Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 12716 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 12716 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 13/12/1978
avverso l’ordinanza del 13/06/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, dr.ssa NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto de ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Napoli il 13 giugno – 8 ottobre 2024 ha rigettato la richiesta di di riparazione per ingiusta detenzione avanzata nell’interesse di NOME COGNOME il quale è stato ristretto in custodia cautelare in carcere complessivamente dal 10 maggio 2010 al 29 novembre 2011 con le contestazioni di partecipazione ad associazione camorristica e di più episodi di estorsione consumata con aggravante mafiosa in relazione alla gestione del trasporto, ritenuto “monopolistico”, tramite camion della società “RAGIONE_SOCIALE“, di cui COGNOME era dipendente, dei prodotti ortofrutticoli da e per i mercati di Fondi, Aversa, Trentola Ducenta e Giugliano nell’interesse del clan camorristico dei casalesi.
L’imputato è stato assolto dal G.u.p. il 27 gennaio 2012, all’esito del giudizio abbreviato, dall’accusa di partecipazione ad associazione camorristica, per riconosciuta estraneità, con la formula “per non avere commesso il fatto”, mentre è stato riconosciuto colpevole degli episodi estorsivi aggravati, con conferma in appello (il 7 gennaio 2024), ma, dopo l’annullamento della sentenza di appello da parte della SRAGIONE_SOCIALE (il 29 ottobre 2015), il giudice del rinvio il 23 febbraio 2021 (sentenza irrevocabile il 10 luglio 2021) lo ha assolto dalle residue imputazioni, anche in questo caso “per non avere commesso il fatto”.
Il 25 gennaio 2010 il Tribunale per il riesame aveva annullato l’ordinanza cautelare, limitatamente all’accusa di partecipazione ad associazione camorristica.
Ricorre per la cassazione dell’ordinanza NOME COGNOME tramite Difensore di fiducia, affidandosi a tre motivi con i quali denunzia violazione di legge (tutti i motivi) e difetto di motivazione (i primi due motivi).
2.1. Con il primo motivo, ripercorse le vicende cautelari e di merito e richiamate le ragioni del mancato accoglimento della richiesta di equa riparazione, censura promiscuamente violazione dell’art. 314 e vizio di motivazione, per mancanza e contraddittorietà della motivazione e travisamento delle prove in relazione alla sussistenza della condizione ostativa al diritto all’indennizzo, ossia la colpa grave.
Premesso che la Corte di appello ha ritenuto l’esistenza di un comportamento ostativo dell’interessato collegato all’apparenza di un quadro gravemente indiziario a suo carico circa i reati contestati, il ricorrente, richiamati i principi di diritto, puntualizzati dalla S.C., ritenuti applicabili al caso di speci sottopone a serrata censura il ragionamento dei giudici di merito.
In primo luogo, denunzia la erroneità del passaggio argomentativo in cui si sottolinea (p. 3 dell’ordinanza impugnata) che il giudice del merito è giunto ad una pronunzia assolutoria sulla base di elementi non noti al giudice della cautela cioè il contenuto degli interrogatori ex art. 294 cod. proc. pen. dei coindagati, in quanto, in realtà, il materiale probatorio è sempre rimasto il medesimo, essendo stato l’imputato giudicato con il rito abbreviato, non essendo stata svolta attività istruttoria integrativa ed avendo la Corte di appello assolto lo stesso, dopo l’annullamento da parte della S.C., rivalutando nuovamente lo stesso materiale.
Sottolinea, poi, essere stato attribuito all’imputato, incensurato, il casellario giudiziale di altro coindagato, omonimo e che aveva riportato condanne per reati gravi, errore che è stato emendato solo dopo l’annullamento con rinvio dalla S.C.
2.2. Tramite il secondo motivo lamenta ulteriore violazione dell’art. 314 cod. proc. pen. e, nel contempo, mancanza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza della colpa grave.
La Corte della riparazione avrebbe modificato il senso della sentenza assolutoria divenuta irrevocabile con una interpretazione che ne stravolge il vero significato.
La decisione liberatoria, infatti, descrive come sporadiche le telefonate dal contenuto definito aspro ma fisiologico nel contesto dato di relazioni commerciali, mentre l’ordinanza reiettiva trasforma tali rilievi in un «contraddittorio aspro degli atteggiamenti risoluti e dei toni e modi talvolta poco urbani che, tuttavia, poco si addicevano al suo ruolo di mero operaio che doveva organizzare i viaggi dopo aver ricevuto gli ordini», per concludere che «la condotta si appalesa sicuramente macroscopicamente idonea come tale ad inibire la riparazione, concorrendo per tal verso la formazione di un errore nel giudice della cautela» (così alle pp. 5 e 7 dell’ordinanza impugnata).
Sottolinea che all’interno di mercato ortofrutticolo notoriamente non si adopera linguaggio aulico e che, in ogni caso, le espressioni sbrigative e rudi usate da NOME COGNOME, definite dal giudice che ha pronunziato l’assoluzione talora poco urbane, certamente non possono integrare colpa grave del ricorrente ed intervengono tutte prima della conoscenza dell’accusa, sicchè non possono integrare un comportamento processuale ma, eventualmente, extraprocessuale; né – si evidenzia – nel corso del giudizio è mai stato chiesto a COGNOME di chiarirne il contenuto. Con la conseguenza che, se appare ingiustificabile l’adozione della misura, ancora più ingiustificabile risulta, ad avviso della Difesa, il lungo mantenimento della stessa.
Si richiamano più precedenti di legittimità ritenuti pertinenti, tra cui quello di Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME Rv. 247663.
2.3. Infine, con l’ultimo motivo il ricorrente si duole della nullità del provvedimento per omessa motivazione e travisamento della prova su cui il giudice della riparazione ha fondato il riconoscimento della condotta ostativa al riconoscimento della equa riparazione richiesta.
Richiamato il principio di autonomia tra il giudizio di merito e quello finalizzato alla equa riparazione e la necessità di porsi, al fine in esame, in una prospettiva ex ante, si sottolinea criticamente sia non avere la Corte di merito chiarito come un linguaggio non consono possa, di per sé, giustificare l’applicazione di una misura cautelare, sia per non avere collocato le conversazioni intercettate, che potrebbero essere a tratti grossolane, nell’ambiente e nel contesto concreto in cui sono state effettuate, non essendo il mercato ortofrutticolo il «Consesso dell’Accademia dei Lincei o l Senato Accademico di una prestigiosa Università» (così alla p. 27 del ricorso). Ne consegue che le conversazioni captate avrebbe richiesto un approfondimento motivazionale, del tutto mancante nel provvedimento, quanto alla gravità, potendo profilarsi, in astratto, anche una condotta colposa lieve che potrebbe rilevare in ordine non già all’an ma al quantum debeatur.
Alla luce dei principi in materia fissati dalla S.C., che si richiamano, tenuto conto che non è stato effettuato un serio confronto con le ragioni della sentenza assolutoria, dalla quale pure risulta che, allorché l’imputato in più occasioni processuali fornì lealmente la propria versione dei fatti, protestandosi innocente, non mentì, e che la mera parentela con il titolare dell’azienda di cui COGNOME era dipendente (nipote-zio)non può costituire in sé colpa grave, si chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
L’Avvocatura erariale nella memoria del 17 gennaio 2025 ha chiesto rigettarsi il ricorso, con vittoria di spese.
Il P.G. RAGIONE_SOCIALE nella requisitoria scritta del 17 gennaio 2025 ha domandato a sua volta il rigetto del ricorso.
Con memoria del 21 gennaio 2025 la Difesa del ricorrente ha ulteriormente puntualizzato gli argomenti già svolti e ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato e deve essere accolto, per le seguenti ragioni.
2. In primo luogo, l’ordinanza impugnata non considera che per l’accusa di cui al capo A) cioè associazione camorristica, vi era stato annullamento da parte del Tribunale per il riesame (il 25 gennaio 2010), seguito da assoluzione nel merito, passata in giudicato, all’esito dell’abbreviato (il 27 gennaio 2012), sulla base – deve ritenersi – degli stessi elementi di prova. Trattandosi di ingiustizia “formale” (art. 314, comma 2, cod. proc. pen.), va applicato il principio di diritto di cui alla pronunzia, puntualmente richiamata dal ricorrente, delle Sezioni Unite della S.C. n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663 («La circostanza di avere dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave opera, quale condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, anche in relazione alle misure disposte in difetto delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen.. (La Corte ha, peraltro, precisato che tale operatività non può concretamente esplicarsi, in forza del meccanismo causale che governa l’indicata condizione ostativa, nei casi in cui l’accertamento dell’insussistenza “ah origine” delle condizioni di applicabilità della misura in oggetto avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha reso il provvedimento cautelare, in ragione unicamente di una loro diversa valutazione)»), ribadito dalle successive pronunzie a Sezioni semplici (cfr., tra le numerose altre, Sez. 4, n. 22806 del 06/02/2018, COGNOME, Rv. 272993; Sez. 4, n. 5452 del 11/01/2019, COGNOME, Rv. 275021; Sez. 4, n. 22103 del 21/03/2019, COGNOME, Rv. 276091).
Inoltre, quanto ai reati di estorsione, per i quali vi era stata conferma da parte del Tribunale per il riesame, la Corte di appello ha valorizzato condotte espressamente definite inopportune ed inurbane ma giudicate prive di valenza probatoria da parte della Corte di appello che, in sede di rinvio, ha assolto l’imputato; ove la frase stimata più “compromettente”, siccome ritenuta ambigua, è (v. p. 19 della sentenza liberatoria): «Noi non siamo nati ieri.., hai capito o no… E’ meglio che dici la verità». Si rende necessaria al riguardo una motivazione che, contestualizzati i fatti, spieghi in maniera sufficiente, logica e congrua il raggiunto convincimento giudiziale nel senso della attribuibilità ad essi di valenza ostativa al riconoscimento alla equa riparazione.
Occorre tenere presente il principio secondo il quale «In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, l’assenza della condizione ostativa dell’avere l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dalle deduzioni della Amministrazione resistente»
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(Sez. 4, n. 4106 del 13/0172021, M, Rv. 280390; nello stesso senso, Sez. 4, n. 6680 drel 26/01/2021, Min. econom. e fin, in proc. COGNOME e altri, Rv. 280543).
In disparte, poi, l’eventuale esistenza di colpa dell’imputato al momento della emissione della misura, la Corte di appello non affronta il tema del – lungo (più di diciotto mesi) – mantenimento della custodia cautelare. Non deve trascurarsi, infatti, che, anche nell’evenienza di accertata insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura custodiale, il comportamento doloso o gravemente colposo della persona ad essa sottoposta può, comunque, esplicare efficacia preclusiva al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione per il periodo, ad esso successivo, per il quale abbia dato o concorso a dare causa al mantenimento della custodia cautelare (Sez. 3, n. 15786 del 04/02/2020, COGNOME, Rv. 279385).
Da ultimo, non si rinviene motivazione circa la ragione per ritenere la colpa, eventualmente ritenuta sussistente da parte della Corte territoriale, lieve, anziché grave, dovendosi al riguardo rammentare che «Nel procedimento di equa riparazione per l’ingiusta detenzione il giudice deve valutare anche la condotta colposa lieve, rilevante non quale causa ostativa per il riconoscimento dell’indennizzo bensì per l’eventuale riduzione della sua entità» (cfr., ex plurimis, Sez. 4, n. 51343 del 09/10/2018, V, Rv. 274006).
Consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese tra le Parti per questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le Parti per questo giudizio di legittimità.
Così deciso il 07/02/2025.