Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26329 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26329 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: Ministero Economia e Finanze NOME COGNOME nato il 03/11/1990
avverso l’ordinanza del 04/11/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, in persona del sostituto NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’Appello di L’Aquila ha accolto la richiesta di riparazione ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen. presentata nell’interesse di NOME COGNOME con riferimento alla detenzione da costei subita in un procedimento penale nel quale le erano stati contestati il delitto di partecipazione ad associazione a delinquere transnazionale a scopo di riciclaggio e il delitto di abusiva raccolta del risparmio e ha liquidato nei suoi confronti la somma di euro 37.848.
1.1. NOME COGNOME era stata sottoposta, in relazione ad entrambi i reati su indicati, alla misura cautelare della custodia in carcere, dal 2 dicembre 2019 al 6 dicembre 2019, e degli arresti domiciliari, dal 6 dicembre 2019 al 13 ottobre 2020; in tale ultima data le era stata applicata la misura cautelare dell’obbligo di dimora.
1.2. La Corte di Assise di Teramo, con sentenza del 2 maggio 2023, irrevocabile il 12 settembre 2023,, l’aveva assolta dai reati a lei ascritti con la formula perché il fatto non sussiste.
1.3. La Corte della riparazione ha accolto la domanda, rilevando che dalla sentenza di assoluzione non erano emerse condotte rimproverabili all’imputata sinergiche rispetto all’applicazione della misura cautelare.
Avverso l’ordinanza di rigetto GLYPH ha proposto ricorso GLYPH il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per mezzo dell’Avvocatura dello Stato, formulando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’esame dei presupposti di accoglimento dell’istanza di riparazione. Il Ministero ricorrente osserva che la Corte della riparazione, nel negare che dagli atti fossero emerse condotte dolose o gravemente colpose di Aromire, non avrebbe tenuto conto dei rapporti della donna con i coimputati e rileva come non fossero state adeguatamente valorizzate condotte ostative all’indennizzo, tali da avere creato l’apparenza del reato e avere indotto in errore il giudice della cautela.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge in relazione alla condanna alle spese del Ministero in assenza di costituzione e resistenza in giudizio.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza.
Il difensore di Aromire ha depositato una memoria con cui ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto proposto tardivamente e comunque manifestamente infondato, ovvero il rigetto dello stesso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere accolto con riferimento al secondo motivo e rigettato nel resto.
Deve, innanzitutto, premettersi che il ricorso è stato proposto tempestivamente. Invero il termine per la proposizione del ricorso per cassazione, avverso l’ordinanza che decide sulla domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione è, ai sensi dell’art. 585, comma primo, lett. a), cod. proc. pen., di quindici giorni che decorrono dalla notifica della predetta ordinanza conclusiva del procedimento, al quale, ancorché concernente l’esistenza di una obbligazione pecuniaria nei confronti del soggetto colpito da custodia cautelare, si applicano le norme del codice di rito penale. (Sez. 3, n. 26370 del 25/03/2014, Hadfi, Rv. 259187 – 01; Sez. 4 n. 45409 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 257554).
Nel caso in esame, dalla visione degli atti consentita GLYPH al Collegio in considerazione della eccezione formulata dalla difesa GLYPH della richiedente la riparazione (Sez. U., n.42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv.220092), risulta che la notifica al Ministero dell’ordinanza della Corte è stata effettuata I’ll marzo 2025, sicché il ricorso depositato il 25 marzo 2025 deve ritenersi tempestivo.
Venendo al merito, il primo motivo incentrato sulla ritenuta insussistenza della condizione ostativa, è infondato.
3.1.Invero il diritto alla riparazione per la custodia subita è riconosciuto, ai sensi dell’art. 314, comma 1, cod. proc. pen., a chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato, sempre che non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave (c.d. ingiustizia sostanziale). Il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese Rv. 259082). Pertanto, in sede di
verifica della sussistenza di un comportamento ostativo al riconoscimento del diritto alla riparazione, non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell’esistenza d un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare un grave quadro indiziario nei suoi confronti. Si tratta dì una valutazione che ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo ed è volta a verificare: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv.247663).
Ai medesimi fini, il giudice deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini, purché í fatti da essi desumibili non sia espressamente esclusi in dibattimento e apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi disponibili, con particolare riferimento alla sussistenz di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, non è censurabile in sede di legittimità (Sez. 4 n. 27458 del 5/2/2019, NOME COGNOME, Rv. 276458).
Il giudizio sul diritto alla riparazione è, dunque, autonomo e distinto rispetto a quello penale, impegnando piani di indagine diversi che possono portare a conclusioni differenti, sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’ utilizzo di parametri d valutazione differenti (Sez. 4 n. 34438 del 02/07/2019, Messina, Rv. 276859 ).
3.2.Ciò premesso, la Corte di appello ha ritenuto che l’applicazione della misura cautelare non fosse riconducibile ad una qualche condotta rimproverabile all’imputata e che la sentenza di assoluzione avesse GLYPH chiarito il carattere oggettivamente neutro GLYPH del suo comportamento. Secondo la Corte tale comportamento “avrebbe dovuto per tale essere percepito già nella fase delle indagini, non essendovi alcuna ulteriore evidenza critica, che potesse ragionevolmente fondare il sospetto dell’inserimento dell’imputata in un’associazione o, comunque, in un’organizzazione dedita a porre in essere trasferimenti di denaro con il c.d. metodo hawala”.
In sostanza, in tale passaggio argomentativo il giudice della riparazione dà atto che la sentenza di assoluzione aveva chiarito come non fossero addebitabili all’imputata condotte dolose o gravemente colpose che potevano avere creato l’apparenza dei reati a lei contestati e indotto il giudice della cautela in erro rispetto al suo coinvolgimento in tali fattispecie.
A fronte di tale motivazione, certamente succinta, ma, comunque, sufficiente rispetto alla valutazione rimessa al giudice della riparazione, il motivo di ricorso si limita ad invocare i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, senza ancorare detti principi al caso concreto. All’affermazione della Corte per cui nel caso in esame non sussisteva la condizione ostativa, in quanto non erano state accertate condotte, dolose o gravemente colpose, sinergiche rispetto all’adozione della misura, il ricorrente non contrappone circostanze specifiche e dati fattuali che valgano a provare il contrario. Il ricorso, invero, contiene solo un generico riferimento alle “frequentazioni della donna”: tuttavia, in assenza di indicazioni dei soggetti con cui Aromire si sarebbe rapportata e del contesto in cui i contatti erano avvenuti, tale riferimento nella sua indeterminatezza, non vale a incrinare la tenuta logica del ragionamento espresso nell’ordinanza impugnata.
3. Il secondo motivo, incentrato sulla condanna alle spese, è fondato.
Principio pacifico è quello per cui le spese del procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, per le connotazioni civilistiche che afferiscono a tale istituto, vanno regolate secondo i criteri indicati dagli articoli 91 e 92 cod. proc. civ. (Sez. 4, n. 38163 del 10/07/2013, COGNOME, Rv. 256832; Sez. 4, Sentenza n. 46265 del 14/10/2005, COGNOME, Rv. 232911). In proposito, occorre ricordare che, secondo le Sezioni Unite, il procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è a contraddittorio necessario – in quanto si instaura con la notifica della domanda, a cura della cancelleria, al Ministero dell’economia e delle finanze – ma non a carattere contenzioso necessario, in quanto l’Amministrazione intimata può non costituirsi ovvero costituirsi aderendo alla richiesta del privato o rimettersi al giudice, sicché in questi ultimi casi, non essendovi contrasto di interessi da dirimere, non v’è soccombenza dell’Amministrazione e non può essere pronunciata la sua condanna alla rifusione delle spese e degli eventuali diritti e onorari di rappresentanza e difesa in favore della controparte, mentre, qualora essa si costituisca, svolgendo una qualsiasi eccezione diretta a paralizzare o ridurre la pretesa dell’istante e veda rigettate le sue deduzioni o conclusioni, il contraddittorio si connota di carattere contenzioso e il giudice deve porre le spese stesse, nonché gli eventuali diritti e onorari a carico dell’Amministrazione soccombente o, se ne sussistono le condizioni, dichiararle totalmente o parzialmente compensate (Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, De Benedictis, Rv. 222264). Va considerato che l’attivazione della procedura giudiziale è assolutamente necessaria perché il privato consegua l’indennizzo dovuto, sicché lo Stato, e per esso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, non può spontaneamente procedere extra-giudizialmente ad alcuna determinazione, né relativamen,te all’an, né relativamente al quantum debeatur in ordine alla pretesa
del privato. Ne consegue che, ove la Pubblica Amministrazione non si opponga affatto alla richiesta del privato, essa non può essere considerata soccombente
nella relativa procedura e non può, quindi, essere condannata al rimborso delle spese processuali sostenute dalla parte privata, conformemente all’orientamento
giurisprudenziale formatosi prima delle modifiche dell’art. 92 cod. proc. civ. (Sez.
4, n. 15209 del 26/02/2015 Rv. 263141; Sez. 4, n. 41307 del 02/10/2019 Rv.
277357-02). Tale principi conservano validità anche a seguito della modifica dell’art. 92 cod. proc. civ. ad
opera del d.l.n. 132 del 2014 e convertito nella Legge n. 162 del 2014: secondo la nuova disposizione il giudice può compensare le spese
tra le parti, parzialmente o per intero, soltanto laddove vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della
giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti e, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 2018, qualora sussistano altre analoghe gravi ed
eccezionali ragioni (Sez. 4, n. 24020 del 24/05/2023, Ministero Economia Finanze,
Rv. 284649).
Facendo applicazione di tali principi nel caso concreto, il Ministero, non costituito in giudizio, non avrebbe dovuto essere condannato al pagamento delle spese in favore della parte ricorrente.
L’ordinanza impugnata deve, dunque, essere annullata senza rinvio limitatamente alla rifusione delle spese di lite in favore dell’avvocato NOME COGNOME antistataria, con conseguente eliminazione di tale statuizione. Il ricorso deve essere rigettato nel resto.
PQM
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente alla rifusione delle spese di lite in favore dell’avvocato NOME COGNOME, antistataria, statuizione che elimina. Rigetta nel resto il ricorso.
Deciso il 13 giugno 2025