Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 37798 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 37798 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a MATTINATA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 01/04/2025 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Roma ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione formulata da NOME COGNOME per il periodo di custodia cautelare in carcere applicato nei suoi confronti dal 06/04/2019 al 23/05/2019 e per quello di arresti domiciliari applicati da tale ultima data sino all’11/07/2019, in riferimento a un capo di imputazione ipotizzante la violazione delle disposizioni penali in materia di accise, con sottrazione di merce al relativo accertamento e al successivo versamento dell’imposta.
La Corte territoriale, quale giudice adito ai sensi dell’art.315 cod.proc.pen., ha previamente riassunto gli esiti del procedimento incardinato nei confronti del ricorrente, dando atto che lo stesso era stato assolto per insussistenza del fatto con sentenza del Tribunale di Roma del 06/10/2022, divenuta irrevocabile.
La Corte ha quindi osservato che la domanda non poteva essere accolta, essendo ravvisabile una condotta gravemente colposa in capo alla parte ricorrente da porre in diretto rapporto causale con la detenzione sofferta.
In particolare, il giudice della riparazione ha rilevato che – sulla base di una valutazione compiuta ex ante sussistevano elementi idonei a far ritenere che il ricorrente fosse coinvolto negli illeciti oggetto di indagine’ facendo specifico riferimento agli esiti delle operazioni di polizia giudiziaria, dalle quali erano emersi numerosi contatti con i coimputati NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME, elemento che aveva indotto gli operanti a procedere a perquisizione nei confronti del ricorrente ie nel corso della quale erano stati rinvenuti una ingente quantità di denaro contante, due blocchetti di CMR in bianco, un apparecchio volto al rilevamento delle intercettazioni ambientali e un veicolo con targa falsificata.
Ha quindi ritenuto che tali elementi, pur non essendo stati ritenuti sufficienti ai fini dell’affermazione della responsabilità penale, erano stati tali da ingenerare nell’autorità procedente la giustificata convinzione in ordine al coinvolgimento del COGNOME nell’attività illecita.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, tramite il proprio difensore, articolando due motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e) cod.proc.pen. – la violazione e l’erronea applicazione dell’art.314
cod.proc.pen., in relazione all’art.5 CEDU, per erronea valutazione del presupposto ostativo rappresentato dalla colpa grave.
Ha dedotto che la motivazione della Corte doveva ritenersi omessa o comunque carente in ordine al presupposto ostativo medesimo e che la stessa aveva comunque omesso di confrontarsi con le ragioni dell’assoluzione, fondata sull’assenza di qualsivoglia apporto causale al reato contestato; ha fatto richiamo alla motivazione del giudice di merito, nella parte in cui aveva escluso la configurabilità del reato previsto dall’art.40 del T.U. in materia di accise, non essendo il materiale rinvenuto nella disponibilità degli imputati assoggettabile al pagamento dell’imposta.
Ha quindi osservato che il giudice della riparazione, in ordine al comportamento extraprocessuale, non aveva adeguatamente chiarito quali fossero stati i comportamenti dolosi o gravemente colposi dell’istante, il quale – peraltro – sin dall’inizio dell’indagine si era reso disponibile al fine di chiarire la propria estraneità rispetto ai fatti; finendo, pertanto, per operare un mero riferimento per relationem al contenuto del provvedimento applicativo della misura cautelare.
Con il secondo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – l’inosservanza o erronea applicazione degli artt. 314 e 315 cod.proc.pen., in relazione agli artt. 5 CEDU, 24 e 111 Cost., 127 e 6433 cod.proc.pen. e la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Ha dedotto che la motivazione della Corte territoriale si presentava del tutto apodittica nella parte in cui non aveva effettivamente chiarito quali fossero le condotte gravemente colpose ascrivibili all’istante, dovendosi ritenere che – anche sulla scorta di una valutazione compiuta ex ante -difettassero gli elementi idonei alla configurazione del reato; omettendo, altresì, qualsiasi effettiva valutazione sul requisito della gravità della colpa.
Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
I due motivi di ricorso possono essere congiuntamente esaminati attesa la loro stretta connessione logica; attenendo entrambi alla correttezza del percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale in punto di
valutazione della sussistenza della causa ostativa rappresentata dalla presenza di un comportamento – da parte dell’istante – che abbia concorso a dare luogo alla detenzione con dolo o colpa grave.
3. I motivi sono complessivamente infondati.
Va quindi premesso che, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, costituisce causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo la sussistenza di un comportamento – da parte dell’istante – che abbia concorso a darvi luogo con dolo o colpa grave.
In particolare, la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiusta carcerazione, deve concretarsi in comportamenti, non esclusi dal giudice della cognizione, di tipo extra-processuale (grave leggerezza o macroscopica trascuratezza tali da aver dato causa all’imputazione) o processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi), in ordine alla cui attribuzione all’interessato e incidenza sulla determinazione della detenzione il giudice è tenuto a motivare specificamente (Sez.4, 3/6/2010, n.34656, COGNOME, Rv. 248074; Sez.4, 21/10/2014, n.4372/2015, COGNOME, Rv. 263197; Sez.3, 5/7/2022, n.28012, COGNOME, Rv. 283411).
In particolare – come peraltro evidenziato dallo stesso ricorrente – il giudice di merito, per stabilire se chi ha patito la detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante e secondo un iter logico/motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez.4, 22/9/2016, n.3359/2017, La Fornara, Rv. 268952), con particolare riferimento alla commissione di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti (Sez.4, 5/2/2019, n.27548, Hosni, Rv. 276458).
Deve altresì essere ricordato che, sulla base dell’arresto espresso da Sez.U, 13/12/1995, n.43/1996, COGNOME, Rv. 203638, nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è necessario distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della riparazione il quale, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire
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un iter logico-motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione”; ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di esaminare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione; deriva~, in diretta conseguenza di tale principio, quello ulteriore in base al quale il giudice del procedimento di riparazione per ingiusta detenzione può rivalutare fatti emersi nel processo penale, ivi accertati o non esclusi, ma ciò al solo fine di decidere sulla sussistenza del diritto alla riparazione (Sez.4, 10/6/2010, n.27397, Grillo, Rv. 247867; Sez.4, 14/12/2017, n.3895/2018, P., RV. 271739)a; con il solo limite di non potere ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudice della cognizione ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate (Sez. 4, Sentenza n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039), imponendosi quindi un necessario confronto con le argomentazioni poste alla base della sentenza di proscioglimento.
In relazione ancora più specifica rispetto alla fattispecie concreta in esame deve rilevarsi come il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico; il giudice di merito deve, in modo autonomo e in modo completo, apprezzare tutti gli elementi probatori a sua disposizione e rilevare, se la condotta tenuta dal richiedente abbia ingenerato o contribuito a ingenerare, nell’autorità procedente, la falsa apparenza della configurabilità della stessa come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto (Sez.U, 27/5/2010, n.32383, COGNOME, Rv. 247664).
Deve quindi ritenersi che, nel caso di specie, le argomentazioni spiegate nell’esposizione dei motivi di ricorso non si confrontino
adeguatamente con il contenuto dell’ordinanza reiettiva dell’istanza originoria., k: GLYPH T ‘ t L
t cuà, ter sia pure con stringata motivazione – derivandone l’infondatezza della censura spiegata in riferimento all’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – ha compiutamente dato atto degli elementi idonei a integrare il presupposto della colpa grave e individuati nella condotta extraprocessuale tenuta dal ricorrente. ‘La
Specificamente, la Corte territoriale ha rilevato il dato della presenza al momento della perquisizione operata presso l’abitazione del ricorrente di una ingente somma di denaro contante, di un apparecchio volto al rilevamento della intercettazioni ambientali, di due blocchetti Ka in bianco di -1 lettere di vettura e di un’automobile con targa falsificata;ies GLYPH El GLYPH quindi, con motivazione non intrinsecamente e non palesemente illogica, che tali elementi si configurassero come indice di grave imprudenza idonea a essere valutata quale condotta extraprocessuale integrante il presupposto della colpa grave; senza, peraltro, omettere in alcun modo il raffronto con le argomentazioni contenute nella sentenza assolutoria, che – nel non smentire, in punto di fatto, la sussistenza delle predette condotte – si è fondata sull’assenza dell’elemento oggettivo del reato contestato in ragione della natura della sostanza sequestrata.
Va quindi evidenziato che il ricorrente, al di là dell’insistito richiamo ai consolidati principi in punto di onere di motivazione sulla valenza sinergica della condotta extraprocessuale dell’istante, non ha operato alcuna effettiva censura in ordine al predetto percorso argomentativo; limitandosi a effettuare un richiamo alle ragioni poste alla base della pronuncia assolutoria e prescindendo quindi dal censurare, di fatto, le argomentazioni del giudice della riparazione nella parte in cui ha ritenuto che le predette condotte sulla base di una valutazione compiuta ex ante avessero assunto la necessaria valenza sinergica rispetto all’adozione del provvedimento cautelare.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 23 ottobre 2025
Il Co gliere estensore