Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29507 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 29507 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 11/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SANTA NOME CAPUA VETERE il 04/04/1975
avverso l’ordinanza del 13/02/2025 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 13 febbraio 2025 la Corte di appello di Napoli ha accolto l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione proposta da COGNOME NOME, liquidando in suo favore la somma di euro 2.125,00 in relazione alla ingiusta privazione della libertà personale impostagli per 12 giorni in regime di arresti domiciliari, in applicazione di una misura cautelare emessa il 3 febbraio 2014 (e applicata il successivo 8 febbraio 2014) dal G.I.P. del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nella ritenuta ricorrenza di un pregiudicato quadro indiziario in ordine alla commissione del reato di cui agli artt. 110, 353 cod. pen.
Annullata l’ordinanza cautelare dal Tribunale per il riesame di Napoli il 19 febbraio 2014, il COGNOME era stato successivamente assolto, perché il fatto non sussiste, dal reato di turbata libertà degli incanti, con sentenza pronunciata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 15 luglio 2020 (irrevocabile il 28 novembre 2020).
1.1. La Corte di appello di Napoli ha, in particolare, accolto la domanda di riparazione per ingiusta detenzione nella ritenuta ricorrenza di un’ipotesi di ingiustizia formale, di rilievo ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., in ordine a patita privazione della libertà personale dell’istante, nello specifico evidenziando come il Tribunale per il riesame avesse annullato l’ordinanza cautelare per carenza di gravità indiziaria sulla scorta degli stessi elementi di valutazione considerati da parte del G.I.P.
D’altro canto, la decisione assolutoria pronunciata in sede di merito era stata emessa previa declaratoria di totale inutilizzabilità delle fonti di prov acquisite, sia di natura captativa che dichiarativa, così precludendo ogni possibile vaglio della condotta del COGNOME, anche ai soli fini della valutazione dell’eventuale presenza di profili di colpa lieve, di rilievo per la determinazione dell’indennizzo da liquidarsi in favore dell’istante.
Nella quantificazione di tale somma la Corte territoriale, dopo avere applicato il rigido parametro aritmetico – con moltiplicazione della metà del tetto massimo giornaliero di indennizzo per il numero dei giorni di custodia sofferti -, ha disposto, in via equitativa, un ulteriore aumento di circa il 50% dell’importo raggiunto per lo strepitus fori, nella ritenuta comprovata lesione dell’immagine e della reputazione sociale dell’istante, avendo la stampa dato ampio risalto alla vicenda giudiziaria e all’arresto del COGNOME.
Avverso l’ordinanza del giudice della riparazione ha proposto ricorso per cassazione COGNOME COGNOME a mezzo dei suoi difensori, deducendo cinque motivi
di doglianza, con il primo dei quali ha eccepito violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 315 cod. proc. pen., per avere il giudice della riparazione erroneamente ritenuto che l’esito assolutorio del giudizio di merito fosse stato pronunciato sulla scorta della disposta declaratoria di inutilizzabilità di tutto il materiale probatorio in atti, laddove, invece, l’inutilizzabilità avre riguardato le sole intercettazioni e le connesse valutazioni espresse da parte della polizia giudiziaria, con conseguente inesatta individuazione del criterio di giudizio applicato ai fini della riparazione per ingiusta detenzione.
Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto violazione di legge e difetto di motivazione per illogicità, in riferimento all’ammontare della disposta riparazione per strepitus fori.
La Corte di appello, infatti, sarebbe incorsa in contraddittorietà motivazionale per avere, al contempo, riconosciuto la natura fiduciaria dei numerosi incarichi di custode giudiziario (23) di cui il COGNOME era titolare presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, a riprova della stima e della fiducia da . g GLYPH r ; lui goduta presso tale ufficio, e, co. -~q10..r limitato la quantificazione dell’indennizzo alla sola evidenza del valore patrimoniale della limitazione della libertà, con un aumento del 50% del tutto inadeguato e non legato agli stessi meccanismi equitativi e solidaristici che avrebbero dovuto presiedere alla determinazione in aumento. Sarebbe mancata, cioè, una valutazione maggiormente congrua della cifra da corrispondere, così da renderla realmente corrispondente alla peculiarità e specificità della situazione concreta.
Con la terza doglianza il COGNOME ha lamentato violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle argomentazioni relative al danno da riparare, oltre ad omessa assunzione di prova necessaria, per avere il giudice della riparazione erroneamente ritenuto che non potesse essere valutato il danno da mancato guadagno derivante dalla intervenuta revoca, in conseguenza del suo arresto, degli incarichi svolti dal ricorrente presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Risulterebbe, infatti, obiettivamente comprovato come dall’applicazione della misura cautelare fosse derivata la sospensione temporanea del COGNOME dai ricoperti incarichi di custodia giudiziaria, con evidente pregiudizio economico in suo danno.
Sarebbe, pertanto, del tutto inadeguata e viziata la motivazione con cui la Corte di appello ha escluso la risarcibilità del danno da mancato lucro, erroneamente evincendola dal fatto che l’istante non avrebbe provato che ai provvedimenti di sospensione dai suoi incarichi – per loro natura di carattere temporaneo – avesse, poi, fatto seguito l’adozione di corrispondenti provvedimenti definitivi di revoca. In senso contrario, infatti, nessun documento
di reintegra potrebbe essere da lui fornito, per non essere stato mai adottato, e, in ogni modo, il giudice della riparazione avrebbe ben potuto provvedere, in modo autonomo, all’integrazione dell’istruttoria, così da esprimere un compiuto giudizio in ordine alla corretta quantificazione dell’indennizzo.
Con il quarto motivo è stata eccepita violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle argomentazioni relative al danno risarcibile quale lucro cessante, per avere erroneamente ritenuto la Corte di appello che i compensi non percepiti dall’istante non gli potrebbero comunque essere conferiti in quanto riportati su un documento di sintesi del tutto privo di valore probatorio o contabile, considerato che, in tutta evidenza, i compensi per gli incarichi di custode giudiziario e di delegato alla procedura di vendita sono aliunde determinabili, in quanto stabiliti per legge.
Con l’ultima censura, infine, il COGNOME ha lamentato violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle statuizioni riguardanti le spese del procedimento, avendo la Corte di appello deliberato di non disporre nulla per le spese, laddove, invece, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel costituirsi in giudizio, aveva prodotto una copiosa comparsa di 19 pagine, con cui si era oppostt alla sua domanda di riconoscimento dell’equo indennizzo, conseguentemente impegnando la difesa del ricorrente nell’espletamento di un gravoso impegno.
Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
L’Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha chiesto con memoria scritta che il ricorso venga dichiarato inammissibile, ovvero, in subordine, che lo stesso venga rigettato.
I difensori del ricorrente hanno depositato successiva memoria scritta, con cui hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e deve, pertanto, essere disposto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata limitatamente alla quantificazione dell’ammontare dell’indennizzo e alla mancata liquidazione delle spese relative al grado di merito in favore del COGNOME.
Tale giudizio non può essere espresso con riferimento alle prime due doglianze, essendo le stesse non fondate.
Priva di pregio, in primo luogo, è la censura con cui il COGNOME ha lamentato l’inesatta individuazione del criterio di giudizio applicato, per essere stat erroneamente ritenuto dal giudice della riparazione che la sua assoluzione in sede di merito fosse avvenuta in conseguenza della declaratoria di inutilizzabilità di tutto il materiale probatorio in atti, laddove, invece, essa avrebbe riguardato le sole intercettazioni e le connesse valutazioni espresse da parte della polizia giudiziaria.
Trattasi, infatti, di motivo generico e aspecifico, oltre che palesemente infondato, avendo la Corte di appello determinato la quantificazione dell’indennizzo dovuto in corretta applicazione del parametro del calcolo aritmetico.
2.1. In proposito, infatti, assume rilievo il consolidato orientamento ermeneutico per cui, fermo restando il tetto massimo fissato dalla legge in euro 516.456,90, il giudice della riparazione può discostarsi dall’ammontare giornaliero di euro 235,82 (euro 117,91 per gli arresti domiciliari; cfr. Sez. 4, n. 34664 del 10/6/2010, COGNOME, Rv. 248078-01), tenendo conto del pregiudizio specifico, patrimoniale e non patrimoniale, derivato dall’atto lecito dannoso, costituito dalla restrizione della libertà, risultata ingiusta (così, fra le tante, 4, n. 10123 del 17/11/2011, COGNOME, Rv. 252026-01).
Lo scostamento, tuttavia, deve trovare puntuale riferimento in allegate specifiche ripercussioni di danno, che non conseguirebbero equo ristoro nella misura ponderata matematica di cui sopra. Compete al giudice della riparazione, cioè, individuare in maniera puntuale e corretta i parametri specifici di riferimento, la valorizzazione dei quali configuri un surplus di effetto lesivo da atto legittimo (la misura cautelare) rispetto alle gravi, ma ricorrenti e, per cos dire, fisiologiche, conseguenze derivanti dalla privazione della libertà, sia quale atto limitativo della sfera più intima e garantita del soggetto, che come alone di discredito sociale. Solo la compiuta individuazione dei suddetti parametri, nei limiti della ragionevolezza, consente la verifica del percorso argomentativo ed impedisce che l’esercizio del potere equitativo divenga “mero”.
In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice della riparazione, nel far ricorso alla liquidazione equitativa, deve sintetizzare i fattori di anal presi in esame ed esprimere la valutazione fattane ai fini della decisione, non potendo il giudizio di equità risolversi nel merum arbitrium, ma dovendo invece essere sorretto da una giustificazione adeguata e logicamente congrua, così assoggettandosi alla possibilità del controllo da parte dei destinatari e dei consociati (Sez. 4, n. 21077 del 01/04/2014, COGNOME Rv. 259236-01).
2.2. Nel caso di specie, la Corte di merito risulta essersi parzialmente attenuta agli indicati principi, avendo correttamente dato applicazione al parametro aritmetico, per poi precisare, con motivazione adeguata, di poter riconoscere l’incremento del calcolato indennizzo nella misura di un ulteriore 50% circa, per essere stato dimostrato da parte del COGNOME il maggior danno subito derivante dallo strepitus fori, quale conseguenza del fatto di essere stata pubblicata la notizia del suo arresto sulla stampa locale, corredata da nome, fotografie e descrizione dei fatti, particolarmente gravi, oggetto di contestazione.
Quando è correttamente impostata – come nella fattispecie in esame – la griglia decisionale, la determinazione quantitativa stabilita dal giudice della riparazione, salvo il caso di manifesta incongruenza, resta sottratta al controllo di legittimità. Nel caso in oggetto, la Corte di appello ha logicamente e congruamente motivato le ragioni di applicazione dei criteri di liquidazione del danno derivante dallo strepitus fori, per cui la somma liquidata non appare di carattere arbitrario o meramente simbolico, avendo il giudice della riparazione approfondito, con motivazione puntuale, le ulteriori conseguenze dannose subite dall’istante sul piano personale.
Di nessun pregio è, pertanto, la censura con cui il ricorrente, nel secondo motivo eccepito, ha lamentato l’incongruità del disposto aumento dell’indennizzo per mancata considerazione dei numerosi incarichi di custode giudiziario da lui ricoperti al momento dell’arresto k” oltretutto considerato come il rappresentato argomento ben può assumere un più concreto rilievo sotto il diverso profilo della perdita di guadagno subita dall’istante -.
Proprio in relazione a tale ultimo aspetto, deve essere ritenuta, invece, la fondatezza delle doglianze eccepite nel terzo e nel quarto motivo di ricorso, di impugnazione della parte di motivazione con cui il giudice della riparazione ha ritenuto di escludere il possibile riconoscimento in suo favore del danno da lucro cessante, quale conseguenza della intervenuta revoca, a seguito del suo arresto, degli incarichi di custode giudiziario ricoperti presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nonché del successivo mancato conferimento a suo vantaggio di ulteriori incarichi della stessa natura.
Orbene, appare invero non congrua e priva di ogni logica consequenzialità la motivazione con cui la Corte territoriale ha omesso di riconoscere il danno da lucro cessante in favore dell’istante sul presupposto che risulterebbe comprovata la sola sostituzione temporanea del COGNOME dagli incarichi conferitigli, senza prova alcuna che dal suo arresto ne sarebbe, poi, derivata la relativa revoca.
E’ logico ritenere, invece, che il comprovato clamore mediatico della vicenda, peraltro riguardante il ricorrente proprio nella ricoperta qualità di
custode giudiziario, abbia determinato i giudici interessati a revocare gli incarichi a lui assegnati, e a non conferirgliene altri nella successiva immediatezza, anche tenuto conto del fatto che la vicenda giudiziaria si sarebbe, poi, conclusa solo dopo molti anni, con la definitiva assoluzione del COGNOME. Né di alcun conto è la considerazione per cui non sarebbe possibile quantificare l’entità del suddetto danno, ben potendo essere fatto riferimento, ai fini della determinazione dei compensi non percepiti, ai parametri liquidativi statuiti dalla legge con riguardo alla figura dei custodi giudiziari.
Parimenti fondata è, poi, la valutazione espressa da parte del ricorrente per cui il giudice della riparazione avrebbe potuto ovviare al riscontrato deficit probatorio disponendo, in maniera autonoma, un’apposita integrazione istruttoria.
Se è vero, infatti, che, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, è onere della parte che deduce l’esistenza di pregiudizi ulteriori, non solo allegare le conseguenze personali subite, ma altresì spiegare in modo circostanziato – pur senza provarlo – il danno subito, la sua natura, i fattori che ne sono causa e il rapporto di derivazione dall’ingiusta detenzione patita (Sez. 4, n. 27474 del 02/07/2021, Spedo, Rv. 281513-01), è anche vero che, ove l’istante alleghi la sussistenza di danni ulteriori mediante il riferimento a specifiche circostanze ritenute dal giudice idonee in astratto a giustificare l’incremento dell’indennizzo, sebbene gravi sull’istante l’onere di provare quanto allegato, è affetta da illogicità la motivazione del provvedimento che neghi la sussistenza in concreto di tali danni ulteriori, senza che il giudice abbia previamente invitato la parte a provvedere alla prova o al suo completamento (Sez. 4, n. 39773 del 06/06/2019, COGNOME, Rv. 277510-01).
Ne consegue la necessità di una nuova considerazione degli indicati aspetti, da effettuarsi, in sede di rinvio, da parte del giudice della riparazione.
Stesso giudizio deve essere espresso, infine, anche con riferimento alla conclusiva doglianza, in quanto, del pari, meritevole di accoglimento.
Risulta inadeguata e illogica, infatti, la motivazione con cui la Corte di appello ha deciso di non disporre nulla in ordine alle spese relative al giudizio di riparazione, sul presupposto che la difesa erariale non avesse determinato alcuna specifica maggiore attività difensiva in capo all’istante.
Tale argomentazione risulta, invero, smentita per tabulas, essendovi in atti una comparsa di opposizione al riconoscimento del richiesto indennizzo prodotta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in occasione della sua costituzione in giudizio, che, essendo composta da 19 pagine, è da presumersi abbia
ragionevolmente impegnato i difensori del ricorrente nell’esercizio del l mandato professionale.
5. L’ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata limitatamente alla determinazione dell’ammontare dell’indennizzo dovuto e alla mancata
liquidazione delle spese relative al grado di merito in favore di COGNOME NOME con rinvio per nuovo giudizio su tali punti ad altra Sezione della Corte di app
di Napoli, cui viene demandata anche la regolamentazione tra le parti delle spe di lite relative a questo giudizio di legittimità.
P. Q. M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente all’ammontare dell’indennizzo e alla mancata liquidazione delle spese relative al grado di merito in favore
COGNOME e rinvia, per nuovo giudizio su tali punti, alla Corte di appello di Na cui demanda altresì la regolamentazione delle spese tra le parti relativamente
presente giudizio di legittimità. Così deciso in Romani luglio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presiden