Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 25170 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 25170 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato a Rossano (Cs) il 21/4/1975
avverso l’ordinanza del 27/5/2024 della Corte di appello di Catanzaro; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dell’Avvocato generale dello Stato NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 27/5/2024, la Corte di appello di Catanzaro, pronunciandosi in sede di rinvio, rigettava la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da NOME COGNOME ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen.
Propone ricorso per cassazione lo stesso imputato, deducendo – con due connessi motivi – la violazione di legge ed il vizio di motivazione. Si premette che, in esito al giudizio di appello, lo COGNOME sarebbe stato riconosciuto colpevole del delitto di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, così riqualificat la contestazione ex art. 73, comma 1, riconosciuta con la pronuncia di primo grado: considerando la pena definitivamente irrogata, pari a 1 anno, 4 mesi, 20 giorni di reclusione e 2.500 euro di multa, emergerebbe, dunque, che il ricorrente avrebbe espiato in regime cautelare una detenzione (tra carcere e arresti domiciliari) eccedente la pena inflitta nella misura di 1 anno, 8 mesi e 26 giorni. Tanto premesso, la Corte di appello, in sede di rinvio, avrebbe rigettato la domanda di riparazione con una motivazione viziata negli stessi termini di quella annullata dalla sentenza rescindente di legittimità: in particolare, non sarebbero stati individuati i comportamenti dolosi o gravemente colposi con i quali lo Scarlato avrebbe concorso all’applicazione ed alla prosecuzione della misura. La motivazione dell’ordinanza, infatti, risulterebbe inconferente ed arbitraria, del tutto superficiale e fuorviante, nella misura in cui non indicherebbe affatto eventuali comportamenti ostativi al riconoscimento della riparazione. La stessa ordinanza, inoltre, non valorizzerebbe l’intervenuta riqualificazione della condotta, quel che renderebbe evidente non solo la modesta rilevanza del fatto, ma anche l’assenza di responsabilità dello Scarlato quanto alle misure patite oltre la pena irrogata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta fondato.
Occorre premettere che la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione proposta dallo Scarlato concerne esclusivamente la cautela subita (tra custodia in carcere ed arresti domiciliari) in misura eccedente rispetto alla pena irrogata dalla Corte di appello di Catanzaro con sentenza del 14/11/2016, con la quale tutti i reati contestati al ricorrente erano stati riqualificati ai sensi dell’art. 73, comma d.P.R. n. 309 del 1990: il tema dell’ordinanza rescissoria, evidentemente tratto dalla sentenza di legittimità, concerne, dunque, l’eventuale individuazione di condotte dolose o gravemente colpose con nesso eziologico sulla (sola) protrazione della restrizione della libertà personale.
4.1. La pronuncia rescindente della Quarta sezione di questa Corte n. 6314 del 12/12/2023, a riguardo, ha richiamato la sentenza Corte cost. n. 219 del 2008, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 314 cod. proc. pen. nel parte in cui, nell’ipotesi di detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all’equa riparazione al proscioglimento nel merito dalle imputazioni. Ancora,
la stessa pronuncia di legittimità ha ribadito che anche in questi casi, nei quali la custodia cautelare patita risulti superiore alla pena inflitta in via definitiva, riparazione per ingiusta detenzione presuppone comunque che non siano emerse condotte dolose o gravemente colpose a carico del richiedente, che abbiano avuto un nesso eziologico sulla protrazione della restrizione: un’incidenza, dunque, non come concausa dell’errore del giudice in ordine al momento genetico della misura, ma sulla permanenza del vincolo stesso oltre l’entità della pena poi irrogata.
4.2. Infine, e con diretta incidenza sul caso di specie, la sentenza di legittimità n. 6314-24 ha annullato la precedente ordinanza della Corte di appello di Catanzaro del 24/10/2022 riscontrandovi una motivazione meramente apparente, tale risultando “il mero richiamo al compendio indiziario su cui il giudice della cautela aveva fondato l’applicazione della misura e alla motivazione della sentenza di condanna, in quanto la Corte era tenuta a indicare essa stessa quali condotte dello Scarlato dovevano essere ritenute rilevanti nel senso anzidetto”.
5. Tanto premesso, l’ordinanza qui impugnata ha fondato il rigetto della domanda proprio sulla motivazione delle sentenze di merito, di primo e di secondo grado, richiamando – capo per capo – gli elementi di prova (in particolare, le dichiarazioni rese dagli acquirenti e le intercettazioni telefoniche) che avevano giustificato la condanna dell’imputato con riguardo a numerosi episodi di cessione di sostanza stupefacente. Muovendo (soltanto) da questi elementi, l’ordinanza ha quindi sottolineato che lo Scarlato era risultato autore di molteplici episodi di cessione, tali da incidere sulla protrazione della misura cautelare, emergendo “la figura di uno spacciatore professionista, il cui giro di affari, per numero, varietà e frequenza dei contatti ed organizzazione dell’attività di spaccio, risultava rodato e diffuso”. Ancora, la Corte di appello ha evidenziato che tutto ciò aveva ingenerato nell’autorità giudiziaria il fondato convincimento di trovarsi di fronte ad un soggetto estremamente “pervicace e pericoloso”, anche in ragione della qualità (soprattutto eroina) e della quantità dello stupefacente detenuto e ceduto, “la cui eventuale anticipata liberazione avrebbe messo a grave rischio la pubblica incolumità”. A giudizio dell’ordinanza, pertanto, lo COGNOME aveva dato causa alla protrazione della detenzione, e la propria condotta – per come emersa in sede investigativa e processuale – doveva ritenersi gravemente colposa ed ostativa all’accoglimento della domanda di riparazione.
6. Ebbene, dalla motivazione così richiamata risulta che la Corte di appello, in sede rescissoria, è incorsa nel medesimo vizio già sanzionato con la prima sentenza di legittimità, desumendo una condotta (quantomeno) gravemente colposa, in capo al ricorrente, soltanto dagli elementi posti a fondamento della sentenza di condanna, senza alcun argomento ulteriore.
6.1. In particolare, l’ordinanza del 24/10/2022, poi annullata, aveva affermato che la condizione ostativa alla riparazione “è mutuabile dall’ordinanza
cautelare il cui quadro probatorio a carico dell’istante è stato confermato dalla stessa sentenza d’appello prodotta in atti a corredo dell’istanza, che contiene la
confutazione nel merito di tutte le deduzioni difensive addotte a fondamento dell’affermazione di insussistenza dei reati di cui sopra e che dà atto (da pag. 103
a pag. 109) di come le condotte ascrivibili all’odierno istante abbiano non solo dato causa all’applicazione ma anche al mantenimento della misura cautelare”.
Analogamente, il provvedimento qui impugnato si è limitato ad esplicitare il contenuto della motivazione della sentenza di appello (inserito nelle pagine sopra
richiamate), individuando – per ciascuno dei tre capi di imputazione (66, 67 e 68)
– gli elementi di prova a fondamento del giudizio di responsabilità. In entrambe le ordinanze, dunque, la condotta gravemente colposa, incidente sulla protrazione
della detenzione ed ostativa alla riparazione, è stata ricavata dai soli argomenti di merito che avevano giustificato la condanna dello Scarlato, così emergendo una
completa sovrapposizione tra giudizio di riparazione e giudizio di merito, laddove il primo non può esaurirsi nella mera ripetizione degli argomenti a sostegno
dell’altro.
Ne consegue che, qualora questi non fossero rinvenuti in sede di merito, troverebbe applicazione il principio, qui da ribadire, secondo cui sussiste il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione qualora la durata della custodia cautelare sia superiore alla pena inflitta, sempre che nella condotta del richiedente non siano individuabili condotte gravemente colpose che abbiano avuto un ruolo eziologico nell’adozione della cautela o nella protrazione della restrizione della libertà (tra le altre, Sez. 4, n. 32136 dell’11/4/2017, Carano, Rv. 270420).
L’ordinanza, pertanto, deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Catanzaro, per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Catanzaro.
Così deciso in Roma, il 3 giugno 2025
Consigliere estensore
Il Presi ente