Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 47335 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 47335 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LOCRI il 03/08/1993
avverso l’ordinanza del 19/06/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del PG, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta a memoria depositata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
)2
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte di appello di Reggio Calabria ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione formulata da NOME COGNOME in relazione all’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere dal 25/03/2015 al 28/04/2015 e degli arresti domiciliari da tale ultima data sino al 24/03/2016, in relazione a capo di imputazione relativo alla violazione della legge armi e alla violazion della legge sugli stupefacenti; violazioni in ordine alle quali – quanto a prima – era stato assolto con sentenza divenuta definitiva il 02/02/2019 e nel processo stralcio relativa alla seconda – pure assolto con sentenz divenuta definitiva il 14/05/2018; mentre, nelle more, in data 21/10/2015, il ricorrente era stato altresì raggiunto da ordinanza di custodia cautelare relazione al reato di cui all’art.74, T.U. stup., in procedimento conclusosi c sentenza di assoluzione divenuta definitiva il 22/11/2020, con conseguente sussistenza di un periodo complessivo di detenzione di anni cinque, mesi due e giorni quindici.
La Corte ha quindi premesso che il ricorrente aveva richiesto il riconoscimento dell’indennizzo in relazione a procedimenti culminati in tre diverse sentenze – divenute definitive il 14/05/2018, il 22/02/2019 e i 22/11/2020 – e che, a fronte di un’unica richiesta proposta il 13/07/2021, l stessa dovesse ritenersi intempestiva in ordine ai primi due giudizi, pe decorso del termine biennale di decadenza.
La Corte d’appello, così delimitata la propria cognizione, ha ritenuto che la domanda non potesse essere accolta attesa la sussistenza del presupposto ostativo rappresentato dalla colpa grave del ricorrente.
Ha esposto che i fatti che avevano visto coinvolto l’istante attenevano a una vasta attività di traffico di sostanze stupefacenti su scala internaziona e che il ruolo del COGNOME era stato ricondotto ai rapporti con i cor COGNOME e COGNOME; che i dialoghi intercettati rilevavano chiaramente che i detti rapporti avevano pure a oggetto il commercio di stupefacenti e che il ricorrente era stato trovato in possesso di armi e stupefacenti appena prelevati, per conto di COGNOME, in data 25/03/2015.
Ha quindi argomentato che anche la sentenza di merito – nel non smentire i dati di fatto risultanti a carico del COGNOME – ne aveva ribadi ruolo, quale collaboratore del Figliomeno nel traffico di sostanze stupefacenti, desumendo tale dato dalle conversazioni intercettate e da ulteriori elementi di indagine; e avendo il giudice del merito quind argomentato in ordine alla sussistenza di plurimi indizi dell’appartenenza del
COGNOME all’associazione, ritenendo peraltro di doverlo assolvere dalla relativa imputazione per difetto del necessario elemento soggettivo sotto il profilo della affectio societatis; atteso che risultavano rapporti tra l’odierno ricorrente (oltre che con il Figliomeno) solo con un altro componente del sodalizio (NOME COGNOME) e che i rapporti medesimi non erano stati costanti ma estemporanei.
La Corte ha quindi rilevato come, sulla base della stessa motivazione della sentenza di assoluzione, fosse stato dato atto della presenza di plurimi elementi indiziari idonei a giustificare l’applicazione della misura cautelare, avendo il ricorrente comunque mantenuto contatti con soggetti poi risultati pienamente coinvolti nell’associazione; ritenendo quindi concretizzato l’elemento ostativo rappresentato dalla colpa grave.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando due motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione di legge in ordine agli artt. 314 e 315 cod.proc.pen. e in relazione all’art.125, comma 3, cod.proc.pen. e all’art.111, comma 6, Cost., nonché il vizio di motivazione in quanto mancante, apparente e illogica.
Premessa l’esposizione della vicenda processuale, desumeva come il giudice della riparazione avesse esposto i dati probatori ritenuti rilevanti per giustificare l’applicazione della misura coercitiva ma senza alcuna valutazione critica in ordine agli elementi ostativi del dolo o della colpa grave, in tale modo venendo meno al necessario obbligo motivazionale; esponeva che l’ordinanza impugnata aveva fondato i presupposti integranti la colpa grave sulla base del rapporto con un unico soggetto poi risultato intraneo rispetto all’associazione.
Ha quindi ribadito che il provvedimento impugnato non aveva dato adeguatamente conto della sussistenza di comportamenti specifici idonei a dare luogo alla privazione della libertà personale sotto il profilo del necessario nesso causale; senza, tra l’altro, tenere conto degli elementi esposti dall’istante in sede di interrogatorio di garanzia; avendo quindi la Corte operato una, non consentita, sovrapposizione tra la nozione di colpa grave ostativa e la valutazione della sussistenza dei gravi indizi dì colpevolezza e ribadendo che da nessuno degli elementi poi valorizzati dai giudici di merito emergeva la sussistenza degli elementi idonei a dimostrare la partecipazione al sodalizio, con conseguente carenza di ogni presupposto di fatto inquadrabile sotto il necessario profilo del dolo o della colpa grave.
Con il secondo motivo ha dedotto – in relazione all’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.92 cod.proc.civ. in ordine alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dall’Avvocatura dello Stato.
Ha dedotto che la Corte avrebbe fatto uso dei poteri discrezionali conferiti in materia senza tenere conto del pregiudizio sostenuto dal ricorrente e senza offrire adeguato supporto motivazionale sul punto, ancorando la liquidazione delle spese all’ammontare dell’indennizzo richiesto e connotando quindi la statuizione con una sorta di finalità punitiva.
Il Procuratore generale ha presentato requisitoria scritta nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato memoria nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Va premesso che, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, costituisce causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo la sussistenza di un comportamento – da parte dell’istante – che abbia concorso a darvi luogo con dolo o colpa grave.
In relazione specifica rispetto alla fattispecie concreta in esame deve rilevarsi come il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico; il giudice di merito deve, in modo autonomo e in modo completo, apprezzare tutti gli elementi probatori a sua disposizione e rilevare se la condotta tenuta dal richiedente abbia ingenerato o contribuito a ingenerare, nell’autorità procedente, la falsa apparenza della configurabilità della stessa come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto (Sez. U, n.32383 del 27/5/2010, COGNOME, RV. 247664).
3. Nel caso di specie, quindi, la Corte territoriale ha ritenuto perfezionat il presupposto ostativo della colpa grave, per avere il COGNOME mantenuto costanti contatti illeciti con soggetti poi ritenuti come appartenenti ad organismo criminale dedito al traffico di sostanze stupefacenti e specificamente, con NOME COGNOME.
In particolare, il giudice della riparazione ha fatto richiamo al contenut della sentenza, con la quale pure il COGNOME era stato assolto in relazione a fattispecie associativa, facendo espresso rimando al contenuto delle conversazioni intercettate e intercorse con il COGNOME (facenti riferimento al traffico di sostanze stupefacenti) oltre che ai comprovati rapporti persona con quest’ultimo.
Facendo altresì espresso riferimento alle circostanze che avevano condotto all’arresto del COGNOME, in quanto trovato in possesso di borson contenenti armi e sostanza stupefacente (il 25/03/2015), nonché al viaggio effettuato insieme con il Figliomeno il 24/01/2014 e che, dal complesso della motivazione della sentenza di merito, era finalizzato ad avviare una trattativ con altra associazione dedita al traffico di droga al fine di acquisire quantità da destinare allo spaccio.
Il giudice della riparazione ha quindi fatto riferimento alle conclusioni de giudice di merito, nella parte in cui aveva ritenuto che sussistessero pluri indizi dell’appartenenza del COGNOME all’associazione, ma che non fossero emersi elementi di prova in ordine alla consapevolezza di aderire a un programma criminoso; nel fare riferimento a tale conclusioni, il giudice della riparazione ha quindi fatto propria l’argomentazione logica in base alla quale i comportamenti del COGNOME, già posti alla base del titolo cautelare, fosse univocamente riconducibili solo a un rapporto personale con il Figliomeno.
4. Va quindi osservato che questa Corte ha più volte ribadito che la frequentazione ambigua di soggetti coinvolti in traffici illeciti si pre oggettivamente ad essere interpretata come indizio di complicità e può, dunque, integrare la colpa grave ostativa al diritto alla riparazione (Sez. n. 850 del 28/09/2021, dep. 2022, COGNOME Rv. 282565; Sez. 4, n. 53361 del 21/11/2018, Puro Rv. 274498; Sez. 4, n. 8914 del 18/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262436; Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258610; Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259082; Sez. 4, n. 51722 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 257878); nella maggior parte dei casi, si trattava di detenzione cautelare disposta nei confronti persone indagate quali partecipi di associazioni per delinquere, in un ambito
investigativo in cui gli intrecci, gli interessi e le connivenze tra s assumono valore altamente indiziario proprio in rapporto ai tratti tipici d delitto associativo.
Dall’esame delle pronunce in cui il principio è stato affermato deve peraltro anche trarsi il limite all’applicazione del medesimo principio; s infatti, in linea astratta, la frequentazione di persone coinvolte in att illecite è condotta idonea a concretare il comportamento ostativo al diritt alla riparazione, deve però anche chiarirsi che non tutte le frequentazion sono tali da integrare la colpa ma solo quelle che (secondo il tenore lettera dell’art.314 cod. proc. pen., a mente del quale rileva il comportamento che, per dolo o colpa grave, abbia dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare subita) siano da porre in relazione, quanto meno, di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (Sez. 4, n. 1921 del 20/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 25848601); al giudice della riparazione spetta, dunque, il compito di rilevare il tipo e la qualità di dette frequentazioni, lo scopo di evidenziare l’incidenza del comportamento tenuto sulla determinazione della detenzione (Sez. 4, n. 7956 del 20/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280547; Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014, COGNOME, Rv. 260397; Sez. 4, n. 34656 del 03/06/2010, COGNOME, Rv. 248074; Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001, COGNOME, Rv. 2209840).
Nella specie, la motivazione con cui la Corte d’Appello ha rigettato la richiesta di riparazione non ha fatto corretta applicazione dei principi di sopra, non avendo esplicitato le ragioni per le quali le frequentazioni indica dovessero ritenersi avere concorso nel determinare la detenzione.
Le argomentazioni in precedenza richiamate – nel fare riferimento al contenuto della sentenza assolutoria – hanno difatti dato conto dell vicinanza del COGNOME rispetto a un singolo membro dell’associazione e al carattere illecito dei rapporti intrattenuti con il medesimo, ma senz adeguatamente esplicitare quali siano state le condotte – qualificabili come gravemente colpose – da porre in diretto rapporto sinergico con l’evento rappresentato dalla detenzione cautelare.
Ne consegue che l’ordinanza impugnata, nel fare riferimento ai continuativi rapporti tenuti con il suddetto associato, non ha però dat adeguatamente conto – sulla base dei principi ricavabili dai citati arrest dell’effettiva contiguità del ricorrente rispetto al complessivo contes associativo, in relazione al quale è stata disposta la detenzione d medesimo.
r
Dovendosi ritenere, sempre sulla base dei citati precedenti, che non sia stato adeguatamente motivato il dato della frequentazione ambigua rispetto al complessivo contesto illecito e alla sussistenza – da ritenere logicament necessaria in diretta conseguenza dei principi sopra riassunti – quanto meno di un coefficiente psicologico denotante la consapevolezza della sussistenza del contesto medesimo (consapevolezza, come detto, del tutto esclusa dal giudice della cognizione).
A ciò deve aggiungersi la sussistenza di ulteriori elementi di contraddittorietà intrinseca della motivazione, in particolare nei punti in c ha attribuito rilevanza a due specifici comportamenti citati nella sentenza di assoluzione.
Difatti, il giudice della riparazione ha fatto riferimento all’episodio relazione al quale il COGNOME (il 25/03/2015) è stato tratto in arresto, colleg al dato della detenzione di armi e sostanza stupefacente rinvenute nella vettura di proprietà della moglie del Figliomeno e in relazione al quale i ricorrente è peraltro stato assolto in ragione della mancanza di prova in ordine alla riconducibilità allo stesso della detenzione; episodio che, in sed di motivazione (pag.9), la Corte territoriale ha ritenuto come oggettivo riscontro rispetto al contesto criminale in cui sarebbe stato coinvolto COGNOME
Mentre, analoga contraddittorietà si ravvisa in relazione all’elemento sempre testualmente tratto dalla sentenza di merito – relativo alla valenza da attribuire al viaggio intrapreso con il Figliomeno il 24/01/2014 e finalizzato all’acquisto di sostanza stupefacente nei confronti di altro grupp criminale, avendo lo stesso giudice del merito (sulla base del complesso della argomentazioni poste alla base della sentenza di assoluzione) escluso l’interpretabilità dell’episodio come denotativo dell’effettivo coinvolgimento nelle complessive dinamiche criminali dell’associazione.
La sussistenza dei predetti elementi di illogicità manifesta impone quindi che il provvedimento impugnato vada annullato con rinvio alla Corte di Appello di Reggio Calabria, che vorrà dare conto dell’incidenza causale delle condotte ritenute gravemente colpose sull’applicazione e sul mantenimento del provvedimento restrittivo.
Al giudice del rinvio (con conseguente e logico assorbimento dell’esame del secondo motivo di ricorso) va demandata la regolamentazione complessiva delle spese tra le parti, anche in relazione a questo giudizio di legittimità.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
ente
Così deciso il 21 novembre 2024
Il
GLYPH
Consigliere estensore