Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 35225 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 35225 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LIVORNO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/05/2025 della CORTE APPELLO di FIRENZE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Viste le conclusioni del Ministero resistente rappresentata dall’Avvocatura di Stato che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Viste le conclusioni scritte della difesa del ricorrente, in persona dell’AVV_NOTAIO, la quale insiste nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di Appello di Firenze, con ordinanza in data 7 maggio 2025, ha respinto la domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da COGNOME NOME in relazione alla custodia cautelare patita in carcere per complessivi giorni 217 in quanto gravemente indiziato del reato di rapina aggravata, reato dal quale veniva assolto dal Tribunale di Livorno con la formula “perché il fatto non sussiste”.
Il giudice distrettuale ha evidenziato come gli indizi che erano stati posti a fondamento del titolo cautelare, quali il riconoscimento dell’imputato eseguito dalla persona offesa, nell’ordinanza dispositiva della cautela venivano rafforzati da una particolare circostanza, riconducibile al comportamento volontario del COGNOME il quale, dopo che le indagini si erano indirizzate verso la sua persona, aveva contattato la NOME COGNOME NOME, che in quel frangente si trovava in presenza di un appartenente alle forze dell’ordine, e nel dialogo che ne era seguito in viva voce, aveva fatto riferimento ad una rapina chiedendo all’interlocutrice di fornirgli un alibi, richiesta cui la COGNOME rispondeva di non potere aderire per essersi trovata in altra città con i propri genitori nel giorno del commesso reato. Dal contenuto della conversazione, riportata dall’agente di PG in un’annotazione di servizio acquisita agli atti del giudizio, il giudice distrettuale desumeva che, a prescindere dalla prova del reato, il COGNOME aveva tenuto un comportamento improntato al mendacio e alla precostituzione di un falso alibi, il che integrava condotta improntata ad inescusabile leggerezza, idonea ad escludere il diritto del ricorrente all’indennizzo richiesto.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione la difesa di COGNOME NOME, la quale ha articolato due motivi di ricorso.
Con il primo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 314, 63, 64 comma 3 lett.b) cod. proc. pen., nonché degli artt. 15, 24 co.2, 27 co.2, 111 della Cost. e dell’art.6 parr. 1 e 2 CEDU, nonché difetto di motivazione per avere escluso la riparazione per la ingiusta detenzione.
Sotto un primo profilo contesta che la condotta valorizzata dal giudice distrettuale possa integrare un fattore preclusivo alla riparazione, trattandosi di conversazione privata tra interlocutori, in cui il COGNOME ignorava che partecipasse all’ascolto un appartenente alle forze dell’ordine e la cui rilevanza indiziaria era stata esclusa dallo stesso giudice dell’assoluzione e rispetto alla quale il COGNOME non aveva alcuna consapevolezza di ingenerare la falsa apparenza di un suo coinvolgimento
nel reato di rapina per cui si procedeva. Si era comunque in presenza di un elemento probatorio inutilizzabile, in quanto acquisito contro la volontà, o comunque nella inconsapevolezza dell’autore, in mancanza di un provvedimento giudiziario che avesse in precedenza autorizzato la captazione e l’ascolto delle comunicazioni tra privati; comunque in violazione dei principi costituzionali che garantiscono la inviolabilità e la segretezza di ogni forma di comunicazione, fermo restando il diritto dell’indagato al silenzio e alla non utilizzazione di dichiarazioni indizianti rese nel corso delle indagini ai sensi degli artt.63 e 64 cod. proc. pen., laddove la conversazione privata era espressione del diritto di difesa del COGNOME, quale legittimo intento di prefigurarsi una narrazione difensiva in un contesto privo di valenza processuale.
Con una seconda articolazione assume violazione di legge e vizio motivazionale per essere stato escluso il diritto del COGNOME all’indennizzo anche in relazione a profili di colpa lieve in quanto, pure a volere attribuire al ricorrente un addebito di colpa in ragione del contenuto della conversazione annotata, al momento di assunzione dell’interrogatorio di garanzia ricorrevano elementi di prova che limitavano la rilevanza indiziante della suddetta conversazione telefonica, atteso che fin dal giorno 26 Maggio 2022 il più noto quotidiano di stampa locale aveva dato ampio risalto alla perpetrazione della rapina e che pertanto la richiesta di aiuto rivolto dal COGNOME alla COGNOME poteva essere valutato non come implicito riconoscimento di responsabilità, ma quale reazione istintiva ad una possibile ingiusta incriminazione.
Il Sostituto Procuratore generale ha concluso chiedendo pronunciarsi il rigetto dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere disatteso in quanto il giudice distrettuale ha correttamente enucleato il comportamento ostativo alla riparazione COGNOME che COGNOME ha COGNOME ingenerato COGNOME nell’autorità COGNOME giudiziaria COGNOME la COGNOME erronea rappresentazione della prova di reità in capo al ricorrente, consistito nella indicazione di un falso alibi, dopo che le indagini volte a risalire all’autore di un reato di rapina si erano indirizzate verso la sua persona.
In linea generale, va ribadito che il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, al fine di stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, onde accertare – con valutazione necessariamente “ex ante”
e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale .
2.1 Ai medesimi fini, inoltre, il giudice deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini, alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione (cfr. sez. 4 n. 19180 del 18/02/2016, COGNOME, Rv. 266808; n. 41396 del 15.9.2016, COGNOME, Rv.268238
3. Tanto premesso, deve rilevarsi che il percorso argomentativo seguito dal giudice della riparazione appare coerente con i principi di diritto appena richiamati. Invero, ai fini del riconoscimento della colpa grave ostativa al diritto alla riparazione il giudice distrettuale valorizza l’elemento rappresentato da una interlocuzione telefonica, intercorsa tra il COGNOME e la NOME, nella quale il ricorrente, sulla base di quanto riportato nell’annotazione di servizio, proponeva alla giovane di fornirgli un alibi per la rapina per cui è processo, ricevendo il rifiuto della interlocutrice. Da tale elemento del processo il giudice della riparazione desume un comportamento improntato alla falsità eal mendacio, in rapporto di causalità con l’adozione della misura cautelare.
4.Sotto un primo profilo vanno disattese le censure del ricorrente volte a contestare la utilizzabilità nel presente giudizio riparatorio di una conversazione riservata tra due interlocutori, casualmente ascoltata da un appartenente alla polizia giudiziaria che si trovava vicino a uno di essi, non valendo sul punto le preclusioni e i divieti concernenti le intercettazioni telefoniche, trattandosi dell’ascolto di una telefonata in viva voce da parte di un terzo, con il consenso di uno degli autori della conversazione, che non risulta riconducibile alla nozione di intercettazione telefonica, la quale presuppone l’impiego di strumenti tecnici di percezione tali da vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del suo carattere riservato (Sez.5, n.8538 del 9/11/2018, S., Rv.275890); nella specie l’ascolto, del tutto casuale, non ha determinato alcuna intromissione nella sfera riservata degli interlocutori in quanto la giovane, mediante l’utilizzazione del viva voce rendeva esplicito e pubblico il tenore del dialogo. Sotto diverso profilo l’appartenente alle forze dell’ordine si è limitato a riversare il contenuto della comunicazione in un atto pubblico, quale un’annotazione di servizio, rappresentando all’autorità giudiziaria quanto lo stesso aveva appreso a causa e
nello svolgimento del proprio servizio, ipotesi del tutto diversa da quanto previsto dall’art.63 cod. proc. pen., di cui il ricorrente denuncia la violazione, che concerne la ipotesi dell’assunzione di sommarie informazioni nei confronti della persona non indagata e la necessità di interrompere l’atto di ufficio nel caso in cui intervengano dichiarazioni auto-indizianti, con conseguente inutilizzabilità delle eventuali dichiarazioni rese in ragione degli avvisi preliminari all’assunzione dell’interrogatorio di garanzia.
Del tutto irrilevante è poi la circostanza che la informazione, successivamente riversata nell’annotazione di servizio, fosse stata acquisita in ambito extraprocessuale, trattandosi evidentemente di una prova atipica che, alla stregua dei principi enucleati dalla pronuncia a AVV_NOTAIO.U. AVV_NOTAIO, che si riferiva a una ipotesi di registrazione di conversazione intervenuta tra terzi con strumenti predisposti da uno degli interlocutori ovvero forniti dalle stesse forze dell’ordine nella prospettiva di memorizzarne il contenuto, è suscettibile di essere utilizzata quale prova documentale e non alla stregua di una intercettazione ambientale (Sez.2, n.40148 del 6/07/2022, PG/Acanfora, Rv.283977), come di fatto è stata utilizzata nell’ambito del giudizio assolutorio (tanto che il giudice ne ha svalutato la rilevanza indiziante), ovvero quale “prova atipica” che risulta utilizzabile nel caso in cui non violi, come nella specie, i divieti che caratterizzano la prova tipica e, in particolare quelli relativi alla testimonianza o alla intercettazione (nella specie si è sostenuto che si è in presenza di dati che possono essere riferiti direttamente dall’ufficiale di polizia giudiziaria che vi assiste, e non viene in rilievo la violazione del diritto alla riservatezza, Sez.2, n.46185 del 21/09/2022, Puzone, Rv.284226).
4.1. Sotto diverso profilo è stato affermato che la condotta dell’indagato che abbia fornito un alibi rivelatosi nell’immediatezza falso, pur costituendo esercizio di difesa, può assumere rilievo ai fini dell’accertamento della sussistenza della condizione ostativa del dolo o della colpa grave qualora, in presenza di un quadro indiziario già di per sé significativo, contribuisca a rafforzare il convincimento della di lui colpevolezza (Sez.4, n.47756 del 16/10/2014, Randazzo, Rv.261068; n.849 del 28/09/2021, V., Rv.282564).
Nella specie va ritenuta la correttezza del ragionamento del giudice della riparazione in quanto, a fronte di un quadro indiziario particolarmente significativo in quanto fondato sul riconoscimento fotografico del COGNOME da parte della persona offesa e del compimento di ulteriori atti di indagine nei suoi confronti, il giudice della cautela ha attribuito elemento di conforto alla prospettazione accusatoria al tentativo del COGNOME di avvalersi della COGNOME nella confezione di un falso alibi, di talchè deve riconoscersi la portata
sinergica di tale condotta, volontariamente attuata dal COGNOME per allontanare da sé i sospetti degli inquirenti, ai fini dell’adozione della misura.
Se è vero poi che il giudice dell’assoluzione ha escluso la valenza indiziaria di tale condotta ai fini dell’accertamento del reato, trattandosi di condotta dal significato equivoco e non necessariamente confessoria, in quanto il COGNOME avrebbe potuto avere appreso della rapina dalla lettura del giornale, nondimeno tale condotta, il giudice della riparazione, con ragionamento esente da vizi logici giuridici, ha ad essa riconosciuto rilievo contributivo nel diverso piano prognostico che governa il giudizio riparatorio, in cui non deve più stabilirsi se il ricorrente abbia commesso il reato per cui si procede, giacchè è ormai intervenuta pronuncia irrevocabile di assoluzione, ma se un suo comportamento volontario, caratterizzato da colpa grave, abbia contribuito alla adozione della misura cautelare, così da neutralizzare la funzione solidaristica dell’istituto.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, in quanto pertinenti ed utili ai fini della decisione, che si liquidano in complessivi euro mille.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dal Ministero resistente, che liquida in complessivi euro 1.000,00.
Così deciso in Roma il 17 settembre 2025 Il consigliere estensore COGNOME
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