Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 2041 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 2041 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 24/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BATTIPAGLIA il 23/07/1946
avverso l’ordinanza del 12/06/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, in persona del sostituto NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria del Ministero dell’Economia e Finanze con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Salerno, con ordinanza del 12 giugno 2024, ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME volta ad ottenere la riparazione per la ingiusta detenzione patita dal 20 settembre 2010 al 24 ottobre 2011 (per un totale di 399 giorni) in regime di arresti domiciliari, i relazione ai reati di cui agli artt. 644 comma 5, nn. 3 e 4 , 81 cpv., 629, 628 comma 3 cod. pen. e 7 L. n. 2013/1991.
NOME COGNOME insieme alla moglie NOME COGNOME ed alla figlia NOME COGNOME era stato tratto in arresto, nella flagranza del reato di usura, in data 17 settembre 2010, sulla scorta della querela sporta e delle s.i.t. rese dalle persone offese e da un loro collaboratore NOME COGNOME, del rinvenimento in sede di perquisizione domiciliare presso l’abitazione dei COGNOME di copiosa documentazione contabile e bancaria da cui era possibile evincere, secondo la prospettazione accusatoria, l’esistenza di intensi rapporti economici tra le parti. COGNOME e i familiari, sin dalle pri battute, si protestavano innocenti e smentivano talune affermazioni delle persone offese, così, a titolo esemplificativo, con riferimento alla data del prestito di cui all’assegno allegato alla querela che risultava essere stato rilasciato dall’istituto di credito in epoca successiva a quella in cui assumeva essere stato consegnato ai COGNOME.
Con sentenza del 10 novembre 2022 del Tribunale di Salerno l’odierno ricorrente e i suoi familiari venivano assolti dai reati loro ascr perchè il fatto non sussiste, sulla scorta di un giudizio di sostanziale inattendibilità delle persone offese e della mancanza di adeguati riscontri.
L’istanza di riparazione avanzata nell’interesse del COGNOME veniva rigettata ritenendo di ostacolo la conversazione intercorsa tra NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOMECOGNOME dipendente delle persone offese (che registrava il dialogo), nel corso della quale si faceva riferimento a prestiti di denaro, a tassi di interesse, al timore di incriminazioni per prestiti effettuati. A quanto detto si aggiungeva la circostanza che i COGNOME accettavano quale “atipica modalità di definizione della posizione debitoria” delle persone offese, la consegna di merce, in luogo della somma dovuta, che doveva servire per la ristrutturazione dell’abitazione di NOME COGNOME e ciò benché il rapporto debito-credito fosse intercorso non tra le parti quanto tra le società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, secondo quanto
sostenuto da Petrosino, per pregresse forniture effettuate da quest’ultima società, in assenza, tuttavia, di qualsivoglia accordo scritto.
La Corte della riparazione ha ritenuto le superiori condotte ostative, poiché gravemente colpose, all’accoglimento della istanza formulata dal Petrosino. Per contro, non è stata ritenuta significativa la valutazione espressa circa la inattendibilità delle persone offese e le incongruenze circa la tempistica dei prestiti e le date di emissione degli assegni stante il diverso oggetto del procedimento.
Avverso l’ordinanza è stato proposto ricorso nell’interesse del Petrosino affidandolo ad un motivo con il quale si deduce la violazione dell’art. 606 lett. c) ed e) cod. proc. pen., sotto il profilo della individuaz dei presupposti dell’art. 314 cod. proc. pen. e della contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
Lamenta la difesa che i giudici della riparazione, in maniera eccentrica, avrebbero rivalutato il materiale probatorio posto all’esame del Tribunale che ha espresso una valutazione negativa sulla conversazione intercorsa tra il dipendente delle persone offese e il Petrosino, insieme alla figlia NOME in quanto, ai fini della assoluzione sarebbero stati utilizzati una pluralità elementi che sono stati obliterati nell’ordinanza impugnata.
I GLYPH giudici GLYPH di GLYPH merito, GLYPH infatti, GLYPH avrebbero GLYPH posto GLYPH l’accento GLYPH sulle testimonianze offerte dalle persone offese, caratterizzate da incertezze e “non ricordo” e i passaggi che apparivano sorretti da riscontri documentali sono risultati carenti di prova o, comunque, viziati da contraddizioni; l’assegno di 7.500 euro che avrebbe fondato l’imputazione, ossia quello che sarebbe stato consegnato alla moglie del Petrosino il 2.11.2009 sarebbe risultato far parte di un carnet rilasciato il 23.11.2009; i giudici di mer avrebbero poi messo in evidenza la legittimità dei rapporti commerciali tra le persone offese e la familia COGNOME. Dalla conversazione registrata dal dipendente delle persone offese, infine, a differenza di quanto affermato dalla Corte della riparazione in maniera illogica emergerebbe solo che COGNOME non ha dato alcuna somma di denaro alle persone offese avendo egli affermato “se uno viene qua e vuole i soldi, ma chi glieli dà”.
Inoltre, il Tribunale ha messo in evidenza la legittimità dei rapporti commerciali tra le persone offese e la famiglia COGNOME e dopo avere smentito la conversazione ha anche evidenziato la inattendibilità delle dichiarazioni dei denuncianti oltre che la circostanza che numerose matrici di assegni presentavano cancellature e sovrascritture.
Sotto altro profilo, ad avviso del ricorrente, non può considerarsi gravemente colposa la condotta consistita nell’avere pattuito una compensazione con le persone offese, peraltro, funzionale a venire incontro alle esigenze di costoro che avevano un debito di natura commerciale. La motivazione è carente poiché non indica il nesso di causalità tra la condotta colposa e la successiva applicazione della misura cautelare.
3.- Il P.G., in persona del sostituto NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato memoria con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non merita accoglimento.
E’ il caso di ricordare che nel giudizio avente ad oggetto la riparazione per ingiusta detenzione, ai fini dell’accertamento della condizione ostativa del dolo o della colpa grave può darsi rilievo agli stessi fatti accertati nel giudizio penale di cognizione, senza che rilevi che quest’ultimo sia stato definito con l’assoluzione dell’imputato sulla base degli stessi elementi posti a fondamento del provvedimento applicativo della misura cautelare, trattandosi di una evenienza fisiologicamente correlata alle diverse regole di giudizio applicabili nella fase cautelare e in quella di merito valendo soltanto in quest’ultima il criterio dell’aldilà dell’oltre ogni ragionevole dubbio (Sez. n. 2145 del 13/01/2021, Rv. 280246 -01).
E’ noto, infatti, che la valutazione del giudice della riparazione si svolge su un piano diverso, autonomo, rispetto a quello del giudice del merito e in relazione a tale aspetto, il primo ha libertà di valutare il materiale acquisito nel processo al fine d verificare la ricorrenza dell’azione di natura civilistica e che l’autonomia propria de giudizio volto a riconoscere o meno il diritto alla riparazione non consente al giudice della riparazione di ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudi della cognizione ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate (Sez. 4, n. 12228 del 10/01/2017 – dep. 14/03/2017, Rv. 270039; Sez. 4, n.46469 del 14/09/2018 – dep. 12/10/2018, Rv. 274350 – 01).
Nel caso in esame la Corte della riparazione, con motivazione non manifestamente illogica né contraddittoria, applicando correttamente i criteri di cui all’art. 314 cod. proc. pen., nel rispetto del principio di autonomia del processo di riparazione, ha posto l’accento su condotte del Petrosino, comunque accertate nel
processo di cognizione, per quanto ritenute prive di rilevanza penale, in termini ostativi al riconoscimento del diritto vantato.
A tanto ha proceduto la Corte della riparazione, soffermandosi sui canoni che orientano il giudizio riparatorio che divergono da quelli diretti ad accertare le responsabilità penali, nella misura in cui nel primo caso occorre verificare se le condotte del ricorrente, tanto di natura processuale che extraprocessuale, valutate ex ante, abbiano quantomeno concorso a determinare l’adozione del provvedimento restrittivo.
Nell’ordinanza impugnata, i giudici della riparazione, dopo avere posto l’accento sui fitti rapporti economici intrattenuti dalla famiglia COGNOME con denuncianti, NOME e NOME COGNOME, come documentati anche dagli esiti delle perquisizioni eseguite, hanno valorizzato, ritenendola condotta ostativa all’accoglimento dell’istanza proposta e riportandone ampi stralci in motivazione, la conversazione intercorsa tra NOME COGNOME, la figlia NOME e il dipendente delle persone offese il cui contenuto, risultava trascritto «anche nella sentenza di assoluzione», in occasione del quale «commentando il rapporto con i COGNOME, COGNOME NOME si riferiva a prestiti di denaro che aveva concesso nonostante non gli convenisse».
In particolare veniva riportato il seguente passaggio, con il quale il ricorrente non si confronta affatto se non estrapolando un frammento della conversazione che si assume registrata al fine di “incastrare” il ricorrente e i suoi familiari: «NOME ma se uno viene qua e va trovando i soldi… .io gli do i soldi per fare che cosa? Per pigliare i mille euro, gli ottocento euro, novecento euro ogni tre mesi? Che poi me li ha levati un’altra volta…. E stavano in banca, pigliavo seicento erano meglio che stavano là non mille euro al mese, ma comunque io non voglio sapere niente, voglio perdere i soldi. Se mi dà la roba». Il dipendente delle persone offese commentava «comunque come glieli avete prestate voi cioè nelle condizioni in cui glieli avete prestati voi, non glieli dava nessuno. Lo so… lo so» e Petrosino rispondeva «Però manco mi posso trovare incriminato».
La Corte della riparazione, nel prosieguo, ha posto in evidenza ulteriori passaggi del dialogo ed in specie quello in cui NOME COGNOME sosteneva che il denaro concesso in prestito apparteneva a terze persone e il commento del COGNOME il quale replicava «però sbagliate se volte andare un’altra volta là dentro a sbagliare.., loro là si mettono paura … si misero paura».
Ancora, la Corte della riparazione, riprendeva le parole del dipendente dei denuncianti «là gli avete prestato i soldi col venti per cento al mese» e la risposta del
Petrosino «ma a me non me li ha dati i soldi col venti percento al mese…. Non me li ha dati manco più perché se levo i tremila euro non me li ha dati manco più».
Il dialogo richiamato dai giudici della riparazione a pagina 4 della motivazione, non negato dai giudici di merito, per quanto ritenuto non sufficiente a pervenire ad un giudizio di responsabilità del Petrosino, è rimasto sostanzialmente incontestato dalla difesa che con esso non si è neppure confrontata, salvo limitarsi ad estrapolarne dal suo complesso una piccola porzione del tutto neutra.
Ancora, la Corte della riparazione ha posto l’accento sulla circostanza che l’ordinanza genetica era motivata, contrariamente a quanto si assume nel ricorso, non solo sulle dichiarazioni rese dalle persone offese ma sul riscontro offerto proprio dalla superiore conversazione il cui contenuto sarebbe stato confermato dal teste COGNOME che alla registrazione aveva proceduto (in proposito il provvedimento impugnato richiama le pagine 77 e seguenti della sentenza di assoluzione).
Hanno spiegato i giudici della riparazione con motivazione conforme ai principi sanciti da questa Corte che la condotta tenuta dal COGNOME, secondo una valutazione ex ante, ha contribuito ad ingenerare la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale «non potendo negarsi che il COGNOME con il suo comportamento abbia concorso a comporre, nel contesto generale delle risultanze investigative acquisite, il quadro indiziario che ha determinato l’applicazione della misura».
Analogamente il ricorso non si confronta con altro comportamento ritenuto dalla Corte della riparazione colposo e ostativo all’accoglimento dell’istanza di riparazione. A pagina 5 della motivazione è stato evidenziato come al di là della conversazione della quale sopra si è detto, ossia la vicenda – ritenuta atipica – relativa alla definizione della posizione debitoria dei Catarozzo, mediante la consegna di merce per la ristrutturazione della casa di NOME COGNOME benché il rapporto di debito/credito intercorresse tra le società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” e tutto ciò in mancanza di qualsivoglia accordo scritto.
I giudici della riparazione hanno ritenuto anche tale modalità di estinzione del debito, non sorretta da documentazione alcuna benché ricondotta a sue società, quale condotta gravemente colposa e tale da ingenerare la falsa apparenza di un illecito penale e, dunque, la adozione della misura restrittiva della libertà personale (cfr. Sez. 3 n. 36336 del 19/06/2019, Rv. 277662 – 01) Anche tale passaggio motivazionale non risulta né illogico né contraddittorio ma soprattutto non è negato dalla sentenza NOME
A fronte delle condotte individuate quali imprudenti e improntati a macroscopica leggerezza, in chiave sinergica rispetto all’emissione della ordinanza custodiale e non esclusi nella loro materialità dai giudici di merito, la Corte della riparazione, lungi
dall’obliterare argomenti che la difesa ritiene decisivi ai fini della esclusione del responsabilità, nell’autonomia di giudizio che le è propria e rammentando il “diverso oggetto del presente procedimento”, ha ritenuto non determinanti, il giudizio espresso circa l’attendibilità delle persone offese e le rilevate incongruenze tra la tempistica dei prestiti e le date di emissione degli assegni che hanno determinato l’esito assolutorio ai sensi dell’art. 530, co. 2, cod. proc. pen.
La Corte della riparazione aderendo a giurisprudenza di questa Corte ha operato un raffronto tra la condotta dell’indagato e le ragioni esposte nella motivazione della ordinanza che ha applicato la misura (Sez. 3, n. 36336 del 19/06/2019 – dep. 22/08/2019, Rv. 277662 – 01), ritenendo sussistere un sinergico collegamento tra le condotte medesima e l’adozione della misura, condotte che, come si è detto, non sono state neutralizzate né negate dalla sentenza assolutoria.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio oltre alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero dell’Economia e Finanze liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, che liquida in complessivi euro 1.000,00.
Deciso il 24 ottobre 2024
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