Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 4814 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 4814 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 14/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
nel procedimento riguardante
SPITALIERE COGNOME nato a PALERMO il 02/03/1983
avverso l’ordinanza del 27/03/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
letta la memoria dell’avv. COGNOME del foro di Palermo, che ha concluso affinché il ricorso sia dichiarato inammissibile o, in subordine, sia rigettato;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 27 marzo 2024, la Corte di appello di Palermo ha accolto la domanda formulata da NOME COGNOME per la riparazione dovuta ad ingiusta sottoposizione alla misura cautelare della custodia in carcere (prima) e degli arresti domiciliari (poi) dal 12 marzo 2019 – data in cui veniva tratto in arresto – al 22 dicembre 2021 – data in cui veniva rimesso in libertà, per effetto dell’assoluzione GLYPH deliberata dalla Corte palermitana (irrev. 7 maggio 2022).
La misura cautelare nei confronti dello COGNOME fu disposta in quanto gravemente indiziato del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, in relazione al mandamento “Porta Nuova”, articolazione del sodalizio denominato “Cosa Nostra”.
1.1. Più in particolare, l’ordinanza impugnata ha escluso, in capo allo Spitaliere, la colpa grave di cui all’art. 314, comma 1, cod. proc. pen., osservando come la condotta complessivamente tenuta non potesse essere ritenuta ostativa al diritto alla riparazione.
NOME COGNOME si era recato più volte a colloquio con il cognato detenuto (NOME COGNOME nella consapevolezza del ruolo qualificato che quest’ultimo assunse nel mandamento mafioso.
I dialoghi, caratterizzati da riferimenti criptici, da inviti alla prudenza comunicativa e dall’uso di una condivisa gestualità, non sono stati ritenuti rivelatori di alcuna connessione con interessi mafiosi (p. 6 provvedimento impugnato), e nemmeno dell’intento rafforzativo che gli veniva invece addebitato.
Condotta, questa, che in quanto caratterizzata da colpa lieve, è stata valutata sotto il diverso profilo della liquidazione equitativa dell’indennizzo.
Avverso l’ordinanza propone ricorso per cass,; -171( He il Ministero dell’Economia e delle Finanze, per il tramite dell’Avvocatura dello Stato, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Con un unico motivo si deduce vizio della motivazione, poiché manifestamente illogica ed apparente (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.).
I giudici della riparazione sono incorsi in errore nel non ritenere gravemente colposa la condotta del ricorrente: per far ciò, hanno sottolineato la scarsa capacità dimostrativa delle conversazioni intercettate rispetto alla
prova del reato, mentre invece avrebbero dovuto verificare se la condotta tenuta abbia o meno concorso a determinare la restrizione della libertà, in termini gravemente colposi.
Il ricorrente lamenta l’illogicità della motivazione anche sotto un ulteriore profilo: sono gli stessi giudici della riparazione che, pur avendo accertato l’efficienza causale delle condotte rispetto alla privazione della libertà, con motivazione apparente ne hanno poi ritenuto la rilevanza solo ai fini della determinazione dell’indennizzo.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Per come si desume dal testo del provvedimento impugnato (pp. 5, 6 e 9), lo COGNOME si era recato a colloquio dal cognato detenuto, ben consapevole della sua caratura mafiosa, intrattenendo con lui diversi dialoghi caratterizzati dall’utilizzo di nomi di copertura, da ripetuti inviti alla prudenza, dall’uso di forme di comunicazione non verbale «con il fare circospetto di chi si attende che la conversazione potesse essere captata».
In tal modo, hanno affermato i giudici della riparazione, lo Spitaliere veicolava «messaggi verso pregiudicati o altri mafiosi», comunicando ai cognato detenuto sia la scelta del Di Giovanni COGNOME di interrompere il suo mantenimento in carcere (che lo stesso provvedimento definisce come mafioso), sia gli avvicendamenti al vertice del mandamento.
Partendo da tali premesse, la Corte distrettuale, pur riconoscendo che vi era stata una significativa deviazione «dal modello comportamentale» (p. 9), ha ritenuto di escludere la colpa grave ostativa alla riparazione sottolineando come le comunicazioni intercettate fossero state ritenute, in esito al giudizio di merito, di «natura sospetta», ma «dalla indimostrata connessione con interessi mafiosi».
Nell’ordinanza impugnata si sottolinea, inoltre, la neutralità delle informazioni riferite al detenuto, rispetto al rafforzamento del sodalizio.
Così argomentando, il giudice della riparazione ha erroneamente operato una valutazione delle condotte analoga a quella relativa
all’accertamento della responsabilità penale, già esclusa dai giudici della cognizione e che costituisce, invece, il presupposto per ottenere l’indennizzo.
Non è questa la regola di valutazione che occorre applicare per affermare od escludere la colpa grave, risultato a cui giunge, invece, il provvedimento impugnato.
Più in particolare, il giudice della riparazione avrebbe dovuto stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione” (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203638 – 01; conf., Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, Rv. 222263 – 01).
La valutazione richiesta deve essere effettuata ex ante, e ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo, ed è volta a verificare, seppur in presenza di un errore dell’autorità procedente: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME Rv. 247663).
I giudici della riparazione, inoltre, non hanno motivato in ordine alia sussistenza della predetta condizione ostativa, che invece, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice come ripetutamente affermato da queste Corte regolatrice (Sez. 4, n. 39634 del 02/10/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 39186 del 19/09/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 33137 del 10/07/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 4106 del 13/01/2021, M., Rv. 280390-01; Sez. 4, n. 34181 del 5/11/2002, COGNOME, Rv. 226004; Sez. 4, n. 1558 del 18/12/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 197378 – 01).
Più in particolare, dopo aver ricordato le ragioni che hanno condotto alla assoluzione dello Spitaliere, i giudici della riparazione si sono limitati ad affermare che quelle conversazioni di «natura sospetta» ma «dall’indimostrata connessione con interessi mafiosi», non integravano alcun profilo di colpa grave, salvo poi ritenere, immotivatamente, che quegli stessi elementi fossero idonei ad integrare una ipotesi di colpa lieve, tale da incidere sul quantum dell’indennizzo, poiché indicativi di una significativa deviazione dal «modello comportamentale».
I giudici della riparazione, nel valutare il comportamento del ricorrente, avrebbero invece dovuto tener conto del fatto che la nozione di colpa è data
dall’art. 43 cod. pen., e del consolidato principio di , secondo il quale deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca dì uno già emesso (Sez. 4, n. 1002 del 9/10/2024, dep. 2025, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 46588 del 27/11/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 43302 del 23/1072008, COGNOME, Rv. 242034 – 01).
Quanto, invece, alla c.d. colpa lieve, questa Corte di legittimità ha chiarito che lieve può essere ravvisata in atteggiamenti o comportamenti, sicuramente non di gravità tale da escludere il diritto alla riparazione, ma integranti un concorso apprezzabile in termini economici per ridurne la quantificazione; tanto sul presupposto che se la colpa grave esclude il diritto alla riparazione, nelle altre gradazioni rispetto a quest’ultima, la colpa sinergica (sotto entrambi i profili considerabili: emissione del provvedimento restrittivo, perdurare della detenzione) non è insignificante, dovendo essere valutata ai fini della taxatio sul quantum debeatur (così, in motivazione, Sez. 4, n. 34541 del 24/05/2016, COGNOME, Rv. 267506 – 01; conf., Sez. 4, n. 27529 del 20/5/2008, COGNOME, Rv. 240889).
Limitandosi a richiamare le considerazioni espresse dal giudice di merito per addivenire al giudizio di assoluzione, ed immotivatamente considerando la condotta dello Spitaliere ai solo fini della configurazione di un’ipotesi di colpa lieve, i giudici della riparazione non hanno fatto buon governo di tali principi.
Non può invece condividersi l’osservazione della difesa dello COGNOME, secondo cui il giudice della riparazione non avrebbe prendere in considerazione la condotta colposa del richiedente, trattandosi di un caso in cui l’accertamento della insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura è avvenuto sulla base di una diversa valutazione dei medesimi elementi trasmessi al giudice della cautela (secondo l’insegnamento di Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663): la domanda cli riparazione è stata proposta in relazione all’intervenuta assoluzione, come emerge dal provvedimento impugnato, e da questo qualificata ai sensi dell’art. 314, comma 1, cod. proc. pen. (c.d. ingiustizia sostanziale, che si distingue dall’ingiustizia c.d. formale, cui si riferisce il principio invocato).
Si impone, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Palermo, per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Palermo.
Così deciso in Roma, 14 novembre 2024
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Il Consigliere estensore
Il Preifnte