Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 2039 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 2039 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 16/10/2024
SENTENZA
Ag2s2, GLYPH e ui-b1,2, sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nata a ROMA il 11/11/1999
avverso l’ordinanza del 25/01/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, COGNOME udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria dell’avv. NOME COGNOME del foro di Roma, che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile, o in subordine che venga rigettato;
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RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 25 gennaio 2024 la Corte di appello di Roma ha accolto la domanda formulata da NOME COGNOME per la riparazione dovuta ad ingiusta sottoposizione alla misura cautelare della custodia in carcere (prima) e degli arresti domiciliari (poi) dal 12 ottobre 2020 – data in cui veniva tratta in arresto – al marzo 2021 – data in cui veniva rimessa in libertà, per poi essere definitivamente assolta dall’addebito con sentenza emessa dal Tribunale di Roma in data 17 maggio 2021 (irrev. 16 settembre 2021).
La misura cautelare nei confronti della COGNOME fu disposta in quanto gravemente indiziata, insieme all’allora compagno NOME COGNOME, del concorso nella detenzione di ingenti quantità di hashish (kg 28.192) e marijuana (kg 17,991), già suddiviso in porzioni e destinato alla cessione a terzi.
1.1. Più in particolare, l’ordinanza impugnata ha escluso, in capo alla COGNOME, la colpa grave di cui all’art. 314, comma 1, cod. proc. pen., osservando che la sua frequentazione con il COGNOME non si era tradotta nella costante coabitazione nel luogo in cui era stato custodito il narcotico.
La donna, in realtà, dormiva presso quella abitazione solo in alcuni giorni della settimana e, pur confermando di sapere dello stupefacente, aveva più volte cercato di dissuadere il compagno.
La condotta complessivamente tenuta, rivelatasi da subito collaborativa, è stata ritenuta non ostativa alla riparazione.
Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con un unico motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale penale (art. 314 cod. proc. pen.), e vizio della motivazione.
I giudici della riparazione sono incorsi in errore nel non ritenere gravemente colposa la condotta del ricorrente, in quanto la giurisprudenza di legittimità, pur richiedendo una particolare connotazione della negligenza o imprudenza, ha sostenuto che forme di connivenza e contiguità possono ben integrare quel comportamento ostativo alla riparazione.
Nel caso in esame, la COGNOME, nonostante fosse consapevole dell’attività illecita condotta dal compagno (e dei connessi regolamenti di conti con soggetti intranei a quei traffici), si tratteneva presso la sua abitazione ripetutamente, senza dissociarsi.
Anzi, all’arrivo della polizia apriva la porta solo dopo 15 minuti, così ingenerando nell’autorità la falsa apparenza del suo coinvolgimento nella detenzione del narcotico.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Essendo stata dedotta una ipotesi di c.d. ingiustizia sostanziale, è compito del giudice della riparazione valutare se l’imputato, con una condotta gravemente negligente o imprudente, abbia colposamente indotto in inganno l’autorità giudiziaria in relazione alla sussistenza dei presupposti per l’adozione di una misura cautelare.
In tal modo la connotazione solidaristica dell’istituto viene quindi ad essere contemperata in rapporto al dovere di responsabilità gravante su tutti i consociati.
2.1. Questa Corte, nella sua più autorevole composizione, ha più volte ribadito che il giudice della riparazione deve procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze processuali rispetto al giudice penale.
Ciò in quanto è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione” (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203638 – 01; conf., Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, Rv. 222263 – 01).
La valutazione deve essere effettuata ex ante, e ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo, ed è volta a verificare, seppur in presenza di un errore dell’autorità procedente: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663).
2.2. Nel caso in esame la Corte distrettuale ha ritenuto che la condotta della COGNOME non avesse contribuito ad ingenerare la rappresentazione di un agire illecito.
Il giudice della riparazione ha messo in evidenza la relazione sentimentale esistente al tempo con il COGNOME, da cui era derivata una presenza frequente (ma non costante) nel luogo in cui veniva custodito il narcotico.
Non si è invece intrattenuto, come avrebbe dovuto, sulle circostanze di fatto che hanno caratterizzato l’intervento dei carabinieri presso l’abitazione del Farenga, né sulla condotta tenuta in quel frangente dalla Vernarecci.
Per quest’ultimo profilo la Corte territoriale (pp. 5 e 11 provvedimento impugnato), nell’escluderne il carattere ostativo, ha ritenuto che il tempo trascorso prima dell’apertura della porta all’arrivo delle forze dell’ordine potesse essere dipeso dalla paura ingenerata dall’aggressione in precedenza patita dal compagno.
Aggressione di cui aveva avuto notizia per il tramite di una amica, che in un primo momento era con lei nell’appartamento dove era custodito il narcotico, ma che successivamente si allontanò, così incontrando all’ingresso i carabinieri che già avevano iniziato insistentemente a citofonare.
Ciò posto, osserva il Collegio che la colpa che vale ad escludere l’indennizzo è rappresentata dalla violazione di regole, da una condotta macroscopicamente negligente o imprudente dalla quale può insorgere, grazie all’efficienza sinergica di un errore dell’autorità giudiziaria, una misura restrittiva della libertà personale.
Tuttavia, e diversamente da quanto ritenuto nel provvedimento impugnato, il concetto di colpa che assume rilievo quale condizione ostativa, secondo il costante insegnamento di questa Corte, non si identifica con la “colpa penale”, venendo in rilievo la sola componente oggettiva della stessa, nel senso di condotta che, secondo il parametro dell’id quod plerumque accidit, possa aver creato una situazione di prevedibile e doveroso intervento dell’autorità giudiziaria (Sez. 4, n. 44997 del 19/11/2024, Marino, non mass.; Sez. 4, n. 41209 del 9/07/2024, Terlizzi, non mass.; Sez. 4, n. 37752 del 26/09/2024, Balilla, non mass.; Sez. 4, n. 28243 del 16/12/2021, dep. 2022, Cosmo, non mass.), pur se tesa, in concreto, al perseguimento di altri risultati.
Anche il giudizio sulla prevedibilità – mancato nell’ordinanza impugnata – va formulato con criterio ex ante, ed in una dimensione oggettiva, quindi non come giudizio di prevedibilità del singolo soggetto agente, ma come prevedibilità secondo il parametro della comune esperienza, in relazione alla possibilità che la condotta possa dare luogo ad un intervento coercitivo dell’autorità giudiziaria.
È sufficiente, pertanto, analizzare quanto compiuto dalla richiedente sul piano materiale, traendo ciò origine dal fondamento solidaristico dell’indennizzo, per cui la colpa grave costituisce il punto di equilibrio tra gli antagonisti interes in campo.
Si tratta di principi ai quali l’ordinanza impugnata, escludendo la condizione ostativa in ragione del “plausibile timore” della richiedente, non si è attenuta.
Il giudice della riparazione, quindi, valutate tutte le circostanze del caso concreto, che caratterizzarono l’intervento della polizia giudiziaria ed il comportamento della COGNOME, dovrà verificare se, secondo la comune esperienza, la sua condotta abbia potuto, o meno, dar luogo al prevedibile (seppur non voluto) intervento dell’autorità.
In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti relative al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma, cui demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, 17 ottobre 2024
Il Consi ‘ere estensore
Il Prei.nte