Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 2040 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 2040 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 16/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SANT’EGIDIO ALLA VIBRATA il 07/08/1948
avverso l’ordinanza del 27/02/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che
ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni dell’Avvocato dello Stato NOME COGNOME per il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 27 febbraio 2024 la Corte di appello di Roma ha rigettato la domanda formulata da NOME COGNOME per la riparazione dovuta ad ingiusta sottoposizione alla misura della custodia cautelare dal 19 giugno 2019 data in cui veniva tratto in arresto – al 22 ottobre 2020 – data in cui veniva rimesso in libertà, per poi essere definitivamente assolto con sentenza emessa dal Tribunale di Roma in data 22 ottobre 2020 (irrev. 16 settembre 2021).
La misura cautelare nei confronti del Casannonica fu disposta in quanto gravemente indiziato, insieme a NOME COGNOME, del concorso: a) nella detenzione di un’arma all’interno dell’abitazione sita in Roma, alla INDIRIZZO; b) nell’estorsione consumata, con metodo mafioso, nei confronti di NOME, costretto con violenza (un pugno al volto) e minaccia (con l’uso della predetta arma) a rinunciare alla complessiva somma di euro 900,00 da questi versata per anticipare due mensilità del canone di locazione relativo all’immobile sito in Roma, alla INDIRIZZO; c) nella rapina, consumata anch’essa con metodo mafioso, nei riguardi della stessa persona offesa, la quale fu costretta a consegnare loro la somma di euro 700,00, con le già viste condotte violente e minatorie.
1.1. Più in particolare, l’ordinanza impugnata ha ritenuto configurabile, in capo al Casamonica, la colpa grave di cui all’art. 314, comma 1, cod. proc. pen., poiché che costui, con il proprio comportamento, aveva colpevolmente contribuito ad indurre l’autorità giudiziaria ad intervenire nei suoi confronti, con i provvedimento restrittivo della libertà personale: gravato da numerosi precedenti specifici, il Casamonica aveva cercato di locare un immobile privo dei requisiti di legge, tenendo una condotta quantomeno ambigua; inoltre, aveva reso dichiarazioni mendaci in sede di interrogatorio.
Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con un unico motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e vizio della motivazione.
I giudici della riparazione sono incorsi in errore nel ritenere gravemente colposa la condotta del ricorrente in quanto costui, già in sede di interrogatorio, aveva indicato le ragioni per le quali non conosceva la persona offesa, riferendo circostanze vere che non Warino in alcun modo sviato le indagini, ed anzi fornendo elementi a sua discolpa.
NOME COGNOME nel momento in cui l’egiziano NOME si era recato presso la sua abitazione, era realmente all’oscuro della vicenda relativa alla locazione, in quanto la trattativa fu condotta dalla figlia NOME COGNOME.
Nessun contatto, nemmeno telefonico, era intercorso tra i due, per cui deve ritenersi del tutto errato il riferimento, contenuto nel provvedimento impugnato, ad una “condotta ambigua”.
Si osserva, infine, che anche per la coimputata NOME COGNOME il diniego alla riparazione è stato annullato con rinvio dalla Corte di cassazione (Sez. 4, n. 19647 del 13/04/2023), con argomenti che possono essere estesi anche alla posizione del Casamonica, non avendo il provvedimento impugnato indicato in che termini la condotta dolosa o colposa abbia dato causa (anche in concorso con l’errore dell’autorità giudiziaria) al provvedimento restrittivo.
Il giudizio di cassazione si è svolta con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, per le ragioni che si vanno indicando, è fondato.
Essendo stata dedotta dal COGNOME una ipotesi di c.d. ingiustizia sostanziale, è compito del giudice della riparazione valutare se l’imputato, con una condotta gravemente negligente o imprudente, abbia colposamente indotto in inganno l’autorità giudiziaria in relazione alla sussistenza dei presupposti per l’adozione di una misura cautelare.
In tal modo la connotazione solidaristica dell’istituto viene quindi ad essere contemperata in rapporto al dovere di responsabilità gravante su tutti i consociati.
2.1. Questa Corte, nella sua più autorevole composizione, ha più volte ribadito che il giudice della riparazione deve procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze processuali rispetto al giudice penale.
Ciò in quanto è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione” (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203638 – 01; conf., Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, Rv. 222263 – 01).
La valutazione deve essere effettuata ex ante, e ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo, ed è volta a verificare, seppur in presenza di un errore dell’autorità procedente: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi
l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663).
Tali comportamenti possono essere, come detto, di tipo extra-processuale (ad es., grave leggerezza o macroscopica trascuratezza tali da aver dato causa all’imputazione, violazione di legge o regolamenti) o processuale (ad es., autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi).
Il giudice della riparazione, quindi, non può ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudice della cognizione, ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate (Sez. 4, n. 46469 del 14/09/2018, COGNOME, Rv. 274350; Sez. 4, n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039; Sez. 3, n. 19998 del 20/04/2011, COGNOME, Rv. 250385 – 01).
2.2. Nel caso in esame la Corte distrettuale, in maniera tutt’altro che contraddittoria o manifestamente illogica, ha messo in evidenza due profili rilevanti ex art. 314, comma 1, cod. proc. pen., uno precedente e l’altro successivo all’emissione del provvedimento restrittivo.
NOME COGNOME gravato da precedenti specifici per reati contro il patrimonio, è risultato essere possessore di una serie di immobili in Roma privi dei requisiti necessari per poter essere locati ad uso abitativo, tra cui quello proposto alla persona offesa NOMECOGNOME il quale vi avrebbe dovuto trasferire la propria residenza.
Per tali ragioni, l’Emam, dopo aver anticipato – in contanti, per come richiestogli – la somma di euro 900, ne aveva poi inutilmente sollecitato, in più occasioni, la restituzione (come dimostrato anche dai tabulati telefonici).
Quindi, si recava presso l’abitazione del Casamonica, il quale lo faceva entrare solo dopo diversi minuti di attesa al cancello.
All’esito della discussione gli proponeva la locazione di un diverso immobile (rifiutata dall’Emam), ma nell’ambito di una più ampia operazione volta a simulare un rapporto di lavoro con la figlia, NOME
La Corte ha offerto poi la propria lettura in ordine ai profili di falsità del dichiarazioni rese dal Casamonica in sede di interrogatorio (pp. 6 e 7 provvedimento impugnato), solo genericamente contestati con il ricorso (pp. 7 e ss.), che sul punto si mostra meramente avversativo, e quindi privo di reale confronto con il provvedimento impugnato.
Profili, quelli valutati dal giudice della riparazione, riguardanti la genesi del rapporto con la persona offesa, che il ricorrente negava, falsamente, di conoscere; così come negava falsamente di aver avuto alcun ruolo nella trattativa.
In forza tali indicatori concreti, con motivazione esente da profili di contraddittorietà, la Corte della riparazione ha quindi spiegato perché la condotta del ricorrente dovesse reputarsi contrassegnata quantomeno da colpa grave: il Casamonica richiedeva un anticipo – in contanti – per la conclusione di una locazione che non avrebbe potuto essere stipulata, poiché relativa ad immobili, di cui aveva la disponibilità di fatto (ma intestati a terzi soggetti), ma che però presentavano significative anomalie, poiché non censiti in catasto e non aventi i requisiti di abitabilità.
Condotta ricostruita a prescindere dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa (ritenute inattendibili dal giudice di merito), e cioè in forza di da documentali, dall’analisi dei tabulati telefonici e dalle stesse dichiarazioni del Casamonica.
Con specifico riferimento alle dichiarazioni mendaci (come quelle rese dal ricorrente nel corso dell’interrogatorio di garanzia), questa Corte, nella sua più autorevole composizione, ha chiarito come non si sia in presenza di un fatto indifferente per l’ordinamento, che anzi può assumere rilievo ai fini dell’accertamento della sussistenza della condizione ostativa (Sez. U, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606 – 01).
Anche dopo la riforma dell’art. 314 cod. proc. pen. a opera dell’art. 4, comma 1, lett. b), d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188, il mendacio dell’indagato in sede di interrogatorio può assumere rilievo sull’accertamento della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, posto che la falsa prospettazione di situazioni, fatti o comportamenti non è condotta assimilabile al silenzio serbato nell’esercizio della facoltà difensiva prevista dall’art. 63, comma 3, lett. b), cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 24608 del 21/05/2024, F., Rv. 286587 – 01; Sez. 4, n. 30056 del 30/06/2022, D., Rv. 283453 – 01, con riguardo al comportamento reticente; Sez. 4, n. 3755 del 20/01/2022, Pacifico, Rv. 282581 – 01).
2.3. Il ricorso è invece fondato nella parte in cui lamenta l’omessa motivazione sulla rilevanza causale della condotta ritenuta ostativa alla riparazione (pp. 8 e 13).
Nell’ordinanza impugnata manca infatti ogni riferimento (che non sia meramente assertivo: pp. 5, 9) alla sussistenza, secondo un giudizio ex ante, della necessaria sinergia tra la condotta gravemente colposa e l’applicazione ed il mantenimento della misura cautelare.
La Corte territoriale, infatti, dopo aver accertato la condotta gravemente colposa del richiedente, avrebbe dovuto spiegarne il collegamento sinergico con l’intervento dell’autorità (Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, Rv. 222263 – 01; Sez. 4, n. 2895 del 13/12/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 232884 01).
Solo in tal modo è possibile scongiurare il rischio di attribuire valenza preclusiva ha condotte che, nei fatti, non hanno influito sul momento cautelare.
La Corte avrebbe dovuto, quindi, con valutazione ex ante, stabilire se tale condotta (processuale ed extraprocessuale) sia stata o meno il presupposto che ha ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268952 – 01; Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, COGNOME, Rv. 259082 – 01).
In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti relative al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma, cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, 17 ottobre 2024