Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 21549 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 21549 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 15/01/2024 della CORTE APPELLO di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni ex art. 611 c.p.p. del PG in persona del Sostituto Proc. Gen. NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso,
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Bari, con ordinanza del 15 gennaio 2024, ha rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata ex art. 314 cod. proc. pen. dall’odierno ricorrente, COGNOME NOME, subita dal 17/1/2013 al 13/4/2016 in regime di custodia cautelare in carcere per il reato di concorso in omicidio e violazione della normativa sulle armi.
Il ricorrente, condannato in primo grado dalla Corte di Assise di Trani alla pena di 28 anni di reclusione in data 29/10/2014, veniva prosciolto dall’accusa con sentenza della Corte di Assise di Appello di Bari del 13/4/2016 per non aver commesso il fatto, divenuta irrevocabile il 26/9/2017.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il COGNOME deducendo, con un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 314, 125 e 178 cod. proc. pen.
Il ricorrente si duole che la Corte distrettuale abbia sfavorevolmente valutato l’esistenza di rapporti con il coimputato COGNOME NOME, il possesso di un’arma clandestina, l’utilizzo di un’auto provento di furto e di un telefono con sim intestata a terzi, nonché la scelta dell’indagato di avvalersi della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio di garanzia. In relazione al silenzio serbato nell’interrogatorio, si richiama la sentenza n. 34367/2021 di questa Sezione sul punto, rilevando che la facoltà di non rispondere costituisce l’esercizio di un proprio diritto garantito dalla Costituzione e dalla legge ordinaria.
Dopo aver delineato i principi stabiliti da questa Corte di legittimità in tema di valutazione della condotta dolosa o colposa atta ad escludere il diritto all’indennizzo, si evidenzia che il giudice della riparazione non ne abbia fatto buon uso, attribuendo una potenzialità criminale all’indagato attraverso il travisamento dei fatti di causa e della motivazione del provvedimento privativo della libertà.
Il rigetto dell’istanza di riparazione sarebbe fondato esclusivamente sugli elementi contenuti nell’ordinanza cautelare, omettendo la valutazione dell’intero compendio a disposizione.
Si sottolinea che, se è vero che il giudice può utilizzare un percorso motivazionale diverso da quello seguito dalla Corte di assise d’appello nella sentenza assolutoria, tale ragionamento dovrà avere una maggiore ampiezza, volta all’analisi dell’intera vicenda processuale, e non certamente minore, limitata alla sola fase cautelare.
Nel caso in esame, continua il ricorrente, sarebbe evidente che gli elementi cautelari evidenziati nell’ordinanza impugnata non potessero, anche con un giudizio quo ante, essere ritenuti idonei a fondare l’emissione di un provvedimento privativo della libertà.
Irrilevante sarebbe ai fini del giudizio di riparazione, secondo la tesi difensiva, la commissione di un reato di furto di un’auto, peraltro diversa da quella utilizzata nell’omicidio, nonché l’utilizzo di una sim intestata ad altri.
Il ricorrente richiama il dictum di Sez. 4 n. 1219/2014 che stabilisce l’inidoneità di una precedente esperienza carceraria alla riduzione della quantificazione del risarcimento.
Pertanto, ritiene il ricorrente che, se la presenza d elementi sintomatici di capacità delinquenziale non incidono sull’entità del risarcimento, non potranno certamente essere ritenuti idonei ad integrare profili di dolo o colpa grave tali da giustificare il rigetto dell’indennizzo.
Ci si duole, infine, che la Corte barese abbia attribuito valore negativo al dato neutro della frequentazione tra il COGNOME e COGNOME.
Chiede, pertanto, l’annullamento della ordinanza impugnata, con tutta le conseguenze di legge.
Il P.G. ha reso le conclusioni scritte ex art. 611 cod. prpc. pen. riportate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Va premesso che è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte Suprema che nei procedimenti per riparazione per ingiusta detenzione la cognizione del giudice di legittimità deve intendersi limitata alla sola legittimità de provvedimento impugnato, anche sotto l’aspetto della congruità e logicità della motivazione, e non può investire naturalmente il merito. Ciò ai sensi del combinato disposto di cui all’articolo 646 secondo capoverso cod. proc. pen., da ritenersi applicabile per il richiamo contenuto nel terzo comma dell’articolo 315 cod. proc. pen.
Dalla circostanza che nella procedura per il riconoscimento di equo indennizzo per ingiusta detenzione il giudizio si svolga in un unico grado di merito (in sede di corte di appello) non può trarsi la convinzione che la Corte di Cassazione giudichi anche nel merito, poiché una siffatta estensione di giudizio, pur talvolta prevista
dalla legge, non risulta da alcuna disposizione che, per, la sua eccezionalità, non potrebbe che essere esplicita. Al contrario l’art. 646, comma terzo cod. proc. pen. (al quale rinvia l’art. 315 ultimo comma cod. proc. pen.) stabilisce semplicemente che avverso il provvedimento della Corte di Appello, gli interessati possono ricorrere per Cassazione: conseguentemente tale rimedio rimane contenuto nel perimetro deducibile dai motivi di ricorso enunciati dall’art. 606 cod. proc. pen., con tutte le limitazioni in essi previste (cfr. ex multis, Sez. 4, n. 542 del 21/4/1994, Bollato, Rv. 198097, che, affermando tale principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso ordinanza del giudice di merito in materia, col quale non si deduceva violazione di legge, ma semplicemente ingiustizia della decisione con istanza di diretta attribuzione di equa somma da parte della Corte).
Il giudice della riparazione motiva in maniera ampia e circostanziata sui motivi del rigetto.
L’art. 314 cod. pen., com’è noto, prevede al primo comma che “chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”.
In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, costituisce causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen.); l’assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte (cfr. sul punto questa Sez. 4, n. 34181 del 5/11/2002, Guadagno, Rv. 226004).
In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che, in tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta detenzione, deve intendersi dolosa – e conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell’ “id quod plerumque accidit” secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del 13/12/1995 dep. il 1996, COGNOME ed altri, Rv. 203637)
Poiché inoltre, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso.
In altra successiva condivisibile pronuncia è stato affermato che il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione non spetta se l’inte -essato ha tenuto consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare una situazione di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria o se ha tenute una condotta che abbia posto in essere, per evidente negligenza, imprudenza o trascuratezza o inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso (Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, Maisano, Rv. 242034).
Ancora le Sezioni Unite, hanno affermato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. Unite, n. 32383 del 27/5/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664). E, ancora, più recentemente, il Supremo Collegio ha ritenuto di dover precisare ulteriormente che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, ai fini del riconoscimento dell’indennizzo può anche prescindersi dalla sussistenza di un “errore giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l’antinomia “strutturale” tra custodia e assoluzione, o quella “funzionale” tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la “ratio” solidaristica che è alla base dell’istituto (così Sez. Unite, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606, fattispecie in cui è stata ritenuta colpevole la condotta di un soggetto che aveva reso dichiarazioni ambigue in sede di inter-
rogatorio di garanzia, omettendo di fornire spiegazioni sul contenuto delle conversazioni telefoniche intrattenute con persone coinvolte in un traffico di sostanze stupefacenti, alle quali, con espressioni “travisanti”, aveva sollecitato in orario notturno la urgente consegna di beni).
4. Va poi osservato che vi è totale autonomia tra giudizio penale e giudizio per l’equa riparazione anche atteso che i due afferiscono piani di indagine del tutto diversi che ben possono portare a conclusioni affatto differenti pur se fondanti sul medesimo materiale probatorio acquisito agli atti, in quanto sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di valutazione del tutto differenti. C perché è prevista in sede di riparazione per ingiusta detenzione la rivalutazione dei fatti non nella loro portata indiziaria o probatoria, che può essere ritenuta insufficiente e condurre all’assoluzione, occorrendo valutare se essi siano stati idonei a determinare, unitamente ed a cagione di una condotta negligente od imprudente dell’imputato, l’adozione della misura cautelare, traendo in inganno il giudice.
E’ pacifico (cfr. tra le tante questa Sez. 4, ord. 25/11/2010, n. 45418) che, in sede di giudizio di riparazione ex art. 314 cod. proc. pen. ed al fine della valutazione dell’an debeatur occorra prendere in considerazione in modo autonomo e completo tutti gli elementi probatori disponibili ed in ogni modo emergenti dagli atti, al fine di valutare se chi ha patito l’ingiusta detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti. A tale fine è necessario che venga esaminata la condotta posta in essere dall’istante sia prima che dopo la perdita della libertà personale e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (cfr. Sez. Un. n. 32383/2010), onde verificare, con valutazione ex ante, in modo del tutto autonomo e indipendente dall’esito del processo di merito, se tale condotta, risultata in sede di merito tale da non integrare un fatto-reato, abbia ciononostante costituito il presupposto che abbia ingenerato, pur in eventuale presenza di un errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di “causa ad effetto” (cfr. anche la precedente Sez. Un. 26/6/2002, COGNOME).
A tal fine vanno prese in considerazione tanto condotte di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo), quanto di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione (cfr. questa sez. 4, n. 45418 del 25.11.2010).
La colpa dell’istante è ostativa al diritto per le argomentazioni espresse, tra le altre, da Sez. 4, n. 1710 del 27.11.2013; sez. 4, n. 1422 del 16 ottobre 2013: … non potendo l’ordinamento, nel momento in cui fa applicazione della regola solidaristica, … obliterare il principio di autoresponsabilità che incombe su tutt consociati, allorquando interagiscono nella società (trattasi, infondo, della regola che trova esplicitazione negli arti. 1227 e 2056 c.c.), deve intendersi idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo … non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso configgente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con parametro dell ‘id quod plerumque accidit secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche ai fini che qui ci interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 c.p., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritt alla riparazione … quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere per evidente, macroscopica, negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso …”.
Alla luce delle anzidette coordinate ermeneutiche, è quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dall’istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della libertà personale il convincimento di una probabile responsabilità per il reato di concorso in omicidio.
Ebbene, la Corte barese, nel caso di specie, ha puntualmente individuato in cosa sia consistita la colpa grave del ricorrente.
Nel provvedimento impugnato è stato congruamente e logicamente posto in evidenza come vi sia la certezza della contiguità e dei rapporti molto stretti con soggetti facenti parte della RAGIONE_SOCIALE organizzata pugliese per finalità illecit quali le aggressioni armate a mezzi blindati portavalori.
Il COGNOME, secondo le plurime ed univoche risultanze, che non trovano smentita nella pronuncia assolutoria, risultava spiccatamente contiguo a soggetti coimputati nel medesimo procedimento e, in particolare, a COGNOME NOME, pregiudicato e indagato principale dell’omicidio di NOME COGNOME.
Tale assodata frequentazione ha carattere tutt’altro che neutro come vorrebbe sostenere la difesa.
Il giudice della riparazione ha inoltre evidenziato che il COGNOME, in concomitanza con l’omicidio, veniva rinvenuto in possesso di un’arma illegale, di una vettura provento di furto e di una sim intestata a terzi, utilizzata per rendere a lui non riconducibili le conversazioni intercettate.
Dunque, sebbene la Corte d’assise d’appello abbia assolto il ricorrente dal reato di concorso in omicidio (dopo la condanna in primo grado), nondimeno non ha smentito il contenuto univoco degli elementi indiziari dai quali era dato trarre l’intima vicinanza del soggetto al principale indiziato del delitto e sui quali si fo dava l’ordinanza custodiale.
Il comportamento del ricorrente- con riferimento al quale questi ha, sia pure legittimamente, deciso di non fornire chiarimenti in sede d’interrogatorio- è stato, correttamente, reputato gravemente imprudente e negiigente. E dalla condotta del COGNOME (la ricordata contiguità al COGNOME, l’utilizzo di una sim dedicata, il possesso di un’arma clandestina, la disponibilità di una vettura provento di furto) è stato fatta discendere il rapporto di causalità o concausalità nell’adozione della misura restrittiva.
6. Il giudice della riparazione pertanto, ha operato un buon governo della richiamata giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui le frequentazioni ambigue, ossia quelle che sì prestano oggettivamente ad essere interpretate come indizi di complicità, quando non sono giustificate da rapporti di parentela e sono poste in essere con la consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti, o le frequentazioni con soggetti gravati da specifici precedenti nali, ben possono dare luogo ad un comportamento gravemente colposo idoneo ad escludere la riparazione stessa” (cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258610; Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259082; Sez. 4, n. 51722 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 257878) e che per tali si intendono anche quelle con soggetti coinvolti nel medesimo procedimento penale.
Ancora di recente, è stato condivisibilmente ribadito che la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiusta carcerazione, può essere integrata anche da comportamenti quali le frequentazioni ambigue con i soggetti condannati nel medesimo procedimento, purché il giudice della riparazione fornisca adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità ad essere interpretate come indizi di complicità, in rapporto al tipo e alla qualità dei collegamenti con tali persone, così da essere poste quanto meno in una relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (Sez. 4, n. 850 del 28/9/2021 dep. 2022, Denaro, Rv. 282565).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissi bilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorre pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle mende.
Così deciso il 3 aprile 2024
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