Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29694 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 29694 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 05/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a REGGIO CALABRIA il 16/05/1971
avverso l’ordinanza del 05/12/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 5.12.2024 la Corte d’appello di Reggio Calabria ha rigettato l’istanza ex art. 314 cod.pro.pen. proposta dal difensore nonché procuratore speciale di COGNOME NOME in relazione al periodo di ingiusta detenzione dal medesimo patita dal 12.1.2015 al 10.3.2017.
In particolare t a sostegno della domanda l’istante aveva premesso quanto segue:
di essere stato sottoposto (mentre era in esecuzione l’ordinanza cautelare emessa nell’ambito del procedimento c.d. Infinito) alla misura della custodia cautelare in carcere dal 12.1.2015 al 10.3.2017 (data in cui la misura custodiale perdeva efficacia per superamento dei termini massimi) in esecuzione dell’ordinanza datata 11.3.2011 nell’ambito del procedimento penale denominato “Reggio Sud” in quanto gravemente indiziato del reato di cui all’art. 416 bis cod.pen., segnatamente della partecipazione all’associazione di stampo mafioso “FicaraRAGIONE_SOCIALE” e per concorso nel fraudolento trasferimento di beni;
all’esito del predetto procedimento, dopo una condanna riportata in entrambi i gradi di giudizio e di una pronuncia di questa Suprema Corte che disponeva l’annullamento con rinvio limitatamente al reato associativo, la Corte di appello di Reggio Calabria, in sede di giudizio di rinvio, con sentenza in data 23 giugno 2021 (divenuta esecutiva il 6 novembre 2021) dichiarava non doversi procederiai sensi dell’art. 649 cod.proc.pen. per il reato di cui all’art. 416 bis cod.pen limitatamente al periodo fino al 19.11.2011, stante la preclusione per il precedente giudicato nel processo c.d. “RAGIONE_SOCIALE“, ed assolveva per insussistenza del fatto ex art. 530 cod.proc.pen. per il periodo successivo rideterminando la pena nella misura di mesi sei di reclusione, per il reato sub capo B6) di intestazione fittizia con aggravante mafiosa, a titolo di aumento per la già riconosciuta continuazione con il reato giudicato con la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Milano nell’ambito del processo “RAGIONE_SOCIALE“.
Concludeva l’istante che, avendo espiato la pena di mesi sei dal 13.7.2014 al 12.1.2015 in quanto presofferto da detrarre, residuava il periodo di ingiusta detenzione dal 12.1.2015 fino alla perdita di efficacia della misura in data 10.3.2017, essendo stato quindi ingiustamente privato della libertà personale per un totale di n. 788 giorni.
2. Il giudice della riparazione ha fondato il rigetto dell’istanza sul rilievo che l custodia cautelare subita non poteva considerarsi come “ingiusta”, atteso che sino alla sua cessazione per il decorso dei termini la protrazione della detenzione era assistita da decisioni di merito ancora sub iudice e solo all’esito del percorso giurisdizionale definitivo si era pervenuti ad una determinazione della sanzione minore di quella coperta dalla detenzione subita, non potendosi tale esito
qualificare come errore dell’autorità giudiziaria. Nè era prevedibile ab origine l’esito poi verificatosi, tenuto conto delle valutazioni che si sono succedute nel tempo, anche in rapporto alle statuizioni del giudice di legittimità.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME GiovanniCOGNOME a mezzo del proprio difensore di fiducia e procuratore speciale, articolando un motivo di ricorso.
Con detto motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e e), cod.proc.pen. in relazione agli artt. 314, commi 1 e 2, cod.proc.pen. ed in rapporto agli artt. 5 e 6 CEDU.
Si assume che l’ordinanza impugnata ha violato i principi che regolano il giudizio de quo richiamando peraltro concetti ad esso estranei quali la “non prevedibilità” dell’esito processuale definitivo e l’esistenza di “un potere discrezionale del giudice” che avrebbe legittimato la custodia cautelare fino alla scadenza dei termini.
Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha depositato requisitoria scritta nella quale ha concluso per l’annullamento con rinvio della decisione impugnata.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato memoria con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità o in subordine il rigetto del ricorso.
La difesa del ricorrente ha depositato memoria difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso é fondato.
Come è noto l’art. 314 cod. proc. pen. disciplina due differenti ipotesi di riparazione a seguito di ingiusta detenzione.
Ai sensi del primo comma, chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto ad un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave (c.d ingiustizia sostanziale).
Ai sensi del secondo comma, lo stesso diritto spetta al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o manutenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. (c.d. ingiustizia formale).
Nel primo caso, viene in rilievo una sentenza di assoluzione quale esito di un processo, a seguito di istruttoria o comunque diversa valutazione del compendio
probatorio da parte del giudice del merito rispetto a quello della cautela. In tale ipotesi il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se ch l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, valutazione ex ante – e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese Rv. 259082).
Pertanto, in sede di verifica della sussistenza di un comportamento ostativo al riconoscimento del diritto alla riparazione, non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare un grave quadro indiziario nei suoi confronti. Si tratta di una valutazione che ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo ed è volta a verificare: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentite dall’esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv.247663).
Il giudice deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase dell indagini e apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, non è censurabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 27458 del 5/2/2019, NOME COGNOME Rv. 276458).
Nel secondo caso viene in rilievo, sia in caso di proscioglimento, sia in caso di condanna, l’accertamento con decisione irrevocabile della illegittimità ab origine della misura cautelare detentiva applicata per difetto delle condizioni di applicabilità di cui ai richiamati articoli.
L’ ingiustizia formale, secondo un più risalente indirizzo della Corte di legittimità, doveva risultare da una decisione irrevocabile sul provvedimento cautelare in fase (o, comunque, come nel giudizio direttissimo, con valenza anche cautelare) (Sez. 4, n. 36 del 12/1/1999, Rv. 213231; Sez. 4, n. 26368 del 3/4/2007, COGNOME e altro, Rv. 236989). Tale risalente orientamento è stato superato da altre più recenti sentenze che hanno affermato sussistere il diritto alla
riparazione per ingiusta detenzione anche nell’ipotesi di misura cautelare applicata in difetto di una condizione di procedibilità, la cui necessità sia stat accertata soltanto all’esito del giudizio di merito in ragione della diversa qualificazione attribuita ai fatti rispetto a quella ritenuta nel corso del giudi cautelare (Sez 4. n. 39535 del 29/5/2014, COGNOME, Rv. 261408; Sez 4 n. 43458 del 15/10/2013, Taliento, Rv. 257194; Sez.4 n. 23896 del 9/4/2008, Greco, Rv. 240333), ovvero nei casi di diversa qualificazione del fatto contestato nell’imputazione come reato punibile con pene edittali inferiori a quelle indicate nell’art. 280, comma primo, cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 16175 del 22/04/2021, COGNOME, Rv. 281038; Sez. 4; Sez 4 n. 26261 del 23/11/2016, Ministero Economia Finanze, Rv. 270099; Sez. 4, n. 8021 del 28/01/2014, COGNOME, Rv. 258621; Sez. 4 n. 44596 del 16/4/2009, COGNOME, Rv. 245437; Sez. 4 n. 8869 del 22/1/2007, COGNOME, Rv. 240332).
In particolare, si è affermato che la nozione di “decisione irrevocabile” di cui all’art. 314, comma 2, cod. proc. pen., comprende anche quella emessa all’esito del giudizio di merito, sempre che da essa si evinca la mancanza, sin dall’origine, delle condizioni di applicabilità della misura. Sempre in tema di ingiustizia formale, le Sezioni Unite hanno chiarito che la circostanza di avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, ma tale operatività non può concretamente esplicarsi, in forza del meccanismo causale che governa l’indicata condizione ostativa, nei casi in cui l’accertamento dell’insussistenza “ah origine” delle condizioni di applicabilità della misura in oggetto avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha reso il provvedimento cautelare, in ragione unicamente di una loro diversa valutazione (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663; Sez. 4, n. 16175 del 22/04/2021, COGNOME, Rv. 281038; Sez. 4, n. 26261 del 23/11/2016, Ministero Econ. Finanze, Rv. 270099).
Si é sostenuto che in tema di riparazione per ingiusta detenzione, ai fini della configurabilità dell’ingiustizia formale ex art. 314, comma 2, cod. proc. pen., è necessario che l’illegittimità del provvedimento che ha disposto la misura cautelare, in quanto adottato o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen., risulti accertata con decisione irrevocabile che non può provenire dal giudice della riparazione, il quale non è investito della questione, ma solo dal giudice cautelare, sollecitato tramite impugnazione, o dallo stesso giudice del merito (Sez. 4, n. 5455 del 23/01/2019, Rv. 275022).
Nel consegue che, in caso di ingiustizia c.d. formale, il giudice della riparazione non può limitarsi a rilevare l’esistenza di condotte del soggetto istante connotate
da dolo o colpa grave, ma deve verificare se l’annullamento della misura per assenza di gravi indizi di colpevolezza o delle condizioni di applicabilità della misura sia avvenuto sulla base degli stessi elementi che aveva a disposizione il giudice che ha emesso il provvedimento cautelare, ovvero sulla base di elementi, almeno in parte, nuovi e diversi; solo in questo secondo caso potrà sussistere l’efficacia sinergica della condotta colposa o dolosa del richiedente, mentre nel primo caso tale condotta non potrà essere considerata condizione ostativa e la detenzione dovrà essere riparata.
Vi é poi una terza ipotesi, ovvero il caso in cui la custodia cautelare sofferta risulti eccedente la pena in concreto inflitta.
Il Giudice delle leggi, con la nota sentenza n. 219 del 2008, condividendo i dubbi di incostituzionalità prospettati dalle Sezioni Unite di questa Corte con l’ordinanza di rimessione del 19 luglio 2006, ha dichiarato l’illegittimit costituzionale dell’art. 314 cod. proc. pen., nella parte in cui, nell’ipotesi detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all’equa riparazione del richiedente al proscioglimento nel merito dalle imputazioni. All’esito di una lunga disamina dell’istituto, ha stabilito che, una volta dichiarat l’illegittimità della norma in questione per le ragioni sopra indicate, doveva essere riconosciuto il diritto all’indennizzo anche in caso di custodia cautelare eccedente la misura della pena inflitta, essendo rilevante la distinzione tra prosciolto e condannato, in sede di determinazione del “quantum debeatur” e non anche dell'”an debeatur”.
Nell’alveo di tale pronuncia, con orientamento consolidato, questa Corte di legittimità ha statuito che la custodia cautelare sofferta oltre il limite del condanna è astrattamente indennizzabile, sempre che il giudice della riparazione ne accerti l’esistenza ed i presupposti, e purchè non sussistano cause ostative, riconducibili a dolo o colpa grave (Sez. 4, n. 32136 del 11/04/2017, COGNOME, Rv. 270420; Sez. 4, n. 17788 del 06/03/2012, COGNOME, Rv. 253504; Sez. 4, n. 45428 del 01/12/2010, COGNOME, Rv. 249238; Sez. 4, n. 31114 del 25/06/2008, COGNOME, Rv. 241964).
Va poi rammentato che le Sezioni Unite D’ambrosio (sent. n. 32383 del 27/5/2010), successivamente all’intervento della Corte Costituzionale, hanno sottolineato come il principio solidaristico sotteso all’istituto della riparazione pe ingiusta detenzione trovi “il suo naturale contemperamento nel dovere di responsabilità che incombe in capo a tutti i consociati, i quali evidentemente non possono invocare benefici tesi a ristorare pregiudizi da essi stessi colposamente o dolosamente cagionati”.
Deve, conseguentemente, ritenersi che, per effetto della pronuncia additiva della Corte Costituzionale n. 219/2008, il limite della non interferenza causale della
condotta posta in essere dal richiedente operi anche nelle ipotesi di riparazione per ingiusta detenzione che concernano il soggetto condannato, sottoposto a
regime cautelare carcerario per un periodo più lungo rispetto alla pena detentiva inflitta. Dal che la rilevanza dell’indagine riguardante la presenza o meno di
condotte dolose o gravemente colpose che abbiano svolto una efficacia sinergica sulla detenzione patita dal richiedente.
3. Fatte queste premesse, la Corte di merito non ha correttamente impostato i termini del giudizio ex art. 314 cod.proc.pen. fondando il rigetto dell’istanza su
considerazioni che non hanno alcun attinenza con la disciplina prevista ex lege, ovvero argomentando che la custodia cautelare non possa considerarsi ingiusta
atteso che la protrazione della custodia era assistita da decisioni di merito ancora sub iudice e richiamando concetti quali “la non prevedibilità” dell’esito
processuale definitivo.
Nella specie, invece, premessa la vicenda cautelare dell’istante, poiché il giudizio di merito é stato definito con la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria
in data 23 giugno 2021 che ha dichiarato non doversi procedere in ordine al reato di cui all’art. 416 bis cod.pen. per le condotte fino al 19.11.2011 mentre ha assolto l’imputato per il periodo successivo perché il fatto non sussiste, rideterminando la pena in mesi sei di reclusione per il residuo reato, la fattispecie in esame andava ricondotta nell’alveo della custodia cautelare patita in eccedenza rispetto alla pena finale irrogata.
Non ricorre, invece, nella specie alcuna ipotesi di ingiustizia formale, posto che non é intervenuta alcuna pronuncia che abbia accertato l’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura cautelare fondata sul reato di cui all’art. 416 bis cod.pen. ma piuttosto la sentenza definitiva ha circoscritto la contestazione ad un periodo temporale più limitato.
In conclusione l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio alla luce delle coordinate ermeneutiche enunciate.
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Reggio Calabria, cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
Così deciso il 5.6.2025