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Riparazione ingiusta detenzione: il danno risarcibile

Un professionista, custode giudiziario, viene arrestato e poi assolto con formula piena. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29507/2025, ha stabilito che la riparazione ingiusta detenzione deve comprendere non solo il danno morale e da ‘strepitus fori’ (lesione della reputazione), ma anche il lucro cessante, ovvero la perdita di guadagni derivante dalla revoca degli incarichi professionali a seguito dell’arresto. La Corte ha inoltre affermato il diritto al rimborso delle spese legali sostenute per il procedimento di riparazione, annullando la precedente decisione della Corte d’Appello e rinviando per una nuova quantificazione del danno.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riparazione Ingiusta Detenzione: Oltre il Danno Morale, la Cassazione Riconosce il Lucro Cessante

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29507/2025, offre un’importante chiarificazione sui criteri di quantificazione della riparazione ingiusta detenzione. La decisione stabilisce che il ristoro per chi ha subito ingiustamente una privazione della libertà non si limita al danno morale, ma deve estendersi a tutte le conseguenze patrimoniali negative, incluso il lucro cessante e le spese legali.

I Fatti del Caso: L’Arresto e l’Assoluzione

La vicenda riguarda un professionista, titolare di numerosi incarichi come custode giudiziario presso un Tribunale, che veniva sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari per 12 giorni con l’accusa di turbata libertà degli incanti. Successivamente, non solo la misura cautelare veniva annullata dal Tribunale del Riesame per carenza di gravi indizi, ma l’imputato veniva anche assolto nel merito con la formula “perché il fatto non sussiste”.
A seguito dell’assoluzione definitiva, il professionista avviava un procedimento per ottenere la riparazione per l’ingiusta detenzione subita.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello di Napoli accoglieva parzialmente la richiesta, liquidando una somma basata su un calcolo aritmetico per i giorni di detenzione patiti, aumentata del 50% per il cosiddetto strepitus fori, ovvero il grave danno all’immagine e alla reputazione causato dalla vasta eco mediatica della notizia del suo arresto. Tuttavia, la Corte territoriale escludeva dal risarcimento sia il danno da lucro cessante (la perdita di guadagni futuri dovuta alla revoca degli incarichi di custode), sia la liquidazione delle spese legali sostenute per il procedimento di riparazione.

Il Ricorso in Cassazione: I Motivi dell’Appellante

Insoddisfatto della quantificazione, il professionista ricorreva in Cassazione, lamentando principalmente tre aspetti:
1. Mancato riconoscimento del lucro cessante: sosteneva che l’arresto e il clamore mediatico avevano causato la revoca degli incarichi in corso e impedito il conferimento di nuovi, con un evidente danno economico.
2. Errata valutazione delle prove: contestava il rigetto della sua richiesta di risarcimento per lucro cessante basato su una presunta carenza probatoria, affermando che il giudice avrebbe potuto e dovuto integrare l’istruttoria.
3. Mancata liquidazione delle spese legali: evidenziava come il Ministero dell’Economia e delle Finanze si fosse attivamente opposto alla sua richiesta con una corposa memoria difensiva, rendendo illogica la decisione di non disporre nulla per le spese.

Le motivazioni della Cassazione sul tema della riparazione ingiusta detenzione

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondati i motivi relativi al danno patrimoniale e alle spese legali. I giudici hanno sottolineato che la motivazione della Corte d’Appello, nell’escludere il lucro cessante, era illogica e non consequenziale. Era infatti del tutto prevedibile che il clamore mediatico legato all’arresto di un custode giudiziario avrebbe indotto i giudici a revocargli gli incarichi e a non conferirgliene di nuovi, anche in via prudenziale.

La Suprema Corte ha inoltre chiarito un principio fondamentale: quando un richiedente allega circostanze specifiche a sostegno di un danno ulteriore (come la perdita del lavoro), il giudice della riparazione non può limitarsi a negare il risarcimento per una presunta carenza di prove. Al contrario, ha il dovere di invitare la parte a fornire le prove necessarie o a completare quelle già prodotte, esercitando i propri poteri istruttori per giungere a una valutazione completa ed equa.

Infine, la Cassazione ha censurato la mancata liquidazione delle spese legali. La decisione di non disporre nulla in merito è stata ritenuta inadeguata, specialmente a fronte di un’opposizione formale e argomentata da parte del Ministero, che aveva richiesto un impegno difensivo significativo da parte del ricorrente.

Conclusioni: Cosa Cambia per la Riparazione Ingiusta Detenzione

Questa sentenza rafforza la tutela di chi subisce un’ingiusta detenzione, ampliando la portata del risarcimento. Si afferma con chiarezza che la riparazione ingiusta detenzione non è una mera consolazione morale, ma un ristoro che deve essere il più possibile integrale. Il giudice ha il compito di valutare tutte le ricadute negative, sia personali che patrimoniali, derivanti dalla privazione della libertà. In particolare, la perdita di opportunità lavorative e di guadagno (lucro cessante) deve essere riconosciuta e liquidata se provata o ragionevolmente provabile. Allo stesso modo, chi è costretto ad affrontare un procedimento per veder riconosciuto questo diritto, a fronte di un’opposizione statale, deve essere rimborsato delle spese legali sostenute. La Corte d’Appello dovrà ora riesaminare il caso, attenendosi a questi principi.

La riparazione per ingiusta detenzione copre solo i giorni passati agli arresti?
No. Oltre a un importo calcolato sui giorni di detenzione, la riparazione può e deve includere il risarcimento per danni ulteriori, come quello alla reputazione (strepitus fori) e le perdite economiche dirette, come il mancato guadagno (lucro cessante).

Se una persona perde il lavoro a causa di un arresto ingiusto, ha diritto a un risarcimento specifico?
Sì. La sentenza stabilisce che il danno da lucro cessante, derivante dalla revoca o dal mancato conferimento di incarichi lavorativi a seguito dell’arresto, è una conseguenza diretta e risarcibile. Il giudice deve valutare questa perdita economica nella quantificazione totale della riparazione.

Le spese legali sostenute per chiedere la riparazione vengono rimborsate?
Sì. La Corte di Cassazione ha ritenuto illogica la mancata liquidazione delle spese legali, soprattutto quando l’amministrazione statale (in questo caso, il Ministero dell’Economia e delle Finanze) si costituisce in giudizio e si oppone attivamente alla richiesta di indennizzo, costringendo il cittadino a un gravoso impegno difensivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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