Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 46584 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 46584 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: 1 n 1 GLYPH ECoNOte GLYPH hi Pl-r?ye NOME nato il 01/01/1966
avverso l’ordinanza del 19/07/2024 della CORTE APPELLO di GENOVA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, in persona del sostituto NOME COGNOME con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’Appello di Genova ha accolto la richiesta di riparazione, ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., presentata nell’interesse di NOME COGNOME con riferimento alla detenzione da costui subita (dal 9 ottobre 2012 all’8 gennaio 2013), in un procedimento penale nel quale gli erano stati contestati il delitto di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento della immigrazione clandestina e due distinti delitti di cui all’art. 12 d.lgs 25 luglio 1998 n. 28 Secondo la tesi accusatoria, egli era coinvolto in una illecita attività posta in essere da un gruppo di stranieri, volta a favorire la immigrazione clandestina in Italia e in Francia: alcune telefonate intercettate avrebbero dimostrato la partecipazione di COGNOME, cittadino pakistano, titolare di un ristorante Kebab in Ventimiglia e fratello di NOMECOGNOME a sua volta titolare di altro ristorante Kebab a Nizza, a due distinti episodi di favoreggiamento della immigrazione clandestina di un soggetto in Italia e in Francia, commessi rispettivamente il 27 gennaio 2012 e il 12 febbraio 2012.
1.1.A seguito della applicazione della misura, COGNOME si era proclamato estraneo ai fatti ed aveva spiegato che l’utenza intercettata, a lui intestata, era in realtà in uso al fratello e ai dipendenti che lavoravano nei loro ristoranti.
Il Tribunale del Riesame, adito in sede di appello da parte del difensore avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di revoca, aveva revocato la misura cautelare.
COGNOME era stato assolto in primo grado con sentenza del Tribunale di Imperia del 6 settembre 2021, divenuta irrevocabile il 30 gennaio 2022, con la formula perché il fatto non sussiste: a fronte del contenuto generico delle conversazioni intercettate e non essendo stato mai identificato il soggetto presumibilmente trasportato, i giudici avevano ritenuto non sussistere la prova dei trasporti clandestini.
1.2.La Corte della riparazione ha accolto la domanda sulla base del rilievo che nessun profilo di colpa poteva essere ravvisato in capo al COGNOME il quale, sin dall’interrogatorio di garanzia, aveva professato la sua innocenza.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, ha proposto ricorso, formulando un unico motivo con cui ha dedotto l’assenza di motivazione e la violazione di legge ed in specie degli artt. 314 e 315 cod. proc. pen. Il ricorrente rileva che la Corte della riparazione, in sole quattro righe ed in maniera apodittica, aveva ritenuto che non fosse ravvisabile nella condotta del Chaudhri la condizione ostativa, non tenendo conto di alcuni
elementi che, comunque, anche il giudice di merito aveva accertato ed in particolare che:
–COGNOME aveva avuto frequenti contatti con il passeur NOME COGNOME
COGNOME era titolare di due utenze telefoniche, una italiana ed una francese: la seconda era in realtà in uso anche al fratello e era collocata presso il ristorante di Nizza. La polizia giudiziaria, grazie al fatto che nel corso delle telefonate spesso il fratello NOME si qualificava con il proprio nome, era riuscita a distinguere le voci e a ricondurre con certezza le varie conversazioni intercettate all’uno e all’altro, e in base a tale ricostruzione, dopo la trascrizione in sede di perizia dibattimentale, alcune telefonate erroneamente attribuite al fratello erano, poi, state attribuite al soggetto richiedente la riparazione;
i lavoratori dipendenti del ristorante di Ventimiglia e di Nizza erano in contatto con i passeur NOME e NOME
il linguaggio utilizzato nelle conversazioni intercettate era comunque oscuro e criptico;
nel corso della perquisizione domiciliare effettuata il 9 ottobre 2012 in occasione della esecuzione della misura cautelare all’interno della abitazione di Chaudhri era stato trovato un cittadino pakistano privo di documento di identità e titolo di soggiorno.
Dunque, il comportamento di COGNOME, consistito nell’aver utilizzato nel corso delle conversazioni intercettate un linguaggio criptico, nell’avere lasciato la propria utenza nella diponibilità di una pluralità indeterminata di soggetti, nell’avere dato ospitalità nella propria abitazione ad un soggetto irregolare sul territorio nazionale, doveva ritenersi connotato da colpa grave.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere accolto, in quanto fondato il motivo.
La Corte di Appello, nell’accogliere la domanda di riparazione, si è limitata a sostenere che COGNOME aveva da subito proclamato la propria innocenza e che non erano ravvisabili profili di colpa nella sua condotta.
Tale motivazione, come osservato dal Ministero ricorrente e come rilevato anche dal Procuratore Generale, è censurabile sia perché eccentrica rispetto al sindacato demandato al giudice della riparazione, sia perché apodittica.
3. Va ribadito che il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilir con valutazione ex ante – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese Rv. 259082). Pertanto, in sede di verifica della sussistenza di un comportamento ostativo al riconoscimento del diritto alla riparazione non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare un grave quadro indiziario nei suoi confronti. Si tratta di una valutazione che ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo ed è volta a verificare: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (cfr. Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv.247663). A tal fine, peraltro, il giudice della riparazione non può valorizzare elementi di fatto la cui verificazione sia stata esclusa dal giudice di merito, ovvero anche solo non accertata al di là di ogni ragionevole dubbio, con la conseguenza che non possono essere considerate ostative al diritto all’indennizzo condotte escluse sul piano fattuale o ritenute non sufficientemente provate con la sentenza di assoluzione (Sez. 4, n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039; Sez. 4, n.46469 del 14/09/2018, COGNOME, Rv. 274350). Il giudice deve esaminare e apprezzare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, non è censurabile in sede di legittimità (Sez. 4 n. 27458 del 5/2/2019, NOME COGNOME COGNOME, Rv. 276458). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Va, dunque, tenuta distinta l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della riparazione, poiché il secondo deve seguire un “iter” logico-motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno
reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento.
4.La Corte di Appello in maniera impropria, dunque, ha valorizzato il fatto che COGNOME avesse fin da subito protestato la propria innocenza, in tal modo confondendo il piano della responsabilità rimesso al giudice della cognizione, da quello della risarcibilità della detenzione ingiusta, GLYPH rimesso al giudice della riparazione. Inoltre, GLYPH con motivazione apparente e perciò inesistetene, ha affermato l’assenza di colpa, senza, tuttavia, confrontarsi con il compendio indiziario alla base del titolo cautelare.
L’affermazione della Corte secondo cui non sarebbero ravvisabili profili di colpa nella condotta del ricorrente è apodittica e assertiva e non si confronta con il principio per cui la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiusta carcerazione, può essere integrata da comportamenti quali le frequentazioni ambigue con i soggetti condannati nel medesimo procedimento o in procedimento diverso, purché il giudice della riparazione fornisca adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità ad essere interpretate come indizi di complicità, così da essere poste quanto meno in una relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (Sez. 4, n. 850 del 28/09/2021, COGNOME, Rv. 282565; sez. 4, n. 53361 del 21/11/2018, COGNOME, Rv. 274498), ovvero dall’utilizzo, nel corso di conversazioni telefoniche, da parte dell’indagato di frasi in “codice”, effettivamente destinate a occultare un’attività illecita, anche se diversa da quella oggetto dell’accusa e per la quale fu disposta la custodia cautelare (Sez. 4, n. 3374 del 20/10/2016, dep. 2017, Aga, Rv. 268954 – 01; Sez. 4, n. 48029 del 18/09/2009, COGNOME, Rv. 245794 – 01).
Nel caso di specie, dopo che la sentenza assolutoria aveva pur sempre dato atto di alcune condotte (quali l’avere intrattenuto rapporti con soggetti qualificati come passeur; l’avere lasciato il proprio telefono a persone che a loro volta avevano intrattenuto rapporti con passeur; l’avere intrattenuto conversazioni in linguaggio criptico; l’avere ospitato presso la sua abitazione persone prive di titoli di soggiorno), la Corte non si è confrontata, così come sarebbe stato necessario, con tali evidenze, al fine di valutare se i comportamenti del ricorrente, accertati nel loro accadimento fattuale, avessero avuto carattere doloso o gravemente colposo e avessero concorso a creare un’apparenza di reato tale da indurre in errore il giudice della cautela nell’adozione del provvedimento restrittivo.
Si impone pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appllo di Genova che dovrà attenersi i
principi enunciati. GLYPH Al giudice del rinvio si demanda, altresì, GLYPH la regolamentazione tra le parti delle spese sostenute nel presnte giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Genova, cui demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Deciso il 12 novembre 2024