparazione pecuniaria prescinde dalla domanda risarcitoria e financo dall’avvenuta costituzione quale parte civile del danneggiato, essendo rimesso al potere officioso del giudice disporre il pagamento.
A ciò occorre aggiungere che la parametrazione della riparazione pecuniaria
al prezzo o al profitto del reato risulta tendenzialmente avulsa dalla determinazione del danno risarcibile. A ben vedere, infatti, solo nel reato di peculato, ove il bene oggetto di appropriazione appartenga alla pubblica amministrazione, vi è una sostanziale coincidenza tra il profitto e il danno.
Nelle altre ipotesi contemplate il profitto ed il prezzo del reato, costituiscono un’entità patrimoniale che prescinde completamente dal danno arrecato all’amministrazione di appartenenza che, a ben vedere, potrebbe anche non lamentare alcun pregiudizio se non quello all’immagine.
Ciò si verifica, in particolare, nel caso – qual è quello oggetto di giudizio – in cui la condanna interviene per il reato di corruzione per l’esercizio della funzione, lì dove difetta il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio, sicchè l’ambito del potenziale danno subito dall’amministrazione di appartenenza dell’imputato è necessariamente limitato se non del tutto assente e, in ogni caso, non proporzionalmente collegato al prezzo ricevuto dal funzionario infedele.
In buona sostanza, quindi, può affermarsi che l’aver stabilito che la somma dovuta a titolo di riparazione è parametrata al prezzo o al profitto del reato determina necessariamente una scissione tra la riparazione pecuniaria e il risarcimento del danno, pur potendosi riconoscere una residuale area di interferenza, come affermato da una recente sentenza di questa Corte che, nell’ottica di dare una lettura costituzionalmente orientata della norma, ha affermato che la riparazione pecuniaria prevista dall’art. 322-quater cod. pen. non è dovuta nel caso in cui, all’atto della pronuncia della sentenza di condanna, risulta che l’imputato abbia medio tennpore risarcito il danno cagionato dalla condotta illecita (Sez.6, n.27422 del 25/7/2025, Mocellin, Rv.288426).
2.3. Una volta escluso che la riparazione pecuniaria dia luogo ad un’obbligazione tipicamente risarcitoria e, nel tentativo di attribuire una coerente collocazione sistematica all’istituto, la giurisprudenza ha affermato che la riparazione pecuniaria ex art.322-quater cod. pen. costituisce una sanzione civile accessoria che consegue necessariamente alla condanna per i reati indicati dalla suddetta norma e che si aggiunge alla pena irrogata a ciascun soggetto condannato (Sez.6, n. 16098 del 5/2/2020, Ciferri, Rv. 278960; Sez.6, n. 8959 del 25/1/2023, La Face, Rv. 284271; Sez.6, n.27422 del 25/7/2025).
L’art. 322-quater cod. pen., pertanto, delinea una forma di riparazione coattiva, di tipo non risarcitorio, non affidata all’iniziativa volontaria del reo neppure subordinata ad un’espressa richiesta della persona offesa (Sez. 6, n. 12541 del 14/03/2019, Ferraresi, Rv. 275925), la cui quantificazione non è rimessa all’apprezzamento del giudice, né è commisurata ai pregiudizi
complessivamente COGNOME subiti COGNOME dall’amministrazione COGNOME di COGNOME appartenenza, COGNOME ma forfettariamente calibrata sui proventi materiali indebitamente ricevuti.
Si tratta, dunque, di una “sanzione civile accessoria” che, nella chiara prospettiva di realizzare un rafforzamento dell’armamentario sanzionatorio posto a tutela del buon andamento della pubblica amministrazione, consegue necessariamente (“sempre”) alla condanna per i reati-presupposto di cui al catalogo dello stesso art. 322-quater cod. pen. e si caratterizza per una indubbia connotazione punitiva, tanto che la relativa applicazione in assenza dei presupposti di legge è stata da questa Corte ricondotta nell’alveo della “pena illegale” (Sez. 6, n. 12541 del 14/03/2019, cit.).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, pertanto, la riparazione pecuniaria dà luogo ad una sanzione patrimoniale, che si aggiunge inderogabilmente alla reclusione per ciascun soggetto condannato per uno dei reati elencati nella norma in esame, operando contestualmente e indipendentemente dalla pena detentiva.
2.4. In dottrina trova un consenso sostanzialmente unanime la tesi che attribuisce natura sanzionatoria alla riparazione pecuniaria.
È stato autorevolmente evidenziato come l’istituto non ha una funzione “riparativa”, essendo estranei alla previsione normativa quegli elementi di ripensamento o resipiscenza comportanti una scelta da parte dell’autore dell’illecito di realizzare condotte volte all’elisione dell’offesa arrecata con l commissione del reato.
Si è detto che l’istituto assolve a una chiara funzione punitiva, avendo un carattere prettamente afflittivo, giungendosi ad affermare che la riparazione altro non sia che una sanzione pecuniaria, che va ad aggiungersi alle sanzioni detentive e alla confisca. In buona sostanza, mediante l’introduzione dell’art. 322-quater cod. pen., il legislatore avrebbe inteso riproporre surrettiziamente la sanzione pecuniaria per reati per i quali era stata eliminata dalla riforma apportata con la I. 26 aprile 1990 n. 86.
Una conferma, in tal senso, è rinvenibile nella relazione governativa alla I.n. 69 del 2015, lì ove si afferma che l’introduzione dell’art. 322-quater cod. pen. è finalizzata a recepire le raccomandazioni dell’OCSE, tra le quali quella di introdurre, a scopo di deterrente della corruzione nelle transazioni economiche internazionali, “sanzioni pecuniarie” nei confronti delle persone fisiche.
Nella relazione si dà atto che “ragioni di coerenza e razionalità del sistema sanzionatorio del codice penale (che non prevede il cumulo di sanzioni detentive e pecuniarie per i delitti contro la pubblica amministrazione, a differenza di quanto prevede, ad esempio, per i reati che offendono il patrimonio)” hanno indotto a non
rimodulare le pene principali, mediante la reintroduzione di pene pecuniarie, sul presupposto che il trattamento sanzionatorio previsto per i reati in questione doveva ritenersi già «adeguatamente afflittivo e dissuasivo».
Ciononostante, si è optato per l’introduzione della “riparazione pecuniaria”, pur dandosi espressamente atto che tale istituto ha una funzione «afflittivosanzionatoria» e si va ad inserire in un sistema già connotato da un adeguato rigore.
2.5. È stata vagliata anche una parziale similitudine tra l’ipotesi introdotta all’art. 322-quater cod. pen. e la riparazione pecuniaria prevista nel caso di diffamazione a mezzo stampa. La giurisprudenza è incline a ritenere che l’art. 12 della legge n. 47 del 1948, nel riconoscere il diritto della persona offesa dal reato a richiedere, oltre al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 185 del cod. pen., comprensivo sia del danno patrimoniale che del danno non patrimoniale, una somma a titolo di riparazione che non rientra nel risarcimento del danno, ha introdotto una ipotesi eccezionale di pena pecuniaria privata prevista per legge, che come tale può aggiungersi al risarcimento del danno autonomamente liquidato in favore del danneggiato (Cass.civ., Sez.3, n. 29640 del 12/12/2017, Rv.64665502).
Anche rispetto a tale istituto, tuttavia, la riparazione pecuniaria prevista dall’art. 322-quater cod. pen. presenta significativi elementi di diversità, che depongono tutti nel senso della funzione prettamente punitiva.
Basti considerare che la riparazione del danno prevista dalla I.n. 47 del 1948 presuppone in ogni caso una richiesta di parte e non è applicabile d’ufficio, inoltre, in quel sistema sanzionatorio la riparazione va ad inserirsi nell’ambito di un trattamento punitivo mite, rispetto al quale una sanzione “civile” può svolgere una funzione di rafforzamento e di compensazione della modesta afflittività della sanzione penale.
Ben diverso è il contesto applicativo dell’art. 322-quater cod. pen., posto che la riparazione pecuniaria prescinde totalmente dalla richiesta del danneggiato, comporta un obbligo di pagamento predeterminato nel quantum e non suscettibile di graduazione da parte del giudice e, inoltre, va ad aggiungersi ad un corredo di sanzioni penali particolarmente afflittive.
2.6. Sempre rimanendo nell’ambito della valutazione dell’aggravio sanzionatorio determinato dalla riparazione pecuniaria, in dottrina è stato sottolineato come tale istituto concorra, non solo con il risarcimento del danno civilistico, ma anche con il danno erariale.
L’art.1, comma 1-sexies, I. 14 gennaio 1994, n. 20, infatti, stabilisce che, in
caso di danno all’immagine derivante dalla commissione di un reato contro la pubblica amministrazione, il danno erariale deve essere determinato, salva prova contraria, in una misura pari al doppio della somma o del valore patrimoniale dell’utilità illecitamente percepita dal dipendente.
Sottolinea la dottrina come la riparazione pecuniaria e il danno erariale perseguono finalità essenzialmente sanzionatorie ed entrambi gli istituti presentano una marcata autonomia rispetto all’azione per il risarcimento del danno da reato.
2.7. In conclusione, la dottrina più autorevole pare orientata a ritenere che la riparazione pecuniaria è saldamente incentrata sul terreno pubblico, assumendo la valenza di un contrappasso simbolico per il male che il delitto, per il tramite dell’amministrazione pubblica di appartenenza del soggetto, ha recato all’intera collettività; la riparazione, rigorosamente obbligatoria e predeterminata, diviene sostanzialmente una pena.
A fronte della riconosciuta natura sanzionatoria della riparazione, dottrina e giurisprudenza si sono ampiamente interrogate in ordine alle conseguenze della cumulativa applicazione rispetto alla confisca, giungendo a ritenere che la congiunta applicazione di tali istituti determina una palese violazione del principio di ragionevolezza e di proporzionalità della pena, rilevabile anche ai sensi dell’art. 49 della Carta europea dei diritti fondamentali.
In giurisprudenza, si è affermato che è illegittima l’applicazione cumulativa della confisca per equivalente del profitto del reato ex art.322-ter cod. pen. e della riparazione pecuniaria prevista dall’art. 322-quater cod. pen., trattandosi di misure aventi medesimo oggetto ed analoga finalità afflittiva, il cui cumulo determina violazione del principio del ne bis in idem sanzionatorio (Sez.6, n. 23203 del 5/3/2024, COGNOME, Rv.286645).
Anche con riguardo alla diversa disciplina dettata per il patteggiamento, si è ritenuto che l’applicazione cumulativa della restituzione integrale del profitto del reato, prevista dall’art.444, comma 1-ter, cod. proc. pen., e della confisca per equivalente del profitto del reato ex art. 322-ter cod. pen., determina la violazione del principio del ne bis in idem sanzionatorio, trattandosi di misure aventi il medesimo oggetto ed analoga finalità afflittiva (Sez.6, n. 16872 del 30/1/2019, Guerra, Rv. 275671).
Il tentativo di risolvere in via interpretativa l’aggravio sanzionatorio, derivante del cumulo della confisca con la riparazione pecuniaria, pur pienamente
condivisibile nella finalità perseguita, presenta profili di criticità non superabili.
A ben vedere, infatti, seguendo la tesi secondo cui è illegittima l’applicazione cumulativa della confisca per equivalente del profitto del reato ex art.322-ter cod. pen. e della riparazione pecuniaria prevista dall’art. 322-quater cod. pen., trattandosi di misure aventi medesimo oggetto ed analoga finalità afflittiva, si perviene alla generalizzata disapplicazione dell’art. 322-quater cod. pen.
Come evidenziato nell’esaminare il contenuto delle norme oggetto di scrutinio, l’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione della confisca e della riparazione pecuniaria, come pure i presupposti applicativi, l’obbligatorietà e i parametri di determinazione del quantum, sono totalmente sovrapponibili e ciò sia con riferimento alla previsione originaria dell’art. 322-quater cod. pen. che alla norma attualmente in vigore.
4.1. Quanto detto comporta che, sulla base della previsione normativa contenuta agli artt. 322-ter e 322-quater cod. pen. non residua alcuno spazio interpretativo per affermare un regime di alternatività tra i due istituti, anziché di cumulo.
Il dato letterale, infatti, depone univocamente e senza possibilità di fornire interpretazioni diverse, nel senso che la confisca e la riparazione pecuniaria debbano trovare congiunta applicazione.
La tesi giurisprudenziale, che ha ipotizzato l’esclusione del cumulo, conduce ad una interpretati° abrogans dell’art.322-quater cod. pen., posto che non è dato ravvisare alcuna ipotesi, sia pur residuale, nella quale tale istituto potrebbe trovare applicazione senza sovrapporsi alla confisca.
L’identità dei presupposti, come in precedenza evidenziato (§2), comporta che ove è applicabile la riparazione pecuniaria lo è anche la confisca, con la conseguenza che facendo valere in via interpretativa il divieto del cumulo, si giungerebbe sempre alla disapplicazione dell’art. 322-quater cod. pen.
4.2. Pur a fronte di un tendenziale favore per l’interpretazione costituzionalmente orientata, anche quale limite di valutazione della fondatezza delle questioni sollevate dinanzi alla Consulta, rimane fermo il principio per cui non può giungersi, per via interpretativa, ad una soluzione che determina la disapplicazione della norma tacciata di incostituzionalità, posto che in tal caso è solo l’intervento della Corte costituzionale che può dichiararne l’illegittimità, pervenendo alla eliminazione o rimodulazione della previsione normativa (Corte cost., n.110 del 2012).
Come più volte affermato dalla Corte costituzionale, «l’univoco tenore della norma segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere
il passo al sindacato di legittimità costituzionale» (Corte cost., sent.n. 26 del 2010; Corte cost., n. 219 del 2008; Corte cost., n.109 del 1989).
Tali principi sono pienamente applicabili al caso in esame, posto che recependo l’interpretazione volta a escludere il cumulo tra confisca e riparazione pecuniaria – così come prospettato da Sez.6, n. 23203 del 5/3/2024, COGNOME, Rv.286645 – ne deriva la disapplicazione dell’art.322-quater cod. pen., perseguendo una soluzione contra legem, posto che il dato letterale depone univocamente a favore del cumulo dei due istituti.
Del resto, la riprova che la soluzione recepita nella sentenza “COGNOME” si traduca nella disapplicazione dell’art.322-quater cod. pen. è desumile dal fatto che a fronte di due strumenti indicati entrambi come obbligatori, si opta per l’applicazione della confisca in luogo della riparazione pecuniaria, implicitamente ritenendo quest’ultimo istituto recessivo, senza che in tal senso vi sia alcuna indicazione normativa.
Deve ritenersi che la giurisprudenza formatasi sul tema è pienamente condivisibile lì dove riscontra una sostanziale duplicazione dell’effetto ablatorio, mentre occorre discostarsene nella misura in cui perviene ad affermare in via interpretativa l’alternatività tra confisca e riparazione, privilegiando il prim istituto, a fronte di una previsione normativa che, invece, indica chiaramente la congiunta applicazione delle due forme di ablazione dei proventi del reato.
In conclusione, la scelta di sollevare la questione di legittimità costituzionale appare necessaria in quanto finalizzata a garantire una tutela certa e uniforme nell’ambito dell’ordinamento, nella consapevolezza che questo obiettivo “è tanto più essenziale in una materia, come quella penale, dominata dal principio di stretta legalità (sent. n. 98 del 2021, n. 115 del 2018, n. 109 del 2017 e ord. n. 24 del 2017.”.
4.3. Per completezza, deve evidenziarsi come – in astratto – vi sarebbe un’ipotesi in cui l’art. 322-quater cod. pen. potrebbe non concorrere con la confisca. Si tratta del caso in cui l’imputato, prima che la sentenza di condanna sia divenuta definitiva, abbia provveduto all’integrale restituzione del prezzo o del profitto del reato.
In simili fattispecie, la Corte ha ritenuto che non può essere disposta la confisca del profitto del reato qualora lo stesso sia venuto meno per effetto di condotte riparatorie, poste in essere volontariamente dal reo, che abbiano eliso il vantaggio economico conseguito (Sez. 6, 24 giugno 2020, n. 21353, Rv.279286; Sez.2, n. 36444 del 26/5/2015, COGNOME, Rv. 264525; Sez.3, n1 20887 del 15/4/2015, COGNOME, Rv. 263409; Sez.3, n. 44189 del 18/10/2022, COGNOME, Rv.
284122).
Le ipotesi sopra esaminate e le soluzioni offerte in tali casi, tuttavia, non dirimono il conflitto della concorrente applicazione della confisca e della riparazione pecuniaria, così come normativamente previsto dagli artt. 322-ter e 322-quater cod. pen.
Dovendosi valutare il profilo di incostituzionalità in astratto e secondo il contenuto delle norme interessate, il problema del cumulo si pone – come avvenuto nel caso oggetto del presente giudizio – ogni qual volta gli autori del reato non abbiano provveduto ad alcuna condotta riparatoria antecedente rispetto alla definizione del procedimento.
In tal caso, infatti, non ricorrono gli estremi per escludere la confisca del prezzo o del profitto del reato e al contempo sussistono tutti i presupposti per applicare anche la riparazione pecuniaria ex art. 322-quater cod. pen.
Peraltro, deve sottolinearsi come nelle ipotesi in cui l’avvenuta restituzione del provento del reato consente, sulla base della giurisprudenza richiamata, di escludere la confisca, si pone ugualmente la questione della duplicazione dell’effetto sanzionatorio. A fronte dell’avvenuta restituzione, infatti, permane applicabile l’istituto della riparazione pecuniaria che, conseguentemente, dà luogo ad ulteriore profilo sanzionatorio con riguardo ad un vantaggio di cui l’autore del reato è stato già privato.
Ne consegue che solo formalmente l’avvenuta restituzione esclude il conflitto tra confisca e riparazione pecuniaria, ma l’effetto concreto non muta, verificandosi ugualmente un cumulo afflittivo basato sulla duplice privazione del medesimo vantaggio patrimoniale.
Stabilito che gli artt. 322ter e 322 quater cod. pen. non consentono di addivenire, per via interpretativa, all’alternativa applicazione della confisca o della riparazione pecuniaria, si pone il problema della legittimità costituzionale del cumulo sanzionatorio che ne discende.
Tale quesito impone necessariamente il confronto tra la diversa natura giuridica che la confisca e la riparazione pecuniaria assumono nell’assetto normativo derivante a seguito dell’introduzione dell’art. 322-quater cod. pen.
5.1. Occorre partire dalle considerazioni svolte nella sentenza “COGNOME” che sono pienamente condivisibili, lì dove si dà atto che la riparazione pecuniaria costituisce una misura tipicamente ed esclusivamente sanzionatoria: una “sanzione civile”, alla quale è estranea ogni funzione compensatoria dei danni patiti dalla pubblica amministrazione e che è destinata a svolgere funzione punitiva
e deterrente. Essa, dunque, non può coesistere con la confisca per equivalente di cui all’art. 322-ter, stesso codice, realizzandosi, in caso di applicazione congiunta, una sproporzionata, e perciò non consentita, duplicazione di sanzioni.
La citata pronuncia è intervenuta prima della sentenza con la quale le Sezioni unite sono tornate ad esaminare la natura della confisca per equivalente, precisando che tale forma di ablazione del vantaggio derivante dal reato assolve, così come la confisca diretta, ad una funzione recuperatoria e ha funzione sanzionatoria in quanto avente ad oggetto beni privi del rapporto di derivazione dal reato, potendo assumere funzione punitiva solo qualora sottragga al destinatario beni di valore eccedente il vantaggio economico che lo stesso ha tratto dall’illecito (Sez.U, n. 13783 del 26/9/2024, dep.2025, Massini, Rv. 287756-03).
Nella citata sentenza, si afferma che «La confisca del profitto, anche quella per equivalente, assolve, dunque, sempre ad una funzione recuperatoria: essa ha una funzione sanzionatoria nella misura in cui colpisce beni che non hanno derivazione dal reato e può assumere, solo in determinate occasioni, una funzione punitiva».
Le Sezioni unite, condividendo quanto affermato da Corte cost. n. 112 del 2019, hanno ribadito che: «Se la confisca – diretta o per equivalente – non sottrae più di quanto sia stato conseguito dall’illecito, essa ha carattere afflittivo, ripristinatorio ma non anche punitivo».
Il contenuto afflittivo della confisca rappresenta, quindi, un elemento coessenziale all’istituto, di cui occorre tener conto lì dove l’ordinamento introduce ulteriori strumenti che conducono al medesimo risultato.
5.2. Il mutamento di paradigma conseguente alla predetta pronuncia non è tale da elidere il problema della duplicazione sanzionatoria che si determina nei casi in cui si applichi, oltre alla confisca, anche la riparazione pecuniaria.
Sia pur in virtù di strumenti giuridici diversi e aventi una natura non del tutto sovrapponibile, il risultato ultimo che l’autore del reato subisce è il raddoppio dell’obbligazione restitutoria ed è proprio in tale duplicazione che si annida il sospetto della lesione del principio di proporzionalità.
Premesso che non è controvertibile l’esigenza di privare l’autore del reato dei proventi illecitamente conseguiti, l’ulteriore imposizione di una sanzione pecuniaria, parametrata sul medesimo valore, diviene lesiva del principio di proporzionalità nella misura in cui il reato già è assistito da un corredo sanzionatorio adeguatamente afflittivo.
In buona sostanza, l’aggiunta della riparazione pecuniaria da un lato va ad intaccare il patrimonio del condannato privandolo di valore pari a quello che gli è
già sottratto per effetto della confisca, dall’altro aggiunge una sanzione punitiva ad un trattamento già considerato adeguato.
Una volta ritenuto che gli istituti in esame determinano un sostanziale raddoppio della privazione patrimoniale nei confronti del responsabile di determinati reati, si pone necessariamente la questione di verificare se tale duplicazione sia o meno compatibile con i principi costituzionali e, in particolare, con quello di proporzionalità.
A tal riguardo, si evidenzia come il principio di proporzionalità ha assunto autonomia nell’ambito del sindacato di costituzionalità, scisso dal riferimento al principio di eguaglianza, con la conseguenza che la proporzionalità della sanzione è divenuto un parametro di valutazione che prescinde dal raffronto con una fattispecie da porre in comparazione, secondo il tradizionale schema riconducibile all’art. 3 Cost., al contempo, il requisito della proporzionalità assume rilievo anche in relazione alla funzione rieducatrice della pena ex art. 27 Cost.
6.1. La giurisprudenza costituzionale ha, in più occasioni, avuto modo di precisare come l’art. 3 Cost. esiga che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia, nel contempo, alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali (Corte cost. n. 236 del 2016).
Nella citata pronuncia della Consulta, si afferma testualmente che «Laddove la proporzione tra sanzione e offesa difetti manifestamente, perché alla carica offensiva insita nella condotta descritta dalla fattispecie normativa il legislatore abbia fatto corrispondere conseguenze punitive di entità spropositata, non ne potrà che discendere una compromissione ab initio del processo rieducativo, processo al quale il reo tenderà a non prestare adesione, già solo per la percezione di subire una condanna profondamente ingiusta (sentenze n. 251 e n. 68 del 2012), del tutto svincolata dalla gravità della propria condotta e dal disvalore da essa espressa. In tale contesto, una particolare asprezza della risposta sanzionatoria determina perciò una violazione congiunta degli artt. 3 e 27 Cost., essendo lesi sia il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del fatto commesso, sia quello della finalità rieducativa della pena (sentenza n. 68 del 2012, che richiama le sentenze n. 341 del 1994 e n. 343 del 1993)».
La valorizzazione del principio di proporzionalità, scisso dal rigido inserimento nello schema che richiede un tertium comparationis, è un aspetto che traspare nelle più recenti pronunce della Consulta, lì dove si è ritenuto che, allorquando le pene comminate appaiano manifestamente sproporzionate rispetto alla gravità del
fatto, si profila un contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., giacché una pena non proporzionata alla gravità del fatto si risolve in un ostacolo alla sua funzione rieducativa (Corte cost., sent. n. 222 del 2018).
I principi di cui agli artt. 3 e 27 Cost. «esigono di contenere la privazione della libertà e la sofferenza inflitta alla persona umana nella misura minima necessaria e sempre allo scopo di favorirne il cammino di recupero, riparazione, riconciliazione e reinserimento sociale» (Corte cost, sent n. 179 del 2017; così anche Corte cost. sent n. 149 del 2018).
6.2. Occorre dar atto che il limite della proporzionalità della pena è stato affermato dalla Corte costituzionale essenzialmente con riguardo alle pene detentive, essendo queste quelle direttamente disciplinate dall’art. 27 Cost.
Tale limitazione, tuttavia, non determina l’impossibilità di far valere il principio di proporzionalità anche in relazione alla riparazione pecuniaria, per due ordini di motivi.
In primo luogo, deve evidenziarsi che l’avvenuta riparazione pecuniaria, essendo presupposto per l’ottenimento della sospensione condizionale della pena, ai sensi dell’art. 165, comma quarto, cod. pen., produce i propri effetti direttamente sulla pena detentiva, senza, peraltro, consentire all’imputato di avvalersi dei presidi che garantiscono la proporzionalità dell’onere economico derivante dalla riparazione con le effettive capacità patrimoniali.
A ciò occorre aggiungere che il principio di proporzionalità, pur emerso inizialmente in relazione alle pene detentive, ha successivamente trovato applicazione anche in relazione a forme diverse di trattamento “punitivo”
In particolare, con la sentenza n. 112 del 2019, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della confisca del prodotto dell’illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate, la Corte costituzionale, pur escludendo che in materia di sanzioni amministrative possano essere applicati i principi di cui all’art. 27, terzo comma, Cost., ha specificato come non possa «dubitarsi che il principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell’illecito sia applicabile anche alla generalità delle sanzioni amministrative», trovando qui tale principio la propria base normativa nell’art. 3 Cost. «in combinato disposto con le norme costituzionali che tutelano i diritti di volta in volta incisi dalla sanzione».
6.3. Ulteriore ragione per estendere la valenza del principio di proporzionalità anche a sanzioni non dichiaratamente penali, è desumibile anche dall’art. 49, numero 3), della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in base al quale «le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato».
Come affermato da Corte cost., sent. n. 112 del 2019 (§ 8.2.4): « Ancorché il testo di tale disposizione faccia riferimento alle «pene» e al «reato», la Corte di giustizia dell’Unione europea ha recentemente considerato applicabile tale principio all’insieme delle sanzioni – penali e amministrative, queste ultime anch’esse di carattere “punitivo” – irrogate in seguito alla commissione di un fatto di manipolazione del mercato, ai fini della verifica del rispetto del diverso principio del ne bis in idem (Corte di giustizia, sentenza 20 marzo 2018, RAGIONE_SOCIALE, in causa C-537/16, paragrafo 56). Ciò in coerenza con la Spiegazione relativa all’art. 49 CDFUE, ove si chiarisce che «MI paragrafo 3 riprende il principio AVV_NOTAIO della proporzionalità dei reati e delle pene sancito dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità»: giurisprudenza, quest’ultima, formatasi esclusivamente in materia di sanzioni amministrative applicate dalle istituzioni comunitarie. Lo stesso art. 49, paragrafo 3, CDFUE è stato del resto recentemente invocato dalle Sezioni unite civili della Corte di cassazione a fondamento dell’affermazione secondo cui anche forme di risarcimento con funzione prevalentemente deterrente come i punitive damages, eventualmente disposti da una sentenza straniera, debbono comunque rispettare il principio di proporzionalità per poter essere riconosciuti nel nostro ordinamento (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 5 luglio 2017, n. 16601)».
6.4. La descritta evoluzione del vaglio di proporzionalità ha trovato ulteriori e recenti conferme nelle sentenze della Corte costituzionale n. 7 del 2025 e n. 113 del 2025, pur se in quest’ultima pronuncia la soluzione recepita va nel senso di demandare al giudice ordinario l’applicazione del principio secondo una interpretazione costituzionalmente conforme (suggerendo la possibilità di escludere dall’ambito di applicazione della fattispecie penale fatti tipici, pur offensivi e colpevoli, che non raggiungono la soglia di disvalore e di gravità espressa dall’entità della pena prevista dal legislatore).
6.5. Una volta individuata la rilevanza che il sindacato di proporzionalità assume nel giudizio di legittimità costituzionale, occorre dar atto che, con riguardo alla fattispecie in esame, non si pone un problema di sproporzione per relazione tra il trattamento sanzionatorio previsto per i reati ricompresi nell’art. 322-quater cod. pen. e ipotesi similari, sicchè si è al di fuori della proporzionalità quale parametro di valutazione rispetto ad un tertium comparationis.
La lesione del principio di proporzionalità viene evocata, pertanto, sotto il profilo intrinseco, inteso quale previsione di un trattamento sanzionatorio che,
complessivamente considerato, appare manifestamente eccessivo, nella misura in cui contempla una duplicazione di misure “afflittive” che, sia pur diversamente qualificate (in termini di confisca e di riparazione pecuniaria), vanno ad aggredire due volte il medesimo aspetto patrimoniale conseguente alla commissione del reato.
6.6. Vi è, inoltre, un ulteriore aspetto che rileva sempre nell’ottica del sindacato di proporzionalità e attiene alla natura sostanzialmente fissa e predeterminata della riparazione pecuniaria.
In base alla previsione normativa, infatti, la riparazione è commisurata al prezzo o al profitto del reato, senza che al giudice sia consentito in alcun modo di graduare tale misura, anche tenendo conto, per sottrazione, dell’eventuale risarcimento del danno (totale o parziale), come pure della restituzione del vantaggio illecitamente conseguito dalla commissione del reato.
pur vero che la riparazione pecuniaria, a rigore, non è inquadrabile nel concetto di sanzione fissa, posto che la sua commisurazione in concreto è collegata all’entità del prezzo o del profitto del reato. E
Tuttavia, l’aver predeterminato la misura della riparazione rapportandola all’entità del profitto o del prezzo del reato, dà luogo ad una preclusione legislativa rispetto alla commisurazione in concreto della sanzione pecuniaria, ugualmente idonea a ledere il principio di proporzionalità. La predeterminazione del criterio commisurativo impedisce al giudice di compiere quel necessario adeguamento della sanzione pecuniaria alle condizioni economiche del condannato, ipotesi già positivamente scrutinata dalla Corte costituzionale come lesiva del principio di proporzionalità (Corte cost., sent. n. 28 del 2022).
A fronte della ritenuta violazione dei principi costituzionali sopra indicati, è opportuno sottolineare come non si richieda alla Corte costituzionale una ingerenza nella discrezionalità del legislatore, bensì si sollecita la valutazione della razionalità e proporzionalità di un intervento normativo che, mediante la surrettizia introduzione di una sanzione di natura “civilistica” dall’innegabile portata punitiva, va a duplicare il contenuto dello strumento recuperatorio della confisca, al contempo aggravando significativamente il complessivo trattamento sanzionatorio previsto per i principali reati contro la pubblica amministrazione.
Del resto, di ciò si era dichiarato consapevole lo stesso legislatore, tant’è che, nell’inserire la riparazione pecuniaria, ha motivato la scelta di non optare per la reintroduzione della tradizionale sanzione della pena pecuniaria, proprio perchè ritenuta non necessaria, stante l’adeguata afflittività delle elevate pene detentive previste per i reati in esame (si veda § 2.4). La ratio legis risulta, pertanto,
intrinsecamente contraddittoria, lì dove da un lato si afferma che il trattamento sanzionatorio previsto per i reati contro la pubblica amministrazione è connotato da una adeguata afflittività, tale da non consentire la reintroduzione della pena pecuniaria ma, al contempo, si prevede uno strumento punitivo sostanzialmente analogo, formalmente riconducendolo agli strumenti riparativi del delitto ma, in concreto, connotato da un’esclusiva finalità punitiva.
Nel caso di specie, quindi, si sollecita il sindacato di costituzionalità su scelte palesemente ingiustificate, tali da evidenziare un uso della discrezionalità del legislatore che conduce a risultati distonici rispetto al sistema e alla proporzionalità della risposta sanzionatoria (sui limiti rispetto a tale sindacato, cfr. Corte cost., sent. nn. 148 e 23 del 2016, n. 81 del 2014, n. 394 del 2006).
La Corte costituzionale, al fine di non sovrapporre la propria discrezionalità a quella del legislatore, anche qualora sia sollecitata a rendere un giudizio di “ragionevolezza intrinseca” di un trattamento sanzionatorio penale, incentrato sul principio di Proporzionalità, si basa sull’individuazione di soluzioni già esistenti, idonee a eliminare o ridurre la manifesta irragionevolezza lamentata (Corte cost., sent. n. 23 del 2016).
Emblematico, in tal senso, è quanto affermato da Corte cost., sent.n. 222 del 2018, lì dove si precisa che il sindacato di legittimità costituzionale non presuppone «che esista, nel sistema, un’unica soluzione costituzionalmente vincolata, in grado di sostituirsi a quella dichiarata illegittima (…); essenziale e sufficiente a consentir il sindacato della Corte sulla congruità del trattamento sanzionatorio previsto per una determinata ipotesi di reato è che il sistema nel suo complesso offra alla Corte “precisi punti di riferimento”».
7.1. Applicando tali indicazioni al caso di specie, si ritiene che nell’ordinamento penale sia ravvisabile una univoca linea direttrice, volta da un lato a perseguire con la confisca la necessità di sottrarre all’autore del reato i proventi da esso conseguito ma, al contempo, ad evitare che vi possano essere forme di duplicazione dell’ablazione patrimoniale.
In tal senso depongono non solo il diritto vivente desumibile da una giurisprudenza ampiamente consolidata e formatasi con riguardo a plurimi ambiti applicativi della confisca, ma anche specifiche previsioni normative volte a riconoscere che la confisca è sempre alternativa rispetto alle condotte riparatorie e/o restitutorie, secondo schemi che, sia pur con le inevitabili discrepanze dettate dalla specificità dell’ambito applicativo, si fondano sempre sul divieto di duplicazione dell’ablazione patrimoniale.
7.2. Pur senza pretesa di esaustività, è in primo luogo opportuno richiamare
il dettato dell’art.19 del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, lì dove stabilis confronti dell’ente è sempre disposta la confisca del prezzo o del profìtto de «salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato».
È appena il caso di rammentare che nel sistema della responsabilità da re degli enti la confìsca è espressamente qualificata quale sanzìone e, ciononost il legislatore ha ritenuto necessario prevedere un meccanismo di alternat rispetto alle condotte riparatorie, proprio al fine di evitare profili di du (Sez.2, n. 45054 del 16/11/2011, COGNOME, Rv. 251070; Sez.2, n. 29512 d 16/6/2015, RAGIONE_SOCIALE, Rv.264231).
Molte sono le norme codicistiche che, nell’introdurre ipotesi di con obbligatoria, hanno ribadito il principio dell’alternatività rispetto al risarcì danni o, più in AVV_NOTAIO, alla eliminazione degli effetti del reato.
A tal riguardo si segnala l’art.600-septies cod. pen. che, con riguardo ai contro la personalità individuale, ha previsto la confisca obbligatoria deì b costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato «salvi i diritti d offesa alle restituzione e al risarcimento dei danni».
Disposizione sostanzialmente analoga è contenuta all’art. art. 452undecies cod. pen. che, in materia di delitti contro l’ambiente, prevede un’ipotesi di obbligatoria, prevedendo che la stessa non sarà applicabile qualora l’imp «abbia efficacemente provveduto alla messa in sicurezza e, ove necessarìo, attività di bonifica e di ripristino dello stato dei luoghi» e, quindi, dell rìparatorie dell’offesa arrecata.
Anche l’art.423-quater cod. pen., nel disciplinare la confisca del prod del profitto del reato di cui all’art.423-bis cod. pen., introduce quale chiusura l’esclusione della confisca nel caso di ripristino dello stato dei lu
7.3. L’alternatività tra confisca e riparazione ha dato luogo ad orienta giurisprudenziali ampíamente consolidati.
In relazione alle ípotesí ricadenti nell’ambito applicativo dell’art. 640-quater cod. pen., la giurisprudenza afferma costantemente che la confisca del pro non può essere dísposta nel caso di restituzione integrale di quanto índebita percepíto, giacché tale comportamento elimina in radíce l’oggetto della mi ablatoria che, se disposta, comporterebbe una duplícazione sanzionato contrastante i principi dettati dagli articoli 3, 23 e 25 Cost. ai quali l’inte dell’art. 640-quater cod. pen. deve conformarsi (Sez.3, n. 44446 del 15/10/2013, Runco, Rv.257628; Sez.2, n. 36444 del 26/5/2015, COGNOME, Rv. 264525; Sez.2 n. 44189 del 18/10/2022, COGNOME, Rv.284122).
Il medesimo principio è stato affermato anche in relazione ai reati cont
pubblica amministrazione, essendosi ritenuto che non può essere disposta l’ablazione del profitto del reato nel caso in cui lo stesso sia venuto meno per effetto di condotte riparatorie, poste in essere volontariamente dal reo, che abbiano eliso il vantaggio economico conseguito (Sez. 6, 24 giugno 2020, n. 21353, Magnani, Rv.279286).
Il principio è stato esteso anche alla rideterminazione del quantum confiscabile mediante la decurtazione dell’importo delle restituzioni (Sez.6, n. 34290 del 17/5/2023, COGNOME, Rv. 295175). Analogamente, in materia di reati tributari, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la confisca per equivalente, non può riguardare somme superiori all’effettivo profitto conseguito, quantificato decurtando dal valore del patrimonio sottratto le somme recuperate dal fisco (Sez.3, n1 20887 del 15/4/2015, COGNOME, Rv. 263409; Sez.3, n. 4097 del 19/1/2016, Tomasi, Rv. 265843).
7.4. La rassegna delle previsioni normative, nonché del diritto vivente formatosi in relazione ai rapporti tra confisca e condotte rientranti nell’ampio genere della riparazione degli effetti derivanti dal reato, restituisce un quadro univocamente improntato ad escludere qualsivoglia duplicazione.
Se il principio è che l’autore del reato non può trarre vantaggio dall’illecito, ma non può neppure subire un depauperamento indebito per effetto della duplicazione dei prelievo eseguito sul suo patrimonio, non vi è ragione per non applicare analoga regola anche ai rapporti tra la confisca e la riparazione pecuniaria ex art. 322-quater cod. pen.
Può affermarsi che l’ordinamento penale contempla una generalizzata alternatività tra la confisca e l’avvenuta riparazione delle conseguenze del reato (in termini di restituzione, risarcimento danno o ripristino, a seconda delle diverse fattispecie contemplate). Mediante la descritta alternatività, da un lato si persegue la finalità special preventiva collegata all’attuazione del principio secondo cui “il delitto non paga” e, al contempo, si evitano duplicazioni tra misure che, pur avendo funzione diversa, si fondano tutte sull’ablazione del provento del reato e sulla tutela del soggetto danneggiato.
Se tale principio è generalmente riconosciuto nei rapporti tra confisca e le diverse forme riparatorie sopra descritte, a maggior ragione andrebbe affermato con riguardo alla riparazione pecuniaria ex art. 322-quater cod. pen., posto che tale misura si traduce sempre in una duplicazione dell’ablazione patrimoniale che viene già garantita dalla confisca ex art. 322-bis cod. pen.
La duplicazione degli strumenti ablatori del medesimo valore indebitamente conseguito non è l’unico effetto incidente sulla sproporzione della misura,
dovendosi anche considerare che, essendo la determinazione della riparazione parametrata in modo oggettivo, si sottrae al giudice qualsivoglia possibilità di un riequilibrio dell’effetto punitivo.
Il condannato per i reati contemplati all’art. 322-quater cod. pen. non solo subirà la duplice ablazione del medesimo valore patrimoniale, ma non potrà neppure avvalersi delle garanzie e delle tutele giurisdizionali ordinariamente collegate all’irrogazione della sanzione pecuniaria.
Quanto detto consente di affermare che l’introduzione della riparazione pecuniaria, in funzione punitiva, si è tradotta nell’inserimento di un istituto avulso dai sistema e che, per giunta, dà luogo ad una sanzione totalmente sottratta agli ordinari criteri regolatori, proprio perché la sua determinazione non risponde ai parametri dell’art. 133 cod. pen., bensì al solo dato oggettivo del quantum conseguito quale prezzo o profitto del reato.
In definitiva, quindi, si ritiene che il riequilibrio del sistema debba essere individuato nella dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 322-quater cod. pen.
Alla luce delle considerazioni svolte, la Corte ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 322quater cod. pen. in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., nonché agli artt. 11, 117 Cost. in relazione all’art. 49 della Carta dei diritti fondamentale dell’Unione Europea.
PQM
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 322-quater cod. pen. in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. nonché agli artt. 11, 117 Cost. in relazione all’art. 49 della Carta dei diritti fondamentale dell’Unione Europea.
Dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso.
Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al ricorrente, al AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO presso la Corte di cassazione, al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Così deciso il 24 settembre 2025 Il Consigliere estensore COGNOME