Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 4432 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 4432 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e della Finanze nel procedimento a carico di NOME nato in Slovenia il 30/07/1973
avverso l’ordinanza del 18/03/2024 della Corte d’appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; letta la memoria del difensore, avv. NOME COGNOME che chiede l’inammissibilità
o il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Giudicando in sede di rinvio disposto dalla Quarta sezione di questa Corte di cassazione con sentenza n. 28806 del 10 maggio 2023, con l’ordinanza impugnata la Corte di appello di Roma ha accolto la domanda con la quale NOME COGNOME ha chiesto la riparazione per la custodia cautelare subita nell’ambito di un procedimento penale per il delitto associativo di cui all’art. 7 d.P.R. 309 del 1990, dal quale era stato definitivamente assolto con sentenza emessa dalla Corte di appello di Roma in data 4 ottobre 2017, irrevocabile 1’11 ottobre 2018, condannando il Ministero dell’Economia e della Finanze a corrispondere al predetto la somma complessiva di 170.497,86 euro.
Avverso l’indicata ordinanza, il Ministero dell’Economia e della Finanze, per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, ha proposto ricorso per cassazione, che deduce il vizio di motivazione e l’erronea applicazione dell’art. 314 cod. proc. pen. Rappresenta la parte ricorrente che, a seguito della sentenza rescindente, era compito della Corte di appello approfondire tutti quegli ulteriori elementi posti a fondamento del provvedimento cautelare, mentre l’ordinanza impugnata si è limitata a un’apodittica affermazione per escludere la sussistenza di una condotta gravemente colposa dell’istante.
3. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che la sentenza rescindente, dopo aver affermato il principio secondo cui, ai fini della valutazione della colpa grave, ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, deve fondarsi su dati di fatto certi, cioè su elementi accertati o non negati, e, quindi non può essere operata sulla scorta di dati congetturali e su condotte escluse o ritenute non sufficientemente provate (in senso accusatorio) con la sentenza di assoluzione, aveva censurato l’ordinanza impugnata, la quale non aveva considerato “che l’assoluzione del richiedente era dipesa dalla mancata identificazione della sua voce in sede di intercettazioni; tale dato non poteva essere rimesso in discussione in sede di procedimento per ingiusta detenzione”. Per contro, l’ordinanza impugnata “ha – del tutto apoditticamente affermato che la condotta dell’interessato si sarebbe posta come fattore condizionante tale da costituire una non voluta ma prevedibile ragione di adozione del provvedimento restrittivo, senza specificare in cosa sarebbero consistite tali condotte condizionanti ed in che modo le stesse avrebbero avuto effetto sinergico rispetto all’emissione della misura custodiale”.
Sotto altro e concorrente profilo, la Corte di cassazione ha censurato l’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata, secondo cui vi sarebbero state “altre captazioni” dimostrative del coinvolgimento del richiedente nella vicenda in esame, posto che essa “palesa la sua estrema genericità, non peritandosi di specificare la decisività di tali captazioni (peraltro neanche indicate) ai fini della asserita falsa apparenza di una condotta idonea ad indurre in errore l’autorità giudiziaria in ordine all’emissione del provvedimento restrittivo della libertà personale”.
In sede di rinvio, la Corte distrettuale ha rilevato come non sia ravvisabile una colpa grave nella condotta dell’istante, il quale, invece, sin dal primo momento, aveva cercato di dimostrare, anche con elaborati tecnici, l’erroneità delle modalità di identificazione dell’istante medesimo, quale autore delle telefonate intercettate e valorizzate in sede di applicazione della misura cautelare.
Ciò posto, il ricorso appare generico, limitandosi a censurare la motivazione perché non avrebbe approfondito ed evidenziato “altri elementi” indicativi della colpa grave ostativa alla concessione dell’indennizzo, considerando, per un verso, che l’ordinanza impugnata, preso atto della mancata certezza in ordine alla riconducibilità delle telefonate intercettate all’imputato come accertata nel giudizio di merito, ha escluso la sussistenza di elementi ostativi, evidenziando come l’istante, sin dall’inizio, si fosse adoperato proprio per dimostrare tale circostanza in suo favore; per altro verso, che il ricorrente nemmeno indica quali siano, in tesi, gli altri elementi e le altre condotte ascrivibili all’imputato che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare ai fini della valutazione della colpa grave, ostativa al riconoscimento dell’indennizzo.
Per i motivi indicati, il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità, con conseguente condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della cassa delle ammende, come liquidata in dispositivo, non ricorrendo un’ipotesi di inammissibilità incolpevole (cfr. Sez. 4, n. 22810 del 13/04/2018, Rv. 272994; cfr. anche SU n. 3775 del 21/12/2017, M. Giustizia in c. Tuttolomondo, Rv. 271650, in motivazione, al par. 4.2).
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 10/01/2025.