Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 2403 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 2403 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GENOVA il 13/10/1995
avverso l’ordinanza del 19/09/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
letta la memoria depositata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha chiesto udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, che ha chiesto il rigetto del ricorso il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte di appello di Reggio Calabria ha parzialmente accolto la domanda di riparazione per ingiusta detenzione formulata da NOME COGNOME in relazione all’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere sofferta dal 27/09/2016 sino al 18/07/2018 – data della pronuncia di assoluzione emessa dal GUP – in relazione a un’imputazione provvisoria ipotizzante i reati di tentato omicidio e ricettazione nonché delitti in materia di armi, per un periodo complessivo di restrizione pari a 719 giorni,
In punto di fatto, la Corte ha premesso che il ricorrente era stato accusato di un omicidio commesso in un contesto ‘ndranghetistico e che il compendio indiziario valorizzato a suo carico era costituito da dichiarazioni di collaboratori di giustizia e da intercettazioni fra terzi conversanti, su base del quale il COGNOME era stato identificato come il soggetto che avrebbe coadiuvato il correo NOME COGNOME in occasione dell’attentato alla vittima; che la sentenza di primo grado aveva ritenuto non sussistenti elementi univoci ai fini dell’identificazione dell’imputato (in relazione a un conversazione captata tra terzi che aveva esaltato le doti di “pistolero dell’istante) e che l’esame dei tabulati telefonici e delle celle agganciate n aveva consentito di porre con certezza il COGNOME nella zona in cui era stato commesso l’attentato in orario compatibile con lo stesso.
Ha esposto che la sentenza di secondo grado, pur ritenendo verosimile l’identificazione nel Provenzano del soggetto indicato nella conversazione tra terzi, aveva ritenuto che il riferimento non potesse essere operato rispetto all’azione ascritta ma a diverso contesto fattuale; pure evidenziando la non congruità degli ulteriori elementi probatori.
La Corte d’appello, quale giudice adito ai sensi dell’art.315 cod.proc.pen., ha quindi rilevato come, anche sulla base delle argomentazioni contenute nelle sentenze di assoluzione, non sussistesse l’elemento ostativo rappresentato dalla colpa grave dell’imputato o comunque profili di colpa idonei a incidere sull’entità dell’indennizzo.
Peraltro, la Corte territoriale ha ritenuto che l’indennizzo dovesse essere liquidato sulla base dello stretto parametro aritmetico, in ragione di C 235,82 per ogni giorno trascorso in stato di custodia cautelare in carcere; ritenendo non sussistessero i presupposti per una liquidazione di importo maggiore, in riferimento ad asseriti e ulteriori danni, essendo i pregiudizi segnalat connaturati alla restrizione imposta; ha quindi determinato l’indennizzo dovuto nella misura di C 169.554,58 (C 253,82 x 719).
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite i propri difensori, articolando un unitario motivo di impugnazione, nel quale ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione ed erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art.314 cod.proc.pen. e comunque la contraddittorietà ovvero manifesta illogicità della motivazione.
Ha dedotto che la Corte territoriale, nell’attenersi al mero criterio aritmetico, non avrebbe tenuto conto di una serie di elementi ulteriori univocamente indicati nel ricorso introduttivo; in particolare, ha evidenziato che il ricorso aveva fatto riferimento al dato rappresentato dalla pregressa assunzione del ricorrente, a tempo determinato, presso la RAGIONE_SOCIALE, dalla quale era stato poi licenziato subito dopo l’emissione del provvedimento cautelare; ha altresì dedotto, in ordine all’elemento dello stepitus fori, di avere dimostrato – mediante l’allegazione di una pagina di un quotidiano locale – il clamore suscitato dalla notizia dell’arresto; ha quindi ritenuto non condivisibile la valutazione della Corte, nella parte in cui aveva ritenuto che tali elementi ulteriori di pregiudizio potessero essere considerati come meramente connaturati alla detenzione subìta, aggiungendo che il giudice della riparazione non aveva tenuto adeguatamente conto della giovanissima età dell’istante (19 anni) al momento della restrizione cautelare.
Il Procuratore generale ha presentato requisitoria scritta nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato memoria, nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Con l’unitario motivo di impugnazione, il ricorrente ha contestato la valutazione della Corte territoriale in ordine alla determinazione del quantum dell’indennizzo riconosciuto, ritenendo che il giudice della riparazione non abbia tenuto conto di alcuni specifici pregiudizi richiamati nell’istanza introduttiva e derivanti dalla restrizione subìta.
Il motivo è fondato.
2.1 A tale proposito deve essere premesso in termini generali che l’equa riparazione per ingiusta detenzione non ha carattere risarcitorio, in quanto l’obbligo dello Stato non nasce da un’obbligazione per fatto illecito ma da solidarietà verso la vittima di un’indebita custodia cautelare; con la conseguenza che il suo contenuto, pertanto, non è la rifusione dei danni materiali, intesi come diminuzione patrimoniale o lucro cessante, ma – nel limite stabilito dall’art.315, comma 2, cod.proc.pen. – la corresponsione di una somma che, tenuto conto della durata della custodia cautelare, valga a compensare l’interessato delle conseguenze personali di natura morale, patrimoniale, fisica e psichica, che la custodia cautelare abbia prodotto (Sez. U, n. 1 del 06/03/1992, COGNOME Rv. 191147; in senso analogo, Sez. U, n.24287 del 09/05/2001, COGNOME, RV. 218975).
In tale indirizzo si inserisce anche Cort Cost., 30/12/1997, n.446, secondo la quale l’esborso cui lo Stato è tenuto si configura su un fondamento squisitamente solidaristico e non come risarcimento del danno, quale misura riparatoria per l’ingiustizia obiettiva della lesione.
2.2 Sul punto, va altresì richiamato il consolidato principio in forza del quale, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, il riferimento al criterio aritmetico – che risponde all’esigenza di garantire un trattamento tendenzialmente uniforme, nei diversi contesti territoriali – non esime peraltro il giudice dall’obbligo di valutare le specificità, positive o negative, di ciascun caso e, quindi, di integrare opportunamente tale criterio, innalzando ovvero riducendo il risultato del calcolo aritmetico per rendere la decisione più equa possibile e rispondente alle differenti situazioni sottoposte al suo esame (Sez. 4, n. 32891 del 24/11/2020 (Ud. 10/11/2020 n. 10920) Rv. 280072, specificamente resa in fattispecie in cui la Corte ha annullato l’ordinanza impugnata con la quale il giudice distrettuale aveva provveduto alla liquidazione dell’indennizzo utilizzando, quale unico parametro idoneo a compensare tutti gli effetti derivanti dall’ingiusta detenzione, il solo criterio aritmetico, senza un adeguato approfondimento motivazionale in merito alla perdita di chanches lavorative, sebbene adeguatamente provata; in senso conforme, Sez. 3, n. 9486 del 16/02/2024, J., Rv. 286028).
Specificamente, nella parte motiva di tale pronuncia, questa Corte ha rilevato che, in considerazione della struttura del procedimento di riconoscimento della riparazione e della sua sottoposizione al principio della domanda, sussiste «il dovere del giudice di prendere in esame tutte le allegazioni della parte in merito alle conseguenze della privazione della libertà personale e, dunque, di esaminare se si tratti di danni causalmente
correlati alla detenzione e se sia stata fornita la prova, anche sulla base de fatto notorio o di presunzioni, di dette conseguenze».
Nel caso di specie, deve quindi rilevarsi che la Corte distrettuale ha fatto riferimento esclusivo al solo criterio aritmetico senza neanche valutare – ai fini della richiesta personalizzazione dell’indennizzo – gli atti allega all’istanza, a propria volta facenti riferimento ai pregiudizi specifici derivant (sul piano reddituale) dall’intervenuta risoluzione del rapporto lavorativo già intrattenuto dall’istante nonché a quelli conseguenti al c.d. strepitus fori.
Specificamente, in ordine al danno all’immagine derivante dal cosiddetto strepitus fori, occorre che la diffusione della notizia esorbiti dalle comuni modalità di informazione, connotandosi sia per la capacità di raggiungere un largo pubblico, sia per l’assertività della notizia nel senso della responsabilit penale dell’interessato, con la conseguenza che nelle realtà di piccole dimensioni è necessario che l’ingiusta detenzione abbia una durata tale da indurre nel pubblico il convincimento dell’effettivo coinvolgimento dell’interessato (Sez. 4, n. 2624 del 13/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275193), essendo necessario che le doglianze fatte valere in ordine alle conseguenze personali siano non solo allegate, ma circostanziate e corroborate da elementi che inducano a ritenere la fondatezza di un rapporto con la carcerazione subita (Sez. 3, n. 17408 del 30/03/2023, COGNOME, Rv. 284496).
Deve quindi rilevarsi che, nel caso di specie, la Corte territoriale si è limitata a operare un tautologico riferimento alla non riconoscibilità di danni ulteriori – essendo i pregiudizi allegati da ritenersi strettamente conseguenti alla detenzione applicata – senza operare il dovuto esame nel merito delle allegazioni attinenti alla richiesta di riconoscimento di una somma maggiorata rispetto a quella derivante dall’applicazione del mero criterio aritmetico.
Sulla base delle predette considerazioni, l’ordinanza impugnata va, quindi, annullata con rinvio alla Corte di Appello di Reggio Calabria, affinché, previa valutazione delle specificità del caso di specie, secondo i principi fin qui richiamati, valuti l’opportunità di integrare o meno il risultato del calcol aritmetico per rendere la decisione più equa possibile.
Al giudice del rinvio va altresì rimessa la regolamentazione delle spese tra le parti di questo giudizio di legittimità.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Reggio Calabria, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti di questo giudizio di legittimità.
Così deciso il 9 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
La Presidente