Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 4355 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 4355 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CADEO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 14/01/2020 della CORTE APPELLO di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’Appello di Catanzaro ha accolto la richiesta di riparazione ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen. presentata nell’interesse di NOME COGNOME con riferimento alla detenzione da costui subita (in stato di custodia cautelare in carcere dal 3.03.2010 al 28.04.2010 e in regime di arresti domiciliari dal 29.04.2010 al 18.06.2010) in un procedimento penale, nel quale gli erano stati contestati il reato di cui all’art. 416 cod. pen, ed il reato di cui all’art. 25, comm 2, legge 9 luglio 1990 n. 185 in relazione ad operazioni di fornitura militare al governo iraniano. GLYPH COGNOME era stato prosciolto con sentenza del 25.11.2013 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Como in ordine al reato di cui all’art. 25 della leggetn.185/1990 e assolto con sentenza del 19.06.2018 del Tribunale di Como in ordine al delitto di cui all’art. 416 cod. pen.: entrambe le sentenze erano divenute irrevocabili.
La Corte della riparazione ha accolto la domanda, liquidando la somma di euro 19.402,56, calcolata con il computo aritmetico, per il periodo di privazione della libertà personale, la somma di euro 6.4676 per il danno morale e la somma di euro 150.000,00 a titolo equitativo a titolo di ristoro patrimoniale, per un totale di 175.870,08 euro.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso COGNOME, a mezzo del difensore, formulando un unico motivo, con cui ha dedotto il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento del danno così come richiesto. Il difensore osserva che la Corte aveva correttamente applicato i principi di diritto per affermare la sussistenza del diritto all’indennizzo, ma non altrettanto correttamente aveva applicato i criteri di quantificazione e valutato le voci richieste.
In particolare, il difensore contesta le voci di danno utilizzate per quantificare il danno equitativo subito e direttamente derivante dalla ingiusta detenzione. Dopo che nell’istanza era stata ampiamente indicata e documentata l’intera gamma dei danni materiali subiti in conseguenza della indebita detenzione (ovvero oltre alla perdita della commissione da parte di RAGIONE_SOCIALE, anche l’interruzione dei contratti con RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, la revoca del Nulla Osta Sicurezza), la Corte si era limitata a dare rilievo solo alla perdita della commissione e non anche a tutte gli altri rapporti contrattuali cessati. Inoltre, la Corte della riparazione non si era soffermata sulla dettagliata memoria depositata da COGNOME all’udienza con cui aveva quantificato l’indennizzo a lui spettante in euro 2.256.268,78.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
In data 16 novembre 2023 è pervenuta memoria dell’Avvocatura Generale dello Stato per il Ministero resistente con cui si è chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile, ovvero sia rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
La censura formulata con il ricorso è incentrata sulla quantificazione dell’indennizzo riconosciuto dalla Corte di Appello in conseguenza della detenzione ingiusta subita da COGNOME, ritenuta dal ricorrente non congrua rispetto alle allegazioni documentali con cui sarebbero state dimostrate le perdite economiche subite dalla società RAGIONE_SOCIALE, operante nel settore delle telecomunicazioni e del broadcasting televisivo, fin dal 1983.
L’art. 315 cod. proc. pen., relativo alla procedimento per la riparazione, a proposito della determinazione dell’indennizzo, si limita a stabilire che l’entità della riparazione non può, comunque, eccedere la somma di euro 516.456, 90 e a richiamare, in quanto compatibili, GLYPH le norme sulla riparazione dell’errore giudiziario di cui agli artt. 643 e ss cod. proc. pen. e, dunque, anche la previsione per cui la riparazione deve essere commisurata alla durata della eventuale espiazione della pena (ovvero della privazione della libertà personale) e alle conseguenze personali e famigliari derivanti dalla condanna.
3.1.1 principi fondamentali, cui aver riguardo nella determinazione dell’indennizzo dovuto a colui che abbia subito una detenzione ingiusta, sono stati chiariti da due pronunce rese dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U. n. 1 del 13/01/1995, Rv. 201035 e Sez. U. n. 24287 del 09/05/2001, Rv. 218975), alla cui stregua la liquidazione deve essere effettuata con criteri equitativi che postulano, ai fini dell’entità della riparazione, la valutazione congiunta dei criteri della durata della custodia cautelare sofferta e delle conseguenze derivanti dalla privazione della libertà. La liquidazione va effettuata tenendo conto del parametro aritmetico costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo fissato dall’art. 315, comma 2, cod. proc. pen. e il termine massimo della custodia cautelare pari a sei anni ex art. 303, comma 4, lett.c) espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta detenzione subita. L’importo così ottenuto deve essere opportunamente integrato dal giudice, innalzando o riducendo il risultato di tale calcolo numerico nei limiti dell’importo massimo indennizzabile (euro 516.456,90), per rendere la decisione più equa possibile e rispondente alla specificità, positiva o negativa, della
situazione concreta, sulla base evidentemente delle allegazioni effettuate dal soggetto istante nel giudizio di riparazione.
3.2. La giurisprudenza ha, indi, chiarito che i giudici, nella liquidazione della riparazione, possono fare ricorso al criterio equitativo, in luogo di quello aritmetico, nei casi in cui la perdita della libertà abbia avuto effetti devastanti e le conseguenze famigliari e personali abbiano assunto rilievo preponderante rispetto alla durata della custodia cautelare, con danni che il criterio aritmetico non si presta a indennizzare in maniera soddisfacente (ex multis, Sez. 4 n. 32891 del 10/11/2020, Di Domenico, Rv. 280072; Sez 4 n. 18361 del 11/01/2019, Piccolo, Rv. 276259; Sez 4 n. 3912 del 5/12/2013′ dep. 2014, COGNOME, Rv. 258833).
Ne consegue che, ferma restando la cifra massima stabilita dalla legge in euro 516.456,90, il giudice della riparazione può discostarsi dall’ann montare giornaliero valorizzando lo specifico pregiudizio, patrimoniale e non patrimoniale, derivante dalla restrizione della . libertà dimostratasi ingiusta, purché dia conto in maniera puntuale e corretta dei parametri di riferimento e degli elementi da cui emerga un effetto lesivo maggiore, rispetto alle ricorrenti e fisiologiche conseguenze derivanti dalla privazione della libertà (Sez. 4 n. 21077 del 01/04/2014, Silletti, Rv 259237).
L’effetto lesivo maggiore può essere rappresentato dal danno alla salute, anche sub .specie di salute psichica (Sez. 3, n. 15665 del 10/03/2011, Min. Economia e Finanze, Rv. 250004 secondo cui “in materia di riparazione per ingiusta detenzione, le ripercussioni psichiche da quest’ultima derivanti vanno autonomamente indennizzate solo ove diano luogo ad un danno alla salute ossia ad una lesione psichica permanente, diversamente restando ricom prese nella determinazione dell’indennizzo in base al calcolo aritmetico); dal danno economico determinato dalla perdita dell’attività lavorativa e dalla difficoltà di reinserimento (Sez. 4 n. 131 del 28/01/1993, Ministro del Tesoro in proc. Grasso Rv. 193382); dal danno creato dal clamore mediatico (Sez. 4, n. 39773 del 06/06/2019, COGNOME, Rv. 277510; Sez. 3, n. 17408 del 30/03/2023, COGNOME, Rv. 284496 secondo cui “ai fini della configurabilità dello “strepitus fori” di cui tener conto nella liquidazione dell’indennizzo, è necessario che le doglianze fatte valere in ordine alle conseguenze personali siano non solo allegate, ma circostanziate e corroborate da elementi che inducano a ritenere la fondatezza di un rapporto con la carcerazione subita).
In coerenza con l’obbligo della motivazione da parte della Corte della riparazione in ordine alla determinazione dell’indennizzo in via equitativa, si è affermato che il controllo sulla congruità della somma liquidata è sottratto al giudice di legittimità, che può verificare solo se il giudice abbia logicamente motivato il suo convincimento ed abbia utilizzato criteri non manifestamente
arbitrari (Sez. 4 n. 27474 del 02/07/2021, COGNOME, Rv. 281513 Sez 4 n. 18361 del 11/01/2019, Piccolo, Rv 276259; Sez 4 n. 10690 del 25/02/2010, COGNOME, Rv 246424).
Deve, in ogni caso, ribadirsi, che l’onere della motivazione da parte del giudice della riparazione delle ragioni poste a fondamento del danno liquidato in misura diversa e maggiore rispetto a quella risultante dal mero calcolo aritmetico, è strettamente collegato all’onere incombente sul richiedente la riparazione di fornire idonea documentazione atta a suffragare l’entità dei danni: tanto più puntuale è l’indicazione da parte del soggetto istante dei danni subiti e precisa l’allegazione di documenti che valgano a riscontrare i danni nel loro ammontare, tanto più la Corte è tenuta ad una rigorosa disamina di tali allegazioni e a dare compiuta giustificazione delle determinazioni assunte.
4. Nel caso in esame il percorso argomentativo adottato nella ordinanza impugnata appare rispettoso di detti principi. I giudici hanno spiegato che era stato documentato il danno patrimoniale e il nocumento subito da RAGIONE_SOCIALE a causa della carcerazione di COGNOME, da cui era originata una spirale negativa e una sostanziale inattività. Tuttavia -hanno proseguito i giudici-, non essendo stati prodotti i bilanci della società, o almeno quello dell’ultimo anno precedente i fatti di cui è processo, e considerando anche la perdita della commessa da parte dei RAGIONE_SOCIALE (della quale, peraltro, non si conosceva l’importo per l’anno 2010, ovvero per l’anno di interesse), la stima dell’ammontare di tale danno non poteva che essere effettuata con criterio equitativo: si doveva, pertanto, liquidare, sulla base delle fatture in atti e della documentazione prodotta, a titolo di danno patrimoniale la somma di euro 150.000,00.
4.1.La Corte di Appello di Milano ha dato conto, indi, con motivazione stringata, ma pur sempre sufficiente e non manifestamente illogica, delle ragioni poste alla base della determinazione della somma liquidata a titolo di ristoro patrimoniale.
Contrariamente a quanto indicato nel ricorso, ha tenuto conto della interruzione di tutti i rapporti commerciali intrattenuti da RAGIONE_SOCIALE, prima dell carcerazione di COGNOME, e non solo di quelli cori RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ma ha spiegato che, non essendo dato sapere quali fossero gli introiti della società fino a quel momento, la quantificazione del danno poteva essere stimata solo sulla base di una valutazione equitativa. Sotto tale profilo, il richiamo alla mancata allegazione da parte del ricorrente dei bilanci della società o quanto meno del bilancio dell’anno antecedente al periodo della carcerazione appare pertinente, posto che solo attraverso la verifica dell’andamento degli affari, antecedente alla detenzione,
sarebbe stato possibile individuare le perdite subite dalla società per la inattività prodottasi a seguito dell’arresto di COGNOME e del conseguente clamore.
Il ricorrente lamenta che la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto delle copiose produzioni documentali allegate alla richiesta indennitaria. Si tratta di rilievo infondato: dette produzioni (allegate anche al ricorso in esame), per quanto voluminose, valgono a dimostrare, in via generale, che NOME godeva della fiducia delle istituzioni del paese e che la sua società era sempre stata un punto di riferimento delle più importanti reti televisive, ma non contengono alcuna indicazione da cui possa ricavarsi, nello specifico, quali fossero stati gli importi delle varie commesse non rinnovate e quali fossero state le perdite effettive subite a seguito della vicenda giudiziaria.
5.AI rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione nei confronti del Ministero resistente delle spese di questo giudizio di legittimità, che si stima congruo liquidare in euro mille.
P . Q. M.
Rigetta il ricorso GLYPH e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità in favore del Ministero resistente, liquidate in euro mille,
12 dicembre 2023 Deciso in R6ma
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Salvato GLYPH
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