Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 20823 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20823 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ALTAVILLA SILENTINA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 08/11/2023 della CORTE APPELLO di SALERNO
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, con le quali si è chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Salerno, decidendo su un’istanza di riconoscimento di indennizzo per la detenzione ingiustamente subita da COGNOME NOME con riferimento a un’ordinanza dispositiva, nei suoi confronti, degli arresti domiciliari, siccome gravemente indiziato del delitto di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990 (per avere ricevuto il 19 dicembre 2017 gr. 200 di cocaina ceduti da un gruppo organizzato), reato dal quale era stato assolto in appello, ha rigettato la domanda ritenendo l’esistenza di un comportamento ostativo dell’interessato, causalmente collegato all’apparenza del quadro gravamente indiziarlo a suo carico. Si è trattato, secondo il giudice della riparazione, della telefonata del 7 dicembre 2017, con certezza intrattenuta dal COGNOME (avendolo egli ammesso in sede di interrogatorio, senza fornire una spiegazione alternativa lecita, adducendo una sorta di amnesia indotta dalle sue condizioni di salute) con tale COGNOME NOME, cioè uno dei fornitori di stupefacente. Nel corso della conversazione, il COGNOME si era lamentato per lo slittamento di un incontro già programmato, a seguito del quale prospettava al suo interlocutore problemi per “altri” che non avrebbero potuto “lavorare”, esortandolo a raggiungerlo al più presto. La fornitura di droga, oggetto della imputazione, era stata effettuata alcuni giorni dopo nella stessa zona e a favore di un tale “NOME” e di essa altri interlocutori avevano poi discusso, riferendo delle lamentele del cessionario sulla qualità della droga. Lo stesso giudice dell’assoluzione, peraltro, aveva ritenuto che il primo dialogo si riferisse a fornitura di droga, pur valutandolo come neutro in termini dimostrativi del coinvolgimento del COGNOME nella cessione contestatagli, stante l’impossibilità di collegare con certezza i due episodi. Secondo la Corte della riparazione, tale comportamento ha costituito l’elemento principale del quadro indiziario ritenuto a suo carico dall’A.G. procedente per indotto errore, ritenuto peraltro “amplificato” dal contegno assunto dall’indagato in sede di interrogatorio di garanzia, avendo egli ammesso la telefonata senza dare spiegazioni circa il contesto nel quale era stata effettuata. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2. La difesa del COGNOME ha proposto ricorso, formulando un unico motivo, con il quale ha dedotto violazione e erronea applicazione della
legge penale processuale e sostanziale, con riferimento alla valutazione dell’esistenza di una colpa grave ostativa all’insorgenza del diritto alla riparazione (che, secondo il tenore del ricorso, la parte ha considerato formalmente ingiusta, stante il richiamo all’art. 314, comma 2, cod. proc. pen. e l’espressa adozione della formula “ingiustizia formale”). La Corte territoriale avrebbe valorizzato un unico elemento per trarne la prova dell’esistenza di frequentazioni ambigue, rilevando come fosse stata acclarata l’estraneità del COGNOME alla fattispecie contestatgli, essendosi trattato di un dialogo avvenuto ben 13 giorni prima dell’episodio di approvvigionamento oggetto dell’imputazione. Ha contestato che tale condotta possa esser stata sinergicamente collegata all’adozione della misura, osservando come l’estraneità del ricorrente ai fatti penali fosse stata acclarata alla stregua di un quadro rimasto immutato, essendosi proceduto con le forme del rito abbreviato. Quell’unica conversazione, peraltro, senza alcun seguito investigativo, non aveva costituito autonomo elemento per contestare una condotta di rilevanza penale, in difetto di elementi per ritenere che il “NOME” della cessione del 19/12/2017, fosse il conversante del dialogo del 7/12/2017, in mancanza di collegamenti contenutistici o circostanze alle quali ricondurre una stabilità di rapporti con tali personaggi.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, ha rassegnato proprie conclusioni, con le quali ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
Considerato in diritto
1. Il ricorso va rigettato.
Deve, in via preliminare, osservarsi che non vi sono elementi alla strregua dei quali possa dirsi che ricorra, nella specie, anche solo astrattamente, una ipotesi di cui all’art. 314, comma 2, cod. proc. pen., mancando una decisione di merito, anche non necessariamente in sede cautelare, attestante l’assenza dei presupposti di cui agli art. 273 e 280, cod. proc. pen. per l’emissione del titolo. Ci si trova, quindi, di fronte a un’ipotesi di ingiustizia c.d. sostanziale, rispetto alla quale la legittimità della verifica dell condizione negativa non deve essere condotta secondo i principi che il diritto vivente ha già precisato con riferimento alla ingiustizia c.d. formale (il rinvio è a Sez. U, n. 32383 del 27/5/2010, COGNOME, Rv. 247663-01, a mente dei
quali, va ricordato che la circostanza di avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, anche in relazione alle misure disposte in difetto delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen., operatività che, tuttavia, non può concretamente esplicarsi, in forza del meccanismo causale che governa l’indicata condizione ostativa, nei casi in cui l’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura in oggetto avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha reso il provvedimento cautelare, in ragione unicamente di una loro diversa valutazione).
Quanto al ravvisato comportamento ostativo, poi, le censure difensive non colgono nel segno, non emergendo alcuna violazione di legge, processuale o sostanziale, quanto all’applicazione dell’istituto azionato, la valutazione dell’esistenza di un comportamento gravemente negligente dell’interessato sinergicamente collegato alla restrizione della libertà personale essendo stata congruamente giustificata dai giudici territoriali attraverso un ragionamento che costituisce giudizio di puro merito che, ove congruo, non manifestamente illogico e non contraddittorio, è in questa sede incensurabile.
In linea generale, infatti, deve ribadirsi che, ai fini del riconoscimento dell’indennizzo, può anche prescindersi dalla sussistenza di un “errore giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l’antinomia “strutturale” tra custodia e assoluzione, o quella “funzionale” tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che è alla base dell’istituto (Sez. U, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606). Sotto altro profilo, il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di érrore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese, Rv. 259082; sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016, dep. 2017, La Fornara, Rv. 268952;
n. 3895 del 14/12/2017, dep. 2018, P., Rv. 271739). Nello svolgimento di detta verifica, peraltro, non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare, pur nell’errore dell’autorità procedente, quel grave quadro indiziante un suo coinvolgimento negli illeciti oggetto d’indagine. Ai medesimi fini, il giudice deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (sez. 4 n. 27458 del 5/2/2019, Hosni, Rv. 276458). Pertanto, vi é completa autonomia tra il giudizio per la riparazione e quello di cognizione, poiché essi impegnano piani di indagine diversi che possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, il che, tuttavia, non consente al giudice della riparazione di ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudice della cognizione ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate (sez. 4 n. 11150 del 19/12/2014, dep. 2015, Patanella, Rv. 262957).
A tali fini, inoltre, in relazione allo specifico comportamento ritenuto dai giudici della riparazione nella specie, è già stato più volte affermato che la condizione ostativa può essere integrata anche da frequentazioni ambigue con i soggetti condannati nel medesimo procedimento, purchè il giudice della riparazione fornisca adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità ad essere interpretate come indizi di complicità, in rapporto al tipo e alla qualità dei collegamenti con tali persone, così da essere poste quanto meno in una relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (sez. 4, n. 53361 del 21/11/2018, COGNOME, Rv. 274498-01; n. 29550 del 5/6/2019, COGNOME, Rv. 277475-01, in cui si è precisato che tale tipo di comportamento può rilevare addirittura anche ove le frequentazioni intervengano con persone legate da rapporto di parentela, purché siano accompagnate dalla consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti e non siano assolutamente necessitate; sez. 3, n. 39362 del 8/9/2021, Quarta, Rv. 282161-01; sez. 4, n. 850 del 28/9/2021, dep. 2022, Denaro, Rv. 282565-01).
4. Fatta tale prémessa in diritto, deve quindi ritenersi che la tesi difensiva in base alla quale non vi sarebbero elementi per configurare la ritenuta condizione ostativa è smentita dalla natura degli elementi valorizzati dalla Corte della riparazione. Del tutto correttamente questa ha individuato il
collegamento tra la situazione ambigua, enucleata dalla stessa esistenza, oltre che dal contenuto criptico, del dialogo richiamato dalla Corte territoriale e l’apparenza di un quadro nel quale egli era stato erroneamente ritenuto il “NOME“, cessionario della droga di cui alla fornitura del successivo 19/12/2017 e ciò a prescindere dalla circostanza che il COGNOME non abbia inteso giustificare altrimenti l’esistenza di quel contatto e il significato del suo contenuto, stante la certezza acquisita nel giudizio di merito che tale conversazione era stata intrattenuta con uno dei soggetti implicati nell’illecito commercio, in uno con la circostanza che era stata la stessa Corte d’appello, giudice dell’assoluzione, a riferire il dialogo del 7/1/2017 ad una fornitura di droga. La Corte territoriale ha, in definitiva, del tutto legittimamente posto a fondamento della decisione anche l’atteggiamento serbato dall’indagato in sede di interrogatorio di garanzia, così valorizzandone il comportamento processuale, a completamento (i giudici utilizzano il concetto di “amplificazione”) di una valutazione complessiva incentrata soprattutto sull’avere egli intrattenuto una conversazione, sul contenuto della quale aveva offerto generiche giustificazioni.
Al rigetto segue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Deciso il 7 marzo 2024