Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20659 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20659 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/04/2025
SENTENZA
sul ricorso di COGNOME NOMECOGNOME nato a Mesagne il 07/06/1972, avverso l’ordinanza in data 16/12/2024 della Corte di appello di Lecce, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, letta per il Ministero dell’Economia e delle Finanze la memoria dell’avvocato dello Stato NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, letta per il ricorrente la memoria dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 16 dicembre 2024 la Corte di appello di Lecce, decidendo in seguito alla sentenza di annullamento con rinvio della Sezione Quarta n. 20217 del 13/02/2024, ha rigettato l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione presentata da NOME COGNOME in relazione al periodo di restrizione in carcere dal 9 maggio 2012 al 21 giugno 2013 per la partecipazione
Cwt-j
all’associazione mafiosa della Sacra Corona Unita e per l’episodio di estorsione aggravata dalla mafia ai danni di un ristoratore pugliese, NOME COGNOME.
Il ricorrente eccepisce la violazione di legge e il vizio di motivazione perché la Corte di appello di Lecce non aveva seguito i criteri interpretativi dettati dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento con rinvio e aveva ripetuto una motivazione basata su “semplici elementi di sospetto”.
Evidenzia che gli accertamenti istruttori disposti all’udienza del 28 ottobre 2024 non avevano apportato alcun contributo utile a connotare la condotta come dolosa o colposa e, anzi, gran parte delle circostanze emerse dalla predetta integrazione erano fallaci e erroneamente richiamate, quindi inidonee a fondare un rimprovero di negligenza, imprudenza o macroscopica leggerezza della condotta tenuta; la condanna riportata nel 2002 non poteva essere considerata eziologicamente rilevante ai fini della valutazione della colpa; vi era stata l’assoluzione dal reato associativo ed era stata accertata la natura privatistica del prestito richiesto a COGNOME era inconferente il richiamo alla condanna per il reato associativo perché il titolo custodiale era stato emesso sulla base di una presunzione assoluta di adeguatezza della detenzione in carcere in relazione ad altro delitto associativo da cui era stato assolto per assenza di riscontri esterni alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia; i precedenti penali, pur potendo concorrere a delineare un ritratto poco edificante, si sottraevano al rapporto causa-effetto tale da determinare la falsa apparenza della configurabilità della condotta tenuta quale illecito penale perché afferivano al trattamento sanzionatorio e, al limite, al procedimento di prevenzione, entrambi autonomi e ontologicamente distinti.
Contesta la rilevanza del dato della misura di prevenzione personale del 2003 e ricorda che dieci anni dopo era stata rigettata la richiesta di applicazione di un’ulteriore misura di sorveglianza speciale. Precisa che la richiesta del prestito a COGNOME era avvenuta quando già era cessata la misura di prevenzione e ne richiama in suo favore le dichiarazioni. Aggiunge che non era stata possibile la restituzione della somma di denaro a causa della restrizione in carcere. Afferma, più in generale, che l’ordinanza era affetta dal pregiudizio per la sua presunta nnafiosità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato.
Nella sentenza rescindente, la Corte di cassazione ha censurato l’operato del giudice della riparazione perché a) aveva fondato il rigetto dell’istanza sulla chiamata in correità del collaboratore di giustizia «in assenza di un’adeguata
contestualizzazione dello stesso con le originarie contestazioni mosse al prevenuto ed alle valutazioni operate dai giudizi di merito per escluderne la valenza indiziante»; b) aveva omesso di considerare che già in sede cautelare era stata esclusa la gravità indiziaria del reato di estorsione; c) aveva omesso di valutare il contributo sinergico del cautelato per colpa; d) non aveva separato «i diversi piani di giudizio della ricorrenza di gravi indizi di reato ai fini della adozione della misu cautelare, piano del tutto estraneo al presente giudizio riparatorio, rispetto a quello di una condotta colposa riferibile allo Stranieri che avrebbe concorso sinergicamente alla adozione della misura»; e) aveva «confuso il piano della cautela e delle contestazioni di cui al capo di imputazione, rispetto a quello che emerso all’esito delle varie fasi del giudizio», ove tali accuse erano risultate progressivamente private del crisma della gravità indiziaria, perché il giudice di legittimità aveva annullato senza rinvio le ordinanze del Tribunale del Riesame, per essere infine ritenute infondate all’esito del giudizio sulla responsabilità, aveva fatto coincidere «la colpa dell’indagato con lo stesso contenuto delle contestazioni originariamente formulate, quantomeno in relazione alla ipotesi di estorsione, senza considerare che già nel corso delle indagini preliminari la persona offesa aveva sostanzialmente escluso la illiceità della condotta serbata».
Nell’ordinanza rescissoria la Corte territoriale ha ripetuto i medesimi errori già censurati dalla Corte di cassazione.
La riparazione è stata negata nuovamente per il curriculum criminale dello COGNOME, condannato per associazione mafiosa fino a ottobre 2000, tentato omicidio, contrabbando, detenzione e cessione di stupefacenti e altro, e per una lettura travisata della vicenda estorsiva. Non vi è nessuna menzione di comportamenti scorretti o imprudenti in relazione sinergica di causa ed effetto con la detenzione (tra le più recenti, Sez. 3, n. 39362 del 08/09/2021, Quarta, Rv. 282161 – 01) con riguardo sia al momento genetico che al mantenimento della misura. La condotta dolosa o gravemente colposa richiesta dall’art. 314 cod. proc. pen. non può essere desunta da semplici elementi di sospetto (Sez. 4, n. 10793 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278655 – 01).
La Corte territoriale non ha considerato che il ricorrente è stato condannato per la partecipazione all’associazione fino all’ottobre 2000 e che è stato sottoposto alla misura della sorveglianza speciale dal 2003 al 2007. La presunta estorsione, di cui sono stati esclusi i gravi indizi di colpevolezza fin dalla fase cautelare, risa al 2008, mentre la successiva partecipazione all’associazione mafiosa, da cui è stato assolto nel 2014, è stata contestata dal 2005 con condotta perdurante. Risulta dalla lettura delle sentenze allegate dal ricorrente che sia l’accusa di estorsione che di partecipazione all’associazione sono state formulate sulla base delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, NOME COGNOME, successivamente ritenute generiche e comunque non riscontrate. Per questo motivo, è stata
rigettata una seconda richiesta di applicazione di una misura di prevenzione personale nel 2012. La Corte territoriale ha ritenuto gravemente colposa la
condotta dello COGNOME perché, da mafioso, aveva chiesto due prestiti di euro 500
ciascuno al suo conoscente NOME COGNOME.
Su tale circostanza ha costruito un ragionamento congetturale perché non erano state adottate delle cautele nella stipula dell’accordo, che non era stato
concluso per iscritto né alla presenza di testimoni, e non era stata restituita tempestivamente la somma. La Corte territoriale non ha però tenuto in conto, e
quindi non ha spiegato, che lo COGNOME era legato al COGNOME da una ventennale conoscenza personale, che l’estorsione era stata raccontata dal Penna che aveva
raccolto le confidenze di altro sodale, che sia lo COGNOME che il COGNOME avevano parlato solo di prestito, che al momento della richiesta era stata già scontata la
pena della partecipazione alla pregressa associazione mafiosa ed era scaduta anche la misura di prevenzione, che la somma era stata restituita dopo il periodo
di restrizione in carcere.
La motivazione è quindi carente perché non è stato evidenziato alcun collegamento sinergico tra la condotta dolosa o gravemente colposa del richiedente la riparazione e i fatti di cui al titolo cautelare detentivo.
S’impone pertanto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
P.Q . M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Lecce
Così deciso, il 18 aprile 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente