Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 44996 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 44996 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 04/12/1972
avverso l’ordinanza del 21/03/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Roma, quale giudice della riparazione, con l’ordinanza impugnata ha respinto la domanda con la quale NOME COGNOME ha chiesto la riparazione per la custodia cautelare subita nell’ambito di un procedimento penale in ordine al reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 309/90 dal quale è stato definitivamente assolto.
Avverso la suddetta ordinanza, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso l’interessato, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 314 cod. proc. pen.
Lamenta che la Corte territoriale abbia eluso l’obbligo di motivazione, effettuando un accertamento che non ha ad oggetto i fatti per cui si chiede la riparazione, bensì comportamenti inerenti ad un’ulteriore vicenda processuale per la quale il COGNOME è stato separatamente condannato. Deduce che l’interpretazione dell’istituto della riparazione dell’ingiusta detenzione non può essere ristretta fine al punto di determinare la violazione dell’art. 5 CEDU.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Si è costituito il Ministero dell’Economia e delle Finanze, resistendo al ricorso e chiedendone la reiezione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
La Corte territoriale ha correttamente esaminato la questione sottoposta al suo esame secondo i parametri richiesti dalla disposizione di cui all’art. 314 cod. proc. pen., valutando in maniera congrua e logica, e con l’autonomia che è propria del giudizio di riparazione, la ricorrenza di una condotta ostativa determinata da dolo o colpa grave, avente effetto sinergico rispetto all’emissione della misura custodiale nei confronti dell’interessato.
È infatti noto che, in materia di riparazione per ingiusta detenzione, la colpa che vale ad escludere l’indennizzo è rappresentata dalla violazione di regole, da una condotta macroscopicamente negligente o imprudente dalla quale può insorgere, grazie all’efficienza sinergica di un errore dell’Autorità giudiziaria, una
misura restrittiva della libertà personale. Il concetto di colpa che assume rilievo quale condizione ostativa al riconoscimento dell’indennizzo non si identifica con la “colpa penale”, venendo in rilievo la sola componente oggettiva della stessa, nel senso di condotta che, secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit, possa aver creato una situazione di prevedibile e doveroso intervento dell’Autorità giudiziaria. Anche la prevedibilità va intesa in senso oggettivo, quindi non come giudizio di prevedibilità del singolo soggetto agente, ma come prevedibilità secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit, in relazione alla possibilità che la condotta possa dare luogo ad un intervento coercitivo dell’autorità giudiziaria. Pertanto, è sufficiente considerare quanto compiuto dall’interessato sul piano materiale, traendo ciò origine dal fondamento solidaristico dell’indennizzo, per cui la colpa grave costituisce il punto di equilibrio tra gli antagonisti interess in campo.
Va inoltre considerato che il giudice della riparazione, per stabilire se chi ha patito la detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, co valutazione “ex ante” – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013 – dep. 2014, Maltese, Rv. 25908201. La valutazione del giudice della riparazione, insomma, si svolge su un piano diverso, autonomo rispetto a quello del giudice del processo penale, ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 1996, COGNOME ed altri, Rv. 20363801).
Da questo punto di vista, l’ordinanza impugnata ha fornito un percorso logico motivazionale intrinsecamente coerente e rispettoso dei principi di diritto connessi all’istituto della riparazione.
La Corte territoriale, valutando autonomamente il materiale probatorio utilizzato dai giudici di merito, ha fondatamente ritenuto che il comportamento del COGNOME, pur ritenuto privo di rilevanza penale, LO, contribuito colposamente in maniera decisiva all’emissione della misura cautelare.
Allo scopo sono stati valorizzati specifici comportamenti del COGNOME, non esclusi dal giudice della cognizione, consistiti nell’aver custodito per conto del coindagato
COGNOME membro del sodalizio dedito al narcotraffico, ingenti quantitativi di droga nell’ambito di un’illecita attività di spaccio di stupefacenti e, altresì, nel custodir un’arma; comportamenti attestanti, in ottica riparatoria, il coinvolgimento quantomeno connivente – del richiedente nei fatti in questione, ed in particolare il suo verosimile inserimento nel contesto associativo oggetto del procedimento, come tali idonei ad indurre in errore il Giudice della cautela.
Proprio dalla consistenza di tali “contatti” del ricorrente con personaggi del sodalizio criminoso, la Corte della riparazione ha ragionevolmente reputato come il COGNOME abbia, .con grave imprudenza, contribuito a dare causa alla misura cautelare subita, trattandosi di situazioni atte a determinare interventi coercitivi dell’Autorità.
In questa prospettiva, va qui ribadito che, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, integra la condizione ostativa della colpa grave la condotta di chi, nei reati associativi, abbia tenuto comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità al sodalizio criminale (Sez. 4, n. 49613 del 19/10/2018, Rv. 273996 01).
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Il ricorrente, quale parte soccombente, va anche condannato alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità in favore del Ministero resistente, liquidate in mille euro.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dal Ministero resistente, che liquida in euro mille.
Così deciso il 19 novembre 2024
Il Consigli GLYPH estensore
Il NOME