Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 22857 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 22857 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Palermo, nel procedimento nei confronti di COGNOME NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza in data 04/01/2024 della Corte di appello di Palermo; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni scritte con cui il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME AVV_NOTAIO, ha chiesto, in accoglimento del ricorso, l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 04/01/2024 la Corte di appello di Palermo ha accolto la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione presentata nell’interesse di COGNOME NOME, sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere per duecentosei giorni e a quella degli arresti domiciliari per duecentoventotto giorni in relazione al delitto di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e dallo stesso assolto con sentenza del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo del 29/09/2021, in seguito divenuta irrevocabile.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Palermo, che ha articolato un unico motivo di doglianza, di seguito sintetizzato conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con tale motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., erronea applicazione di norma processuale e, in specie, del disposto di cui all’art. 314 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità.
Assume che la Corte di appello, nell’accogliere la richiesta di indennizzo per le misure custodiali patite dal COGNOME in relazione al delitto per il quale lo stesso era stato, poi, mandato assolto, avrebbe illegittimamente e irragionevolmente omesso la valutazione di fattori, in tesi, concausali rispetto alla restrizione perché sintomatici quantomeno di colpa grave, quali la perfetta conoscenza del nuovo organigramma associativo operante sul territorio di INDIRIZZO vantata dall’uomo e la consapevolezza del mutamento delle dinamiche mafiose di zona, elementi che si vorrebbero indicativi di un’indubbia vicinanza al sodalizio in oggetto, all’epoca dell’arresto.
Il procedimento è stato trattato in udienza camerale con le forme e con le modalità di cui all’art. 23, commi 8 e 9, del d.l. n. 137/2020, convertito dalla legge n. 176 del 2020, i cui effetti sono stati prorogati dall’art. 7 del d.l. n. del 2021, convertito dalla legge n. 126 del 2021 e, ancora, dall’art. 16 del d.l. n. 228 del 2021, convertito dalla legge n. 15 del 2022.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Palermo è fondato e merita, pertanto, accoglimento per le ragioni che di seguito si espongono.
Fondato risulta l’unico motivo di ricorso, con cui si lamenta l’erronea applicazione di norma processuale e, segnatamente, del disposto di cui all’art. 314 cod. proc. pen., nonché il vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità, sostenendo che nell’ordinanza impugnata, che ha accolto la richiesta di indennizzo avanzata dal COGNOME per la restrizione patita in relazione al delitto per cui è, poi, intervenuta l’assoluzione, sarebbe stata illegittimamente e irragionevolmente omessa la valutazione di fattori che si vorrebbero concausali rispetto alla carcerazione, perché sintomatici di colpa grave, quali la conoscenza,
vantata dal predetto, del nuovo organigramma associativo operante sul territorio di INDIRIZZO e la consapevolezza del mutamento delle dinamiche mafiose di zona, all’evidenza indicativi di una stretta vicinanza, all’epoca dell’arresto, a sodalizio di cui trattasi.
Rileva preliminarmente il Collegio che, secondo il consolidato insegnamento della Suprema Corte, «In tema di riparazione per ingiusta detenzione il giudice di merito, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione “ex ante” – e secondo un ite logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua confígurabilità come illecito penale» (così Sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016, dep. 23/01/2017, La Fornara, Rv. 268952, nonché, in precedenza, Sez. U., n. 34559 del 26/06/2002, Min. Tesoro in proc. De Benedictis, Rv. 222263-01).
Alla luce delle indicate coordinate ermeneutiche, appare evidente il vizio argomentativo che – come sostenuto dalla parte pubblica nell’azionato ricorso connota il provvedimento emesso dal giudice della riparazione, avendo lo stesso fondato l’accoglimento dell’istanza risarcitoria avanzata dal COGNOME sull’avvenuta assoluzione del predetto nel giudizio di merito in ragione della ritenuta inidoneità a comprovarne l’affiliazione al sodalizio dedito al traffico di stupefacenti del contenuto di un’unica conversazione telefonica intercettata, intrattenuta con un individuo estraneo alla consorteria criminale.
Diversa, invece, avrebbe dovuto essere, per quanto detto, la prospettiva valutativa di tale giudicante che, nel valutare la fondatezza della richiesta proveniente dal COGNOME, avrebbe dovuto scrutinarne, con valutazione “ex ante”, il complesso dei comportamenti tenuti antecedentemente alla sottoposizione al vincolo custodiale onde verificare l’eventuale sussistenza di profili di colpa grave, tradottisi, poi, in fattori concausali all’adozione della misura.
Tanto, però, non è avvenuto, posto che il giudice della riparazione, a fronte di un materiale captativo da cui era dato inferire, per un verso, la piena consapevolezza del predetto del possibile avvio, nei propri confronti, di un procedimento per il delitto associativo, a seguito della perquisizione domiciliare con esito positivo subita qualche giorno prima e, per altro verso, della sua profonda conoscenza del nuovo sodalizio criminale attivo nella zona di INDIRIZZO e degli intervenuti mutamenti delle dinamiche mafiose di zona (in tal senso la conversazione telefonata intercorsa con l’extraneus COGNOME NOME), ne ha irragionevolmente omesso la valutazione, necessaria, invece, in funzione
del prescritto giudizio afferente all’eventuale sussistenza di profili di colpa grave nel comportamento concretamente tenuto dal richiedente.
Il difetto argomentativo sul tema, non irrilevante, testè evidenziato, traducendosi in un vizio riconducibile al disposto dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., impone l’annullamento dell’ordinanza oggetto d’impugnativa, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Palermo.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Palermo.
Così deciso il 23/04/2024