Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 24292 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 24292 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SALERNO il 27/08/1953
avverso l’ordinanza del 24/03/2025 della CORTE APPELLO di SALERNO
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona della sostituta
NOME COGNOME la quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. La Co rte d’ appello di Salerno , decidendo su un’istanza di riconoscimento di indennizzo per la detenzione ingiustamente subita da NOME COGNOME con riferimento a un ‘ordinanza impositiva, nei suoi confronti, della misura degli arresti domiciliari, per aggravamento conseguito a violazione degli obblighi impostigli con una misura non custodiale (divieto di comunicare e avvicinarsi alle persone offese del reato di cui all’art. 612 bis , cod. pen.), ha rigettato la stessa, ritenendo sussistente un suo comportamento ostativo, ravvisandolo nella circostanza che la misura custodiale non era stata disposta originariamente, ma solo in conseguenza delle violazioni delle prescrizioni imposte con quella non custodiale. Quel giudice, ricostruita la vicenda che fa da sfondo al presente procedimento, ha precisato che il pubblico ministero, a seguito di denuncia di una delle pp.oo., aveva chiesto la sostituzione della misura in atto con altra parimenti non custodiale, laddove il Tribunale di Salerno aveva ritenuto che la richiesta fosse stata articolata ai sensi dell’art. 276 e non dell’art. 299, comma 4, cod. proc. pen., di talché la individuazione della misura più adeguata poteva essere effettuata dallo stesso Tribunale, al di là della domanda della parte pubblica. Tuttavia, il provvedimento con il quale era stata disposta la misura custodiale era stato annullato dal giudice del riesame che aveva statuito esattamente l’opposto, ripristinando la misura non custodiale. Il Tribunale di Salerno, infine, aveva assolto il COGNOME per insussistenza del fatto, avendo ritenuto inattendibile la ricostruzione della persona offesa, tenuto conto dell’esistenza di pregressi rapporti di inimicizia tra le parti e della non univocità degli elementi a carico, resistiti da altri di segno contrario.
La Corte della riparazione, nel rigettare l’istanza, ha intanto ritenuto di non condividere la decisione di annullamento del Tribunale del riesame, l’aggravamento dovendo essere inquadrato nella previsione dell’art. 2 76 e non dell’art. 299, comma 4 cod. proc. pen., stante la sussistenza, nel primo caso, di un potere officioso in capo al giudice. In ogni caso, ha ritenuto un comportamento ostativo dell’interessato, sottolineando la inco nducenza dell’argomento difensivo che faceva leva sulla intervenuta assol uzione, considerata l’origine del titolo limitativo della libertà, vale a dire le ripetute violazioni delle prescrizioni che ha ritenuto, almeno in parte, confermate alla stregua del contenuto delle querele, siccome riscontrato dalle informative della PG, avendo il Tribunale ritenuto dubbio solo l’episodio del 16/03/2020, tra
quelli denunciati, quanto agli altri affermando che lo stesso COGNOME nulla aveva dedotto circa il loro reale accadimento.
La difesa del COGNOME ha proposto ricorso, formulando un motivo unico, con il quale ha dedotto violazione della legge sostanziale e processuale e vizio della motivazione quanto al ritenuto comportamento ostativo.
In particolatre, si è affermato che la motivazione dell’ordinanza sarebbe contra legem , siccome incoerente con i presupposti legali, la Corte della riparazione avendo, per di più, censurato il provvedimento con il quale il giudice del riesame aveva annullato il disposto aggravamento della misura, non essendo possibile contestare a posteriori un provvedimento giudiziario definitivo per farne ragione del rigetto.
Sotto altro profilo, la difesa ha affermato che il giudice della riparazione non si sarebbe confrontato con la sentenza assolutoria, capovolgendo le regole che governano l’onere probatorio nel processo penale, richiamando le informative della PG a supporto di un fatto (danneggiamento della autovettura) ritenuto non provato, neppure procedendo a dar conto del contenuto di dette informative. Così facendo, invero, il giudice della riparazione avrebbe rivalutato fatti non emersi nel processo penale, non accertati ed esclusi dal giudice del merito.
Il Procuratore generale, in persona della sostituta NOME COGNOME ha rassegnato proprie conclusioni, con le quali ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
L’Avvocatura generale dello Stato per il Ministero resistente ha depositato memoria scritta, con la quale ha chiesto il rigetto, con vittoria di spese, diritti e onorari del giudizio.
Considerato in diritto
Il ricorso va accolto nei termini che si vanno a esporre.
La censura difensiva non coglie nel segno laddove denuncia violazioni di legge, processuale o sostanziale, quanto all’applicazione dell’istituto azionato , laddove, al contrario, è fondata nella parte in cui attacca il percorso motivazionale seguito dal giudice della riparazione quanto alla ritenuta sussistenza delle trasgressioni che avevano dato origine all’aggravamento della misura.
Nella specie, ci si trova davanti a una peculiare ipotesi di riparazione da ingiusta detenzione, conseguente a una limitazione della libertà, poi rivelatasi ingiusta per sopravvenuta assoluzione nel merito dalle accuse, ricollegata a un aggravamento di misura non custodiale che, di per sé, non costituisce titolo per azionare l’istituto di cui all’art. 314, cod. proc. pen.
Sul punto, giovi ricordare che la giurisprudenza di legittimità ha già chiarito che il diritto alla riparazione non sussiste per il periodo di detenzione subito a seguito di aggravamento di misura non coercitiva disposto in conseguenza della trasgressione alle prescrizioni imposte, difettando, in tal caso, il requisito della ingiustizia della privazione della libertà personale (Sez. 4, n. 30578 del 7/6/2016, COGNOME, Rv. 267542-01). Trattasi di un principio che deriva direttamente da quelli di tutela della libertà personale e solidarietà, alla cui stregua vanno indennizzate tutte le ipotesi di custodia cautelare risultate obiettivamente ingiuste (Sez. U, n. 25084 del 30/5/2006, COGNOME, Rv. 234144-01) e che trova riscontro anche nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Infatti, la previsione dell’art. 314, comma 1, cod. proc. pen. che esclude dall’equa riparazione colui che abbia dato causa, per colpa grave, alla custodia cautelare subita, in caso di detenzione preventiva formalmente legittima ma sostanzialmente ingiusta – non si pone in contrasto con l’art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo perché quest’ultima norma impone il riconoscimento dell’indennizzo soltanto per la detenzione preventiva formalmente illegittima, senza escludere, negli altri casi, che gli Stati membri possano limitarla, nel caso in cui l’interessato abbia tenuto un comportamento eziologicamente collegato alla privazione della sua libertà (Sez. 4, n. 6903 del 2/2/2021, COGNOME, Rv. 2809029-01; n. 35689 del 9/7/2009, COGNOME, Rv. 245311-01; Corte EDU n. 32075/2009 del 10 aprile 2012, COGNOME c. Italia, in cui si è, per l’appunto, riconosciuta la coerenza convenzionale della valutazione, effettuata nell’ambito di un procedimento relativo alla richiesta di riparazione per ingiusta custodia cautelare, del contributo che la persona prosciolta ha dato alla nascita di indizi nei suoi confronti, la stessa non collidendo con la presunzione di innocenza, vertendo su un oggetto diverso dalla responsabilità penale della persona).
Pertanto, la necessità di valutare l’eventuale ricorrenza di un comportamento doloso o gravemente colposo dell’interessato, che sia stato concausa dell’errore nel quale è caduta l’A.G., permane anche con riferimento alle vicende successive all’a pplicazione del titolo originario, sebbene tale comportamento debba essere ricercato in stretto rapporto all’atto giudiziario dal quale è derivata la privazione della libertà rivelatasi ingiusta ex post (in motivazione, Sez. 4, n, 57203 del 21/9/2017, Paraschiva) e ciò anche in relazione ai diversi segmenti nei quali si articola la vicenda cautelare (da ultimo, Sez. 4, n. 41404 del 08/10/2024, Elbaza, Rv. 287094 – 01).
Orbene, nel caso all’esame, la Corte d’appello ha precisato che, a parte un episodio, le restanti trasgressioni denunciate dalla p.o. erano state riscontrate dalla PG, parte ricorrente essendosi, invero, limitata a negare rilevanza a tali atti. Tuttavia, la motivazione è effettivamente incoerente quanto alla verifica che almeno una di tali condotte fosse stata accertata nel corso del procedimento e non esclusa in sede di sentenza assolutoria. Peraltro, nel passaggio -invero assai criptico -nel quale la Corte territoriale sembra aver affrontato tale profilo, non sono state neppure descritte le condotte trasgressive di che trattasi. Infatti, la Corte della riparazione si è limitata a mettere in evidenza che almeno una sarebbe stata esclusa dal giudice del merito, ricollegando l’accertato accadimento delle altre alla sola mancata deduzione dell’interessato in ordine a tali episodi e non alla circostanza che tali condotte fossero rimaste storicamente provate o quantomeno non smentite in sede di giuidizio di cognizione.
L’ ordinanza deve essere, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte d’appello di Salerno, alla stessa demandandosi anche la regolamentazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Salerno, cui demanda altresì la regolamentazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.
Deciso il 25 giugno 2025
La Consigliera est. NOME COGNOME
Il Presidente
NOME COGNOME