Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6282 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6282 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME COGNOMECUI 04IMBDD) nato il 06/09/1987
avverso l’ordinanza del 28/05/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sulle conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Trieste con ordinanza del 28 maggio – 4 giugno 2024 ha rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata nell’interesse di NOME COGNOME che è stato ristretto in esecuzione pena per 212 giorni, ossia dal 4 luglio 2021, data di arresto in esecuzione di ordine di carcerazione emesso dalla Procura della Repubblica di Pordenone in relazione a condanna definitiva del Tribunale di Pordenone del 23 ottobre 2019 per il reato di ricettazione dell’anno 2012, sino al 1° febbraio 2022, data del decreto di sospensione della esecuzione della pena emesso dal P.M., per effetto della sentenza di rescissione del giudicato della Corte di cassazione (Sez. 2, n. 12477 del 31/01/2021, non mass.), che ha accertato essere emersa la mancata conoscenza da parte dell’imputato, senza sua colpa, del processo a suo carico, e in conseguenza ne ha ordinato la liberazione, se non detenuto per altra causa.
Nuovamente celebrato il processo per ricettazione, l’imputato è stato prosciolto per intervenuta prescrizione dal Tribunale di Pordenone con sentenza del 3 febbraio 2023, passata in giudicato.
Ciò posto, ricorre per la cassazione dell’ordinanza NOME COGNOME tramite Difensore di fiducia, affidandosi a due motivi con i quali, richiamata la struttura motivazionale del provvedimento impugnato, denunzia violazione di legge (entrambi i motivi) e difetto di motivazione (il secondo motivo).
2.1. Con il primo motivo censura violazione dell’articolo 314, commi 1 e 2, cod. proc. pen., per avere la Corte di appello – si stima, illegittimamente ritenuto che la detenzione subita dal ricorrente non sia riconducibile né alla previsione di ingiustizia sostanziale (art. 314, comma 1, cod. proc. pen.) né a quella di ingiustizia formale (art. 314, comma 2, cod. proc. pen.).
2.1.1. Si sarebbe invece, ad avviso della Difesa, in presenza di ingiustizia sostanziale, atteso che la detenzione patita è ingiusta a prescindere dalla successiva pronunzia di prescrizione, sulla quale ha fatto leva la Corte territoriale nel provvedimento reiettivo impugnato (p. 5), e ciò per due ordini di ragioni:
da un lato, in quanto l’ingiustizia della restrizione sofferta si ricollega non gi alla seconda sentenza, quella del 3 febbraio 2023, dichiarativa della prescrizione, ma alla prima, viziata dal macroscopico errore del Tribunale di Pordenone, che ha processato e condannato l’imputato in difetto dei requisiti per procedere in assenza, come accertato dalla S.C., ed al successivo ordine di carcerazione, che, seppure formalmente corretto, riflette in sostanza un titolo esecutivo affetto da nullità assoluta ed insanabile; in altre parole, secondo il ricorrente, l’ingiusti
qui non è sopravvenuta in corso di esecuzione della pena ma ha preceduto l’esecuzione, cui ha dato corso;
dall’altro, poiché la Corte di appello di Trieste, il cui provvedimento reiettiv del 14 settembre 2021 è stato travolto dalla richiamata decisione della S.C. del 31 gennaio 2021, rigettando erroneamente l’istanza di rescissione del giudicato, ha omesso di emendare l’errore e ha fatto proseguire la ingiusta privazione della libertà personale del detenuto, già ristretto da 72 giorni, per altri 140 giorni.
2.1.2. In ogni caso, ad avviso del ricorrente, la situazione di NOME COGNOME sarebbe senz’altro da ricondurre ad un caso ex art. 314, comma 2, cod. proc. pen. di ingiustizia formale della detenzione, tale essendo anche quella conseguente ad un ordine di esecuzione affetto da nullità assoluta, come appunto nel caso di specie, avendo la S.C. accertato che l’imputato, senza colpa, non ebbe conoscenza del processo celebrato a suo carico.
Si sottopone a critica l’ordinanza impugnata nella parte in cui (alla p. 5), richiamando la sentenza della Corte costituzionale n. 219 dell’11-20 giugno 2008, ritiene di dover estendere anche all’ipotesi di ingiustizia formale della detenzione il principio della limitazione dell’indennizzo, nel caso di declaratoria d prescrizione del reato, alla sola parte di custodia soverchiante la pena concretamente inflitta ovvero astrattamente applicabile al prevenuto, osservando che nel caso di specie la reclusione scontata (circa sette mesi) è ampiamente al di sotto della pena minima di due anni prevista dall’art. 648 cod. pen. per il reato di ricettazione. Al riguardo si osserva che l’orientamento giurisprudenziale richiamato dalla Corte di appello di Trieste contempla espressamente una specifica eccezione per le ipotesi di ingiustizia formale del provvedimento cautelare emesso per il reato poi dichiarato estinto per prescrizione, precisando che, qualora si accerti, con decisione irrevocabile, che la custodia cautelare è stata disposta o mantenuta illegittimamente, il diritto all’equiparazione spetta, ai sensi dell’art. 314, comma 2, cod. proc. pen., anche a colui che sia stato prosciolto per intervenuta prescrizione del reato, senza che in questo caso il periodo di restrizione indennizzabile possa subire limitazioni di sorta. Tali limitazioni riguardano – si evidenzia – solo i casi in cui l’imputato, dopo aver sofferto un periodo di custodia cautelare in carcere in forza di provvedimento formalmente giusto, in quanto emesso in presenza delle condizioni di applicabilità di cui agli artt. 273 e 280 cod. proc. pen., sia poi stato prosciolto p intervenuta prescrizione proprio da quello specifico reato in relazione al quale era stata adottata la misura cautelare. Si ritiene, dunque, essere stato violato l’articolo 314, comma 2, cod. proc. pen., essendo la detenzione nel caso in esame ingiusta ab origine, fondandosi, a ben vedere, non su un ordine di esecuzione regolarmente emesso ma su un titolo esecutivo di cui è stata Corte di Cassazione – copia non ufficiale
accertata la nullità assoluta e che la Corte di cassazione ha revocato: onde la irrilevanza della declaratoria finale di prescrizione nella seconda sentenza.
2.1.3. In subordine, il ricorrente chiede alla SRAGIONE_SOCIALE di sollevare questione di legittimità costituzionale, già vanamente sottoposta alla Corte territoriale, che la ha disattesa con la motivazione che si rinviene alla p. 4 del provvedimento impugnato, dell’art. 314, comma 2, cod. proc. pen., per violazione degli articoli 2, 3, 13, 24, 77 e 117 Cost., in relazione all’art. 5, par. 5, Convenzione EDU, nella parte in cui non riconosce l’indennizzo al soggetto che sia stato prosciolto, per qualsiasi ragione, nel giudizio conseguente alla rescissione del giudicato.
2.2. Tramite il secondo motivo si lamenta ulteriore violazione ed erronea applicazione dell’art. 314, comma 1, cod. , proc. pen. e, nel contempo, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla ritenuta sussistenza di un concorso di colpa di NOME in relazione alla detenzione subita dallo stesso, concorso di colpa che la Corte territoriale (p. 7) ha ravvisato nel mancato ritiro da parte dell’imputato della raccomandata, inviata alla residenza del destinatario in Romania, recante l’ordine di esecuzione.
Il ragionamento sarebbe illegittimo ed erroneo per una pluralità di ragioni: perché si confonde sulla natura, dolosa o colposa, di tale mancato ritiro; perché si valorizza il possibile ricordo mnemonico da parte dell’imputato di fatti – gli accertamenti preliminari della polizia giudiziaria nei suoi confro tramite identificazione e prelievo di saliva – risalenti al lontano anno 2012;
perché non spiega se mai l’imputato abbia visto la busta contenente la raccomandata, potendo, ove la abbia vista ed in conseguenza di ciò, immaginare la natura penale della comunicazione ovvero comprendere chi fosse il mittente;
perché fa leva su un argomento suggestivo, ma indimostrato (che l’imputato cioè conoscesse nel 2020, trascorsi otto anni, la sorte processuale dei coimputati accusati di furto di quel materiale – rame – per cui si procedeva nei suoi confronti per ricettazione).
Si sarebbe, quindi, in presenza di argomenti vistosamente illogici, che “si accontentano” della regolarità formale della notifica a mezzo posta ma che trascurano il punto centrale della questione, ossia che è stato accertato dalla S.C. che l’imputato non ebbe conoscenza del processo a suo carico, tanto che la sentenza di condanna è stata revocata. Il mancato ritiro della missiva sarebbe comportamento neutro e, al più, costituente mera colpa di grado lieve, ergo: irrilevante ai fini della esclusione dell’equo indennizzo.
Si chiede, dunque, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
3. Il P.G. della Corte di cassazione nella requisitoria scritta ex art. 611 cod. proc. pen. del 12 agosto 2023 ha chiesto il rigetto del ricorso.
L’Avvocatura erariale nella memoria del 4 settembre 2024, pervenuta il giorno seguente, ha a sua volta chiesto rigettarsi il ricorso; con vittoria di spese.
Il Difensore del ricorrente ha replicato con memoria depositata il 10 ottobre 2024, insistendo per l’accoglimento dell’impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato, sotto entrambi i profili denunciati (primo motivo: si sarebbe in presenza di un’ipotesi di ingiustizia sostanziale e, comunque, di ingiustizia formale; secondo motivo: sarebbe illegittimo ed erroneo il riconosciuto comportamento colposo dell’imputato nella causazione della detenzione, comportamento che sarebbe consistito nel mancato ritiro della raccomandata speditagli in Romania e contenente l’ordine di esecuzione emesso dal P.M.), e, in conseguenza, deve essere rigettato, per le seguenti ragioni.
2.Appare opportuno prendere le mosse dal seguente rilievo: nonostante si sia più volte affermato, dopo la decisione di illegittimità costituzionale dell’ar 314 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede il diritto all’equa riparazione anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo ordine di esecuzione (Corte cost., sent. n. 310 del 18-25 luglio 1996), che in tema di ingiusta detenzione il diritto alla riparazione è configurabile anche ove l’ingiusta detenzione patita derivi da vicende successive alla condanna, connesse all’esecuzione della pena, purché sussista un errore dell’autorità procedente e non ricorra un comportamento doloso o gravemente colposo dell’interessato che sia stato concausa dell’errore (con riferimento alle più recenti, tra le varie, Sez. 4, n. 42632 del 29/10/2024, Min. econ. e finanze, Rv. 287112; Sez. 4, n. 25092 del 25/05/2021, brio, Rv. 281735; Sez. 4, n. 57203 del 21/09/2017, P.G. in proc. Paraschiva ed a altro, Rv. 271689), occorre prendere atto che nel caso di specie l’ordine di esecuzione, al momento della sua emissione, era perfettamente legittimo e doveroso da parte del P.M. Soltanto all’esito di un complesso procedimento per la rescissione del giudicato si è accertata la mancata conoscenza da parte dell’imputato del processo a suo carico e ne è discesa la revoca del titolo. Nondimeno, la nuova celebrazione del processo si è conclusa con la declaratoria della prescrizione medio tempore maturata.
Ciò posto, non può accogliersi la tesi secondo cui si sarebbe in presenza di ingiustizia formale, difettando in toto nel caso di specie la sussistenza dei requisiti prescritti dal comma 2 dell’art. 314 cod. proc. pen.
Non può nemmeno ritenersi sussistente un caso di ingiustizia sostanziale indennizzabile, in quanto è stata adottata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, prescrizione alla quale l’imputato, pur potendo, non ha rinunziato; e ciò in base al noto principio secondo il quale «In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, non sussiste il diritto all’indennizzo in caso di estinzione de reato per prescrizione, amnistia o remissione della querela, salvo che la durata della custodia cautelare sofferta risulti superiore alla misura della pena astrattamente irrogabile o irrogata nel qual caso, comunque, la riparazione può essere riconosciuta soltanto per la parte di detenzione subita in eccedenza. (Conf. Corte cost. 20 giugno 2008, n. 219)» (Sez. 4, n. 1500 del 19/02/2009, Cicione e altro, Rv. 243210; in linea con l’insegnamento di Sez. U, n. 4187 del 30/10/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 241855; principio successivamente ribadito dalle Sezioni semplici, ad esempio Sez. 4, n. 22058 del 15/02/2018, Dogaru, Rv. 273264).
Il dubbio di costituzionalità che il ricorrente adombra (sub n. 2.1.3 del “ritenuto in fatto”) dell’art. 314 cod. proc. pen., alla luce degli artt. 2, 3, 13 77 e 117 Cost. e 5, par. n. 5, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nella parte in cui non riconosce l’indennizzo al soggetto che sia stato prosciolto, per qualsiasi ragione, nel giudizio conseguente alla rescissione del giudicato, è destituito di fondamento, proprio per le ragioni esposte nel provvedimento impugnato (p. 4), in quanto il procedimento, dopo la revoca della sentenza di condanna, è proseguito e si è concluso definitivamente con la declaratoria di prescrizione; né potrebbe farsi utile richiamo alla pronunzia della Corte costituzionale n. 219 del 2008 (che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 314 cod. proc. pen. nella parte in cui, nell’ipotesi di detenzione cautelar sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all’equa riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni, «secondo quanto precisato in motivazione» della stessa sentenza), non vertendosi in un caso di custodia cautelare.
Infine, le circostanze sottolineate dalla Difesa nel secondo motivo di ricorso attengono ad un ragionamento che è stato svolto dalla Corte territoriale soltanto ad adiuvandum rispetto alla motivazione principale della decisione reiettiva e risultano, comunque, irrilevanti, essendo stata accertata la intervenuta prescrizione.
Il ricorso, dunque, va rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
Nulla per le spese al Ministero resistente, che con la propria memoria non ha svolto argomenti che abbiano contribuito all’adozione della decisione.
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Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali. Nulla per le spese al Ministero resistente. Così deciso il 16/10/2024.