Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 17454 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 17454 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a SORIANO CALABRO il 13/09/1988
avverso l’ordinanza del 25/11/2024 della CORTE ASSISE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Procuratore Generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME cha ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’Appello di Catanzaro ha rigettato la richiesta di riparazione ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., presentata nell’interesse di NOME COGNOME con riferimento alla detenzione da costui subita in un procedimento penale nel quale era stato sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere dal 9 aprile 2018 al 21 settembre 2020 (per 896 giorni).
1.1.COGNOME era stato sottoposto a misura cautelare, in quanto gravemente indiziato di due distinte fattispecie di detenzione e porto illegale di armi, aggravati ex art. 7 legge 203/91, (capi F e L) e del delitto di ricettazione dell’arma di cui al capo L (capo M).
Con sentenza del Tribunale di Vibo Valentia del 21 settembre 2020, divenuta irrevocabile il 13 febbraio 2021, COGNOME era stato assolto dai reati a lui ascritt per non aver commesso il fatto.
1.2.La Corte della riparazione ha rigettato la domanda, rilevando la sussistenza della condizione ostativa della colpa grave.
Avverso l’ordinanza, NOME COGNOME a mezzo del difensore, GLYPH ha proposto ricorso formulando un unico articolato motivo con cui ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della condizione ostativa.
In primo luogo osserva che la Corte delle riparazione aveva richiamato, in maniera impropria, gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità in ordine alla riparazione per l’ingiusta detenzione collegata alla contestazione del reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. che nel caso in esame non veniva in rilievo. Fra l’altro la Corte di appello di Catanzaro, con sentenza depositata in data 7 settembre 2024, a seguito dell’annullamento con rinvio di altra precedente sentenza da parte della Corte di Cassazione, aveva escluso per tutti gli imputati l’aggravante mafiosa di cui all’art. 416 bis 1 cod. pen.
Inoltre la Corte, in ordine al reato di cui al capo F) (detenzione di armi), aveva dato rilievo alle intercettazioni ambientali da cui era emerso un appostamento effettuato da COGNOME e NOME COGNOME, finalizzato a perpetrare l’omicidio di NOME COGNOME o di altri componenti della famiglia COGNOME, ma non aveva considerato che la sentenza assolutoria aveva ritenuto indimostrata la circostanza che COGNOME e COGNOME si fossero appostati per realizzare l’intento criminoso. Con riferimento ai capi L) e M), la Corte aveva fatto riferimento ad altra intercettazione, in cui lo stesso COGNOME chiedeva a COGNOME se fosse stato portato il fucile, e al rinvenimento dell’arma, appena tre giorni più tardi, a 200 metri dalla INDIRIZZO, ove si era recato COGNOME, ma non aveva
considerato che dalla lettura completa della conversazione emergeva come il coimputato NOME avesse utilizzato un linguaggio colorito, frutto di millanteria.
La sentenza assolutoria aveva escluso che COGNOME avesse avuto la consapevolezza dell’intento omicidiario dei correi e la Corte non aveva spiegato in che senso la condotta di COGNOME fosse stata causale o concausale rispetto all’adozione della misura cautelare.
Conclusivamente il difensore osserva che la Corte aveva individuato la condizione ostativa in condotte descritte in modo vago e non supportate da elementi di prova.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto rigettarsi il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
2.La Corte della riparazione ha ritenuto configurabile in capo al soggetto istante una condotta gravemente colposa, sulla base del contenuto di alcune conversazioni registrate nel corso delle operazioni di intercettazione.
Con riferimento al reato concernente le armi contestato al capo F), i giudici hanno richiamato le intercettazioni da cui era emerso che COGNOME aveva partecipato ad un appostamento in orario serale per controllare gli spostamenti dei componenti della famiglia COGNOME e in tale occasione aveva manifestato la preoccupazione di essere visto da questi ultimi; nelle successive conversazioni captate telennaticamente sul dispositivo di NOME COGNOME, zia del COGNOME e sorella di NOME COGNOME (assassinato del 2017 e causa, secondo la ricostruzione dell’accusa, dei propositi di vendetta da parte della famiglia COGNOME nei confronti della famiglia COGNOME), NOME COGNOME aveva esternato il timore che COGNOME potesse averli visti e aveva fatto riferimento ad armi.
La sentenza assolutoria – rileva la Corte- dà atto che, seppure non vi erano gli elementi da cui inferire che nel corso del sopralluogo COGNOME fosse armato, in ogni caso era certo che egli stesse partecipando, in compagnia di NOME COGNOME condannato nella stessa sentenza per i reati di detenzione armi e riciclaggio, a un sopralluogo per controllare i membri di altra famiglia, nell’ambito di una violenta contrapposizione fra i due gruppi famigliari COGNOME e COGNOME. Tutte tali circostanze erano state ritenuti insufficienti ai fini della responsabilità penale, ma valevano ad integrare una condotta gravemente colposa dell’istante.
Con riferimento ai reati inerenti le armi contestati ai capi L) e M), i giudic hanno richiamato le conversazioni ambientali registrate sull’autovettura in uso a NOME COGNOME e NOME COGNOME, ma in quel momento utilizzata da COGNOME, da cui era emerso che:
–COGNOME e NOME COGNOME si erano recati presso l’abitazione di NOME COGNOME, esponente di spicco della criminalità organizzata locale, ove avevano ricevuto qualcosa da NOME COGNOME;
i due si erano poi allontanati dall’abitazione di NOME e avevano restituito l’auto a Nardo;
in una delle conversazioni COGNOME aveva chiesto al suo interlocutore se avesse o meno portato il fucile;
un fucile era stato poi sequestrato tre giorni dopo a 200 metri dalla casa di Emanuele, ove si erano recati COGNOME e COGNOME
Anche in questo caso tali elementi erano stati ritenuti dal giudice della cognizione insufficienti a dimostrare che COGNOME fosse responsabile della detenzione e ricettazione dell’arma, ma valevano a configurare una sua condotta gravemente colposa consistita nella frequentazione di soggetti inseriti a pieno titolo nella criminalità organizzata locale in un contesto che rimandava a profili di illiceità.
3.11 percorso argomentativo adottato è coerente con i dati di fatti e rispettoso dei principi di diritto elaborati dalla corte di legittimità, sia sotto il profil individuazione della condotta, sia sotto il profilo della ritenuta incidenza causale di tale condotta nella creazione dell’apparenza di reato e quindi nella instaurazione della detenzione.
In primo luogo, in ossequio al principio per cui il giudice della riparazione non può valorizzare elementi di fatto la cui verificazione sia stata esclusa dal giudice di merito, ovvero anche solo non accertata al di là di ogni ragionevole dubbio (Sez, 4, n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039; Sez. 4, n.46469 del 14/09/2018, COGNOME, Rv. 27435), la Corte ha preso in esame proprio le condotte che in sede di cognizione erano state accertate nel loro accadimento fattuale, a nulla rilevando che tali condotte siano state ritenute penalmente irrilevanti. Sotto tale profilo, la doglianza del ricorrente per cui il compend probatorio richiamato fosse stato ritenuto insufficiente dal giudice del merito è priva di pregio, poiché in sede di verifica della sussistenza di un comportamento ostativo al riconoscimento del diritto alla riparazione non viene in rilievo l valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la vérifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare un grave quadro indiziario nei suoi confronti. Si tratta dì una valutazione che ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del
provvedimento restrittivo ed è volta a verificare: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente.
Il rilievo del ricorrente, per cui le condotte individuate come gravemente colpose erano state ritenute insufficienti a fondare una pronuncia di condanna, è, come visto, inconferente, posto che nel giudizio avente ad oggetto la riparazione per ingiusta detenzione, ai fini dell’accertamento della condizione ostativa del dolo o della colpa grave, può darsi rilievo agli stessi fatti accertati n giudizio penale di cognizione, senza che rilevi che quest’ultimo si sia definito con l’assoluzione dell’imputato sulla base degli stessi elementi posti a fondamento del provvedimento applicativo della misura cautelare, trattandosi di un’evenienza fisiologicamente correlata alle diverse regole di giudizio applicabili nella fase cautelare e in quella di merito (Sez. 4, n. 2145 del 13/01/2021, COGNOME, Rv. 28024).
Le condotte espressione di colpa grave sono state descritte dalla Corte in maniera puntuale, con richiami alle conversazioni intercettate da cui era emerso che egli aveva partecipato ad operazioni di appostamento e controllo dei movimenti dei componenti di una famiglia rivale, in contesti in cui veniva anche menzionato il possesso di armi. Il riferimento operato nella ordinanza impugnata alla giurisprudenza in materia di frequentazioni sospette con soggetti condannati non è inconferente: la Corte di legittimità, in merito al comportamento extraprocessuale, ha in più occasioni affermato che la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiusta carcerazione, può essere integrata anche da comportamenti quali le frequentazioni ambigue con i soggetti condannati nel medesimo procedimento o in procedimento diverso, purché il giudice della riparazione fornisca adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità ad essere interpretate come indizi di complicità, così da essere poste quanto meno in una relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (Sez. 4, n. 850 del 28/09/2021, COGNOME, Rv. 282565; Sez. 4, n. 53361 del 21/11/2018, COGNOME, Rv. 274498). Le frequentazioni c.d. ambigue, dunque, possono comunque essere valorizzate, indipendentemente dal fatto che si siano verificate in un contesto tale da creare l’apparenza di un reato associativo, ovvero in un contesto tale da creare I’ apparenza del concorso nel reato oggetto di contestazione.
4. Al rigetto del ricorso segue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condan ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
GLYPH
pagamento delle spese processuali.
Deciso il 9 apr e 2025
Il Con 1lre estensore
A
Il Presidente
NOME Campi