Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 13359 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 13359 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato in Kazakistan il 24/01/1983
contro
:
Ministero dell’Economia e delle Finanze avverso l’ordinanza del 22/01/2024 della Corte d’appello di Catanzaro
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del P.G.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Catanzaro, quale giudice della riparazione, con l’ordinanza impugnata ha respinto la domanda con la quale NOME COGNOME ha chiesto la riparazione per la custodia cautelare subita nell’ambito di un procedimento penale in ordine al reato di trasporto illegale di stranieri nel territorio dello Stat di cui all’art. 12, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, dal quale è stato definitivamente assolto.
Avverso la suddetta ordinanza, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso l’interessato, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 314 cod. proc. pen., per avere la Corte di appello valutato fatti non provati in sede di cognizione ma riferiti solo in sede di sommarie informazioni testimoniali non confermate in sede dibattimentale per sopravvenuta irreperibilità dei relativi testimoni, persone offese che avevano reso, nell’immediatezza, dichiarazioni accusatorie nei confronti del COGNOME.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Si è costituito il Ministero dell’Economia e delle Finanze, resistendo al ricorso e chiedendone la reiezione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
La Corte territoriale ha correttamente esaminato la questione sottoposta al suo esame secondo i parametri richiesti dalla disposizione di cui all’art. 314 cod. proc. pen., valutando in maniera congrua e logica, e con l’autonomia che è propria del giudizio di riparazione, la ricorrenza di una condotta ostativa determinata da dolo o colpa grave, avente effetto sinergico rispetto alla custodia cautelare subita dall’interessato.
È infatti noto che, in materia di riparazione per ingiusta detenzione, la colpa che vale ad escludere l’indennizzo è rappresentata dalla violazione di regole, da una condotta macroscopicamente negligente o imprudente dalla quale può insorgere, grazie all’efficienza sinergica di un errore dell’Autorità giudiziaria, una misura restrittiva della libertà personale. Il concetto di colpa che assume rilievo
quale condizione ostativa al riconoscimento dell’indennizzo non si identifica con la “colpa penale”, venendo in rilievo la sola componente oggettiva della stessa, nel senso di condotta che, secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit, possa aver creato una situazione di prevedibile e doveroso intervento dell’Autorità giudiziaria. Anche la prevedibilità va intesa in senso oggettivo, quindi non come giudizio di prevedibilità del singolo soggetto agente, ma come prevedibilità secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit, in relazione alla possibilità che la condotta possa dare luogo ad un intervento coercitivo dell’autorità giudiziaria. Pertanto, è sufficiente considerare quanto compiuto dall’interessato sul piano materiale, traendo ciò origine dal fondamento solidaristico dell’indennizzo, per cui la colpa grave costituisce il punto di equilibrio tra gli antagonisti interessi in campo.
Va inoltre considerato che il giudice della riparazione, per stabilire se chi ha patito la detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, co valutazione “ex ante” – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013 – dep. 25/02/2014, Maltese, Rv. 25908201). La valutazione del giudice della riparazione, insomma, si svolge su un piano diverso, autonomo rispetto a quello del giudice del processo penale, ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, COGNOME ed altri).
L’ordinanza impugnata ha fornito un percorso logico motivazionale intrinsecamente coerente e rispettoso dei principi di diritto dianzi accennati.
La Corte territoriale, valutando autonomamente il materiale probatorio utilizzato dai giudici di merito, ha fondatamente ritenuto che il comportamento del COGNOME, pur riconosciuto privo di rilevanza penale, abbia contribuito colposamente in maniera decisiva all’emissione e al protrarsi della misura cautelare.
Difatti, l’ordinanza impugnata ha evidenziato come fosse inequivocabilmente emerso dagli atti processuali che il COGNOME venne trovato a breve distanza dal luogo in cui furono recuperati i migranti, con abiti tecnici da navigazione bagnati, in possesso di un dispositivo GPS, di razzi luminosi, di un coltello a scatto e di
un’agenda contenente appunti riguardanti le istruzioni sulla conduzione dell’imbarcazione. A ciò si sono aggiunte le dichiarazioni dei migranti, che avevano individuato nell’odierno ricorrente lo scafista; tali dichiarazioni, sebbene inutilizzabili in sede di cognizione ex art. 526, comma 2, cod. proc. pen., sono utilizzabili per dimostrare la sussistenza del dolo o della colpa grava ostativi alla riparazione, dovendo la condotta dell’indagato essere vagliata, ai fini che qui rilevano, tenendo conto degli elementi legittimamente considerati dal giudice della cautela (cfr. Sez. 4, n. 40281 del 23/05/2019, COGNOME Rv. 278284 – 01).
Si tratta di elementi sulla base dei quali è stata logicamente ritenuta sussistente la condotta gravemente colposa del ricorrente, idonea a ingenerare nell’autorità giudiziaria un’apparenza di colpevolezza avente un chiaro effetto sinergico rispetto all’emissione della misura custodiale.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e quella alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente che liquida in euro mille.
Così deciso il 26 febbraio 2025
Il Cons liere estensore
Il Presidente